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Macellazione domestica: quando non è reato

La Corte di Cassazione ha annullato una condanna per macellazione clandestina, stabilendo che la macellazione domestica per autoconsumo è lecita. La grande stazza dell’animale non è sufficiente a provare l’intenzione di vendere la carne, ribaltando la decisione dei giudici di merito.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Macellazione Domestica: La Cassazione Chiarisce, la Stazza dell’Animale non Significa Commercio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44345 del 2024, ha affrontato un caso di grande interesse pratico riguardante la macellazione domestica. La pronuncia chiarisce un punto fondamentale: la grande dimensione di un animale macellato in un contesto privato non è, di per sé, una prova sufficiente per presumere una destinazione commerciale e, di conseguenza, per configurare il reato di macellazione clandestina. Questa decisione annulla una condanna e stabilisce un principio di diritto importante per distinguere l’autoconsumo lecito dall’attività commerciale illegale.

I Fatti di Causa: Dalla Condanna alla Cassazione

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Messina, per il reato previsto dall’art. 6 del D.Lgs. 193/2007. L’imputato era stato ritenuto responsabile di aver proceduto alla macellazione clandestina di un maiale. I giudici di merito avevano fondato la loro decisione su un’interpretazione restrittiva della normativa, ritenendo che la notevole stazza dell’animale fosse un indizio sufficiente a desumere che la carne non fosse destinata al solo consumo familiare, ma alla vendita.

Contro questa sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando la violazione della legge e un’errata valutazione delle prove. La difesa ha sostenuto che la normativa europea e nazionale esclude esplicitamente dall’applicazione delle sanzioni la produzione e la preparazione di alimenti per uso domestico privato, senza porre limiti quantitativi o di peso.

La Macellazione Domestica nei Motivi del Ricorso

La difesa ha articolato il ricorso su tre motivi principali, tutti incentrati sull’errata interpretazione della normativa sulla macellazione domestica.

Primo Motivo: L’esenzione per uso domestico

Il ricorrente ha evidenziato che sia il D.Lgs. 193/2007 sia il Regolamento CE 853/2004 sottraggono all’applicazione della norma incriminatrice la “produzione primaria per uso domestico privato” e la “preparazione, manipolazione e conservazione domestica di alimenti destinati al consumo domestico”. Non era emerso alcun elemento che provasse un’attività commerciale: la carcassa si trovava in un’abitazione privata, senza attrezzature professionali o altri animali.

Secondo Motivo: Travisamento della prova e motivazione illogica

È stata contestata la logica della sentenza impugnata, che ha dedotto la finalità commerciale unicamente dalla stazza dell’animale. La difesa ha sottolineato che il testimone chiave non aveva riscontrato alcun indizio di un’attività commerciale e che la grande quantità di carne è compatibile con la conservazione tramite insaccamento, pratica comune soprattutto durante le festività natalizie, periodo in cui erano avvenuti i fatti.

Terzo Motivo: Mancata applicazione della causa di non punibilità

Infine, è stata criticata la decisione di non applicare l’art. 131-bis c.p. (particolare tenuità del fatto), negata proprio sulla base della presunta destinazione commerciale, ovvero un elemento costitutivo del reato stesso che la difesa contestava.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo fondate le censure della difesa e annullando la sentenza con rinvio. Le motivazioni della Corte si basano su due pilastri fondamentali.

Il primo è una corretta interpretazione della normativa di riferimento. I giudici hanno chiarito che il Regolamento CE 853/2004, richiamato dalla norma penale italiana, esclude espressamente la produzione e preparazione per il consumo domestico privato. Questa esclusione non fa alcun riferimento alla stazza degli animali. Tale interpretazione è ulteriormente rafforzata dal più recente D.Lgs. 27 del 2021, che all’art. 16 consente la macellazione per autoconsumo di suini e bovini al di fuori di stabilimenti riconosciuti, ponendo come unica condizione il divieto di commercializzazione dei prodotti.

Il secondo pilastro è la censura del ragionamento probatorio della Corte d’Appello. La Cassazione ha definito “manifestamente illogico” il processo inferenziale che ha portato a dedurre la destinazione alla vendita dalla sola stazza dell’animale. Questo tipo di ragionamento presuntivo non è sufficiente a superare la spiegazione alternativa fornita dalla difesa (la destinazione “endofamiliare”) e a fondare un giudizio di colpevolezza. La normativa stessa, permettendo la macellazione per autoconsumo di animali di grossa taglia come suini e bovini, smentisce l’idea che la dimensione sia un indicatore automatico di illegalità.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza stabilisce che per condannare una persona per macellazione clandestina finalizzata al commercio non è sufficiente basarsi su presunzioni legate alla quantità di carne ottenuta. L’accusa ha l’onere di provare, con elementi concreti e non con mere deduzioni, che l’attività era effettivamente destinata alla vendita. La macellazione domestica finalizzata all’autoconsumo, anche di animali di grossa taglia, rientra in un’area di liceità protetta dalla legge, a condizione che i prodotti non vengano immessi sul mercato. La Corte ha quindi annullato la sentenza e rinviato il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio che dovrà attenersi a questi principi.

La macellazione di un animale di grossa taglia, come un maiale, per uso personale è reato?
No. Secondo la Cassazione, la macellazione per autoconsumo è permessa e non costituisce reato, indipendentemente dalla stazza dell’animale. La normativa esclude esplicitamente dall’ambito di applicazione delle sanzioni la produzione e preparazione di alimenti per uso domestico privato.

La grande dimensione di un animale macellato può essere usata come prova per dimostrare che la carne era destinata alla vendita?
No. La Corte ha definito “manifestamente illogico” dedurre la destinazione commerciale della carne unicamente dalla stazza dell’animale. Per configurare il reato, servono prove concrete di un’attività commerciale clandestina, che non possono essere presunte solo dalle dimensioni.

Cosa deve provare l’accusa per ottenere una condanna per macellazione clandestina a fini commerciali?
L’accusa deve fornire elementi di prova concreti che dimostrino l’esistenza di un’attività commerciale. Ad esempio, la presenza di attrezzature professionali, la scoperta di più animali destinati alla macellazione, testimonianze di vendita o altri indizi che superino la semplice presunzione e provino l’intento di commercializzare il prodotto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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