Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 26522 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 26522 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nato a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA, COGNOME NOME, nato a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA, avverso la sentenza del 08-03-2023 della Corte di appello di Cagliari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’8 aprile 2021, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME alle pene di giustizia, in quanto ritenuti colpevoli dei reati di cui agli art. 44, comma 1, lett. C primo periodo, del d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A) e art. 181 del d. Igs. n. 42 del 2004 (capo B); tali reati sono stati a loro contestati per avere effettuato una lottizzazione di terreni a scopo edificatorio, avendo essi realizzato, in assenza delle prescritte autorizzazioni, quali acquirenti di due appezzamenti di terreno siti in zona agricola, opere di urbanizzazione primaria consistite nella recinzione dei lotti con blocchetti di calcestruzzo, nell’apertura di varchi carrai sulla strada di accesso ai lotti, e, d ultimo, nell’edificazione di manufatti aventi destinazione residenziale, eseguendo tali lavori su beni soggetti a vincolo paesaggistico; fatti commessi “in RAGIONE_SOCIALE, in corso alla data di accertamento del 21 giugno 2016″.
Il Tribunale disponeva altresì la confisca dei terreni oggetto di lottizzazione.
Con sentenza dell’8 marzo 2023, la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati a loro ascritti, perché estinti prescrizione, confermando la statuizione della confisca dei terreni lottizzati.
Avverso la sentenza della Corte di appello sarda, COGNOME e COGNOME, tramite il loro comune difensore, hanno proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
Con il primo, la difesa contesta, sotto il profilo del vizio di motivazione, l’attribuzione del concorso o della cooperazione colposa agli imputati, operata peraltro senza preventiva contestazione, osservando che, nel caso di specie, doveva escludersi, anche sotto il profilo del dolo, la lottizzazione negoziale di cui al secondo capoverso dell’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001, atteso che alcuna prossimità temporale sussisterebbe tra gli atti di frazionamento, in quanto un primo frazionamento fu compiuto dall’originaria proprietaria il 26 settembre 2012, una prima porzione fu ceduta a tale COGNOME il 5 dicembre 2012, mentre circa 10 mesi dopo la parte restante venne ulteriormente frazionata, con cessione di una porzione a COGNOME, non essendovi prova della data della cessione della restante porzione alla COGNOME, dovendosi in ogni caso escludere che ciascuno dei tre imputati fosse a conoscenza del programma edificatorio dell’altro, così come non ne era a conoscenza la proprietaria originaria, che si è limitata a frazionare, peraltro in modo urbanisticamente regolare, il bene e a cederne le porzioni con atti separati e distinti. Né poteva ritenersi configurabile nella vicenda in esame una qualche cooperazione colposa, non essendo ravvisabili profili di colpa.
Allo stesso modo, non può ipotizzarsi nemmeno la realizzazione di una condotta di lottizzazione abusiva materiale, posto che, come pacificamente ammesso dagli
stessi testi del P.M., non sussisteva alcuna opera di urbanizzazione tale da determinare una trasformazione del fondo a uso residenziale.
Con il secondo motivo, riferito alla sola posizione di NOME COGNOME, si eccepisce il vizio di motivazione in ordine all’affermazione secondo cui le opere poste in essere all’interno della porzione nella sua disponibilità avessero natura residenziale, essendo evidente la contraddizione della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, contemporaneamente, esclude dalle opere realizzate sul fondo della COGNOME la destinazione ad allevamento di animali, salvo poi affermare, solo poche righe dopo, che la destinazione era proprio quella.
Si sottolinea al riguardo che sul fondo della COGNOME furono rinvenuti manufatti destinati a ospitare animali da cortile, di altezza assolutamente inidonea a ospitare essere umani, anche perché circondati da rottami e materiali di risulta.
Con il terzo motivo, si censura ancora il giudizio sulla posizione della COGNOME, rilevandosi che la stessa non ha realizzato alcuna volumetria, per cui, al più, la condotta era inquadrabile in subordine nella fattispecie di cui all’art. 44 lett. b d d.P.R. n. 380 del 2001, fermo restando che la modestissima altezza dei manufatti e la mancanza di una copertura stabile avrebbero imposto l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen.
Con il quarto motivo, riferito alla posizione di COGNOME, è stato dedotto il vizio di motivazione rispetto alla mancata pronuncia da parte della Corte di appello sulla richiesta di derubricazione della fattispecie nella previsione di cui all’art. lett. b, del d.P.R. n. 380 del 2001, non essendosi considerato che nel caso di specie doveva escludersi qualsivoglia finalità residenziale, venendo in rilievo opere poste al servizio di una scuderia destinata all’allevamento di cavalli per lo svolgimento della manifestazione tradizionale nota come “Sartiglia”, che peraltro è valorizzata, promossa e finanziata dalle istituzioni pubbliche.
Dopo un rinvio interlocutorio (22 novembre 2023), la trattazione del processo veniva aggiornata all’odierna udienza del 20 marzo 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili, perché manifestamente infondati.
Premesso che i motivi di ricorso sono suscettibili di trattazione unitaria, perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, deve ritenersi che il giudizio sulla configurabilità del reato di lottizzazione abusiva e del reato paesaggistico ex art. 181 del d. Igs. n. 42 del 2004, oltre che la conseguente attribuzione degli stessi ai ricorrenti non prestano il fianco alle censure difensive.
E invero occorre innanzitutto premettere che il primo giudice ha operato un’adeguata ricostruzione della vicenda storica, richiamando gli esiti dell’attività investigativa compiuta dal RAGIONE_SOCIALE, da cui è emerso che tra il
26 settembre 2012 e il 10 agosto 2013 l’originario terreno di proprietà di NOME COGNOME, ubicato nella località “S’Utturu Mannu” di RAGIONE_SOCIALE, fu da costei suddiviso, anche catastalmente, in tre porzioni distinte e poi cedute nel medesimo periodo a tre persone differenti, ossia NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME: tra il 2010 e il 2013 furono intrapresi i lavori sul fondo ceduto a COGNOME, mentre sui fondi concessi in godimento a COGNOME COGNOME alla COGNOME i lavori iniziarono in epoca successiva al 2013, ossia dopo il frazionamento e la stipula dei contratti che riguardarono tali beni. All’interno del terreno, chiuso da un recinto murario formato da blocchi in cemento non intonacati alti in media circa due metri, furono realizzati dei fabbricati destinati sia a ricovero degli animali che a finali residenziale, in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, che sarebbe stata necessaria, ricadendo l’intera area in questione all’interno della fascia costiera e dunque in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
Ciò posto, il giudice monocratico ha condannato i ricorrenti in ordine a entrambi i reati a loro ascritti, valorizzando in particolare, quanto al reato di lottizzazione, prossimità temporale degli atti di frazionamento catastale e di successiva cessione dei fondi da parte della RAGIONE_SOCIALE, l’omogeneità delle opere di cinta muraria realizzati sui tre fondi e dei relativi cancelli di ingresso, il collegamento di ciascun fondo all rete elettrica e alla rete idrica del RAGIONE_SOCIALE, la limitata superficie terreni in relazione alla destinazione agricola impressa dallo strumento urbanistico comunale, la mancanza della qualifica di coltivatori diretti degli imputati e, da ultimo, le stesse opere realizzate da costoro subito dopo la loro immissione nel godimento dei beni, da ciò desumendosi la finalità dei detentori dei fondi di ricavare dal terreno distinti lotti a vocazione edificatoria, ciò in assenza di alcu piano di lottizzazione e in spregio della disciplina urbanistica all’epoca vigente.
Di qui la sussistenza del reato ex art. 44, primo periodo, lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001, posto che gli interventi realizzati avevano comportato una trasformazione edilizia dei terreni, privi fino a quel momento di alcun fabbricato e invece edificati in modo incontrollato, in assenza di pianificazione urbanistica.
Tale giudizio è stato condiviso dalla Corte territoriale che, pur dichiarando prescritti i reati contestati, ha tuttavia confermato la configurabilità degli stes (confermando legittimamente la statuizione della confisca dei terreni su cui sono stati realizzati gli interventi abusivi), evidenziando che la condotta lottizzatoria consistita sia nel frazionamento dell’originario appezzamento di terreno di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, sia nella costruzione sui singoli lotti di manufatti destinat anche a utilizzi residenziali, ciò in una zona classificata come Agricola E2, dove l’edificazione era consentita a imprenditori agricoli e su lotti con superficie minima di un ettaro, ossia 10.000 mq., laddove i lotti interessati sono risultati pari, quanto a COGNOME, a 1.700 mq., quanto a COGNOME, a 900 mq. e quanto alla COGNOME, a 821 mq., essendo stati i lotti assistiti da accessi carrabili e recintati con opere murarie
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idonee a non consentire alcuna visibilità all’esterno, creando così condizioni di riservatezza coerenti con le finalità residenziali impresse ai manufatti interni. Le condotte illecite in esame, di cui è stata ragionevolmente esclusa la particolare tenuità, in ragione della pluralità e dell’estensione delle stesse, sono state ascritte sia a COGNOME, sia alla COGNOME, avendo costoro compartecipato quantomeno alle operazioni negoziali di suddivisione del terreno, alla realizzazione delle opere murarie esterne e alla predisposizione dei collegamenti per l’approvvigionamento dell’energia elettrica e dell’acqua, per cui, a prescindere dell’entità delle costruzion esistenti al momento dell’accertamento nei singoli lotti nella disponibilità degli imputati, i giudici di merito, in modo pertinente, hanno operato una valutazione unitaria e non atomistica del complessivo intervento edilizio posto in essere.
3. In definitiva, in quanto sorretto da argomentazioni razionali e coerenti con le fonti dimostrative acquisite, il giudizio sulla configurabilità dei reati ascrit entrambi i ricorrenti resiste alle censure difensive, con le quali si sollecita, peralt in termini non adeguatamente specifici e non senza limiti di autosufficienza del ricorso nel richiamo a fonti di prova il cui contenuto non è stato allegato o riportato, una lettura alternativa del materiale probatorio, operazione non consentita in questa sede, dovendosi richiamare la costante affermazione della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. Non sono infatti deducibili innanzi a questa Corte censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua contraddittorietà e dalla sua illogicità ove non manifesta su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probator del singolo elemento (cfr. Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Rv. 280747). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4. In conclusione, stante la manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, i ricorsi proposti nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
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Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 20/03/2024