Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7865 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 7865  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a OFFIDA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/04/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile. udito il difensore procedimento a trattazione scritta.
Ritenuto in fatto
A seguito di opposizione a decreto penale di condanna, il Tribunale di Teramo, ritenuto il fatto di particolare tenuità ex art. 131-bis cod. pen., assolveva NOME COGNOME dalla contravvenzione di cui agli artt. 134 e 140, R.d. n. 773 del 1931, perché, nella qualità di titolare dell’istituto di investigazioni priva denomiNOME “RAGIONE_SOCIALE“, esercitava l’attività anche a seguito della scadenza della licenza, senza averne comunicato al Prefetto la prosecuzione.
Con sentenza in data 4 aprile 2023, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la pronuncia di primo grado, ritenendo che la responsabilità dell’imputato conseguiva al fatto che egli aveva inviato la richiesta di prosecuzione dell’attività ad un errato indirizzo di posta elettronica della Prefettura, di tal c l’attività era proseguita irregolarmente. Ravvisata la lieve entità del fatto, ha confermato il riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
 Avverso tale decisione, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi di censura.
Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione per avere la Corte territoriale errato nell’affermare che l’imputato aveva inviato ad un indirizzo mali sbagliato della Prefettura, la comunicazione di prosecuzione dell’attività. Fin dal primo grado di giudizio, il ricorrente aveva prodotto documentazione dalla quale risultava che la comunicazione era stata inviata ad un indirizzo mali esistente e funzionante, ancora utilizzato dalla Prefettura, la quale, infatti, aveva rinvenuto la comunicazione, sia pure successivamente. Inoltre, aveva prodotto una comunicazione dell’Amministrazione, la quale attestava la tempestività della comunicazione. Ciò troverebbe conferma nella circostanza per cui la richiesta avanzata dal ricorrente non aveva avviato una nuova procedura per il rilascio della licenza, come invece accade qualora la comunicazione sia tardiva. Pertanto, doveva ritenersi errata l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale l’attività dell’imputato sarebbe proseguita irregolarmente.
Con il secondo motivo deduce la violazione di legge, per mancata assunzione di una prova decisiva. Il ricorrente aveva richiesto alla Corte d’appello, in quanto assolutamente necessario, l’audizione del Viceprefetto, il quale avrebbe dovuto testimoniare in ordine alla circostanza che il mancato esame della comunicazione del COGNOME era dovuto ad una problematica interna alla Prefettura.
In via subordinata ha chiesto che il reato contestato, consumato il 7.2.2018, sia dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, così come peraltro richiesto nelle sue conclusioni dal Procuratore generale nel giudizio d’appello.
 Il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile risolvendosi nello svolgimento di censure in fatto e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello. Ha ritenuto infine non maturato il termine di prescrizione del reato.
Il ricorrente ha depositato una memoria con la quale svolge ulteriori argomentazioni a sostegno dei motivi di ricorso.
Considerato in diritto
 Il ricorso è fondato, sicché la sentenza deve essere annullata senza rinvio.
Il primo motivo è fondato con conseguente assorbimento delle restanti censure.
In premessa va richiamato l’orientamento di questa Corte secondo il quale il vizio di motivazione, per superare il vaglio di ammissibilità, non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere rilevanti devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa (Sez. 3, n. 30692 del 23/06/2022, COGNOME).
Nella specie, il ricorrente censura l’omessa valutazione, da parte della Corte d’appello, di elementi probatori decisivi ai fini del giudizio di responsabilità, specificamente, dei documenti prodotti dalla difesa dai quali sarebbe emerso che la Prefettura aveva dato atto che la comunicazione di prosecuzione dell’attività era stata tempestivamente presentata.
Invero, la sentenza impugnata, così come quella di primo grado, hanno ritenuto sussistente il reato contestato, affermando la responsabilità a titolo di colpa dell’imputato, per aver inviato la comunicazione di prosecuzione dell’attività ad un indirizzo mail errato, sicché essa non era pervenuta alla Prefettura. Tuttavia, così facendo, la Corte d’appello non si è in alcun modo confrontata con gli elementi in atti, non motivando al riguardo neppure nel senso della loro irrilevanza o
inconferenza. In particolare, ha del tutto omesso di valutare il provvedimento del Prefetto di Teramo in data 17.9.2018, nel quale si dà atto della tempestività della comunicazione di prosecuzione dell’attività presentata dal COGNOME, nonché laddove dispone che l’autorizzazione, risalente al 7.2.2014, e della durata di tre anni, veniva rinnovata fino al 7.2.2020. Proprio la considerazione del termine finale della proroga della licenza, fissata al 2020, rende chiaro che – avendo essa durata triennale – detta proroga ha operato con effetto ex tunc, dal momento della precedente scadenza, avvenuta il 7.2.2017, sicché l’attività svolta nel periodo successivo a tale data doveva ritenersi autorizzata.
Conseguentemente non può configurarsi il reato di cui agli art. 134 e 140 R.d. n. 773 del 1931, il quale sanziona l’esercizio dell’attività imprenditoriale di vigilanza e custodia di beni per conto terzi, in assenza della licenza del Prefetto.
Alla luce delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024.