Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35407 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME COGNOME
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35407 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/10/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME
CC – 08/10/2025
R.G.N. 20511/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante della società
NOME COGNOME rappresentata ed assistita dall’AVV_NOTAIO – di fiducia nel procedimento penale nei confronti di:
COGNOME NOME, nata a Macerata il giorno DATA_NASCITA
rappresentata ed assistita dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO – di fiducia avverso l’ordinanza in data 27/05/2025 del Tribunale di Ancona in funzione di giudice del riesame,
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
letta la memoria difensiva datata 29 settembre 2025 con motivi aggiunti nell’interesse di NOME COGNOME (oltre che di NOME COGNOME e NOME COGNOME che risultano sottoposti ad indagini nel medesimo procedimento ma nei confronti dei quali si procede separatamente);
preso atto che Ł stata richiesta la trattazione orale del procedimento e che i difensori di entrambe la parti private hanno fatto successivamente pervenire una rinuncia congiunta a detta modalità di trattazione;
rilevato in via preliminare che la richiesta di trattazione orale del procedimento non Ł revocabile per espressa disposizione di legge (art. 611, comma 1-ter cod. proc. pen.) con la conseguenza che si procederà all’audizione della parte pubblica presente;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 27 maggio 2025, a seguito di giudizio di riesame ex artt. 257 e 324 cod. proc. pen. promosso dall’indagata NOME COGNOME, il Tribunale di Ancona ha annullato il decreto di sequestro probatorio emesso in data 31 marzo 2025 dal Pubblico Ministero presso il Tribunale della medesima città.
Risulta dagli atti che NOME COGNOME Ł sottoposta ad indagini (unitamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME) in relazione ai delitti di cui agli artt. 81 cpv., 513, 615-ter e 646 cod. pen. commessi in Ancona in epoca anteriore e prossima al 16 aprile 2023.
In relazione a tale procedimento il Pubblico Ministero ha emesso il citato decreto di
perquisizione e sequestro al fine di individuare a sottoporre a vincolo «quanto ritenuto utile al fine RAGIONE_SOCIALE indagini» e, in particolare, «scritti o apparati/supporti informatici che possano custodire documentazione probatoria riconducibile alle condotte delittuose in contestazione».
In esecuzione del suddetto decreto in data 8 maggio 2025 la Guardia di Finanza ha perquisito l’abitazione degli indagati ed i locali della società RAGIONE_SOCIALE (della quale NOME COGNOME Ł il legale rappresentante) ed ha sottoposto a vincolo reale documentazione, vari smartphone, notebook, tablet e chiavette USB come da elenco contenuto nei relativi verbali.
Il Tribunale del riesame, con l’ordinanza impugnata, ha annullato il decreto di sequestro ordinando la restituzione dei beni sottoposti a cautela reale rilevando la totale sovrapponibilità tra i fatti di cui al procedimento qui in esame e quelli di altro procedimento penale (R.G.n.r. 4269/2023) a carico di NOME COGNOME, già sfociato nell’esercizio dell’azione penale nei confronti di quest’ultima, procedimento nel quale la RAGIONE_SOCIALE in due occasioni aveva richiesto l’emissione di provvedimenti di perquisizione e sequestro nei confronti della COGNOME e degli odierni indagati, misura non disposta dal Pubblico Ministero per ragioni (ritenute condivisibili anche nell’ordinanza qui in esame) indicate nel proprio provvedimento in data 2 ottobre 2023 e condiviso dal G.i.p. con propria ordinanza in data 11 ottobre 2023, atti nei quali si era evidenziato che la misura cautelare reale richiesta in modo diffusivo e generalizzato, con accesso a dati anche sensibili dei soggetti interessati, risultava del tutto sproporzionata rispetto all’accertamento dei fatti che trovavano già prova nei documenti in atti.
A fine del corretto inquadramento della vicenda procedimentale deve essere evidenziato che a seguito di reiterazione/integrazione di querela da parte della persona offesa – in quanto l’originaria querela aveva portato all’iscrizione del procedimento (R.G.n.r. 4269/2023) nei confronti della sola COGNOME e per i soli reati di cui agli artt. 513 e 615-ter cod. pen. – risulta essere stato successivamente iscritto un nuovo procedimento penale (R.G.n.r. 5352/24) nei confronti di NOME COGNOME e di altri, assegnato ad altro Pubblico Ministero del medesimo Ufficio di Procura, nel quale, per l’appunto, Ł stato emesso il decreto di perquisizione e sequestro oggetto dell’annullamento di cui si discute.
Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore della persona offesa RAGIONE_SOCIALE, deducendo:
2.1. Violazione di legge ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen. per errata applicazione del principio del bis in idem ai sensi dell’art. 649 cod. proc. pen., dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea recepito nell’ordinamento italiano ai sensi dell’art. 6 del Trattato dell’Unione Europea e dell’art. 117 della Costituzione.
Dopo avere ricostruito l’evoluzione procedimentale riportata anche nell’ordinanza impugnata e di cui si Ł detto ed avere premesso di avere, con istanza datata 20 novembre 2023, richiesto il sequestro non solo dei beni in uso alla COGNOME ma anche di un PC portatile ‘MacBook pro TARGA_VEICOLO‘ e di un ‘adattatore per presa USB Mac’ dati in consegna a NOME COGNOME ma di proprietà dell’odierna ricorrente ed avere visto respinta la predetta richiesta, rappresenta la difesa della ricorrente, in assenza di qualsivoglia attività investigativa posta in essere dall’A.G., di avere dato incarico al responsabile del Centro RAGIONE_SOCIALE della propria azienda di fare ulteriori accertamenti che portavano all’emersione di accessi non autorizzati al sistema informatico della società.
Essendo nel frattempo già state chiuse le indagini nei confronti della COGNOME ed essendo – asseritamente – emersi elementi anche a carico dei figli della stessa (tra i quali NOME COGNOME) ne conseguiva la presentazione di una nuova querela da parte di I Com
RAGIONE_SOCIALE che portava, come detto, all’iscrizione di nuovo procedimento nei confronti di questi ultimi.
Ciò ulteriormente premesso, evidenzia la difesa della ricorrente che:
a) avrebbe errato il Tribunale del riesame nel ritenere che non vi Ł alcuna soluzione di continuità tra le richieste di perquisizione e sequestro avanzate dalla persona offesa il 2 ottobre 2023 ed l’11 ottobre 2023 e non accolte ed il decreto di sequestro impugnato dagli indagati;
nel caso in esame non opera alcuna preclusione processuale in tema di sequestro probatorio allorquando tale misura non Ł mai stata disposta;
non vi Ł alcuna coincidenza, quantomeno sotto il profilo soggettivo, tra il procedimento nel quale furono rigettate le richieste di perquisizione e sequestro ed il procedimento nel quale invece dette richieste sono state accolte;
emerge dalla sola lettura della nuova querela depositata in data 16 settembre 2024 che nella stessa erano stati indicati fatti nuovi in precedenza non emersi relativi da un lato al coinvolgimento anche di NOME COGNOME nella gestione della nuova società RAGIONE_SOCIALE e dall’altro, agli accessi non autorizzati da parte di altri indagati al sistema informatico della società.
2.2. Violazione di legge ex art. 325 in relazione all’art. 324, comma 7, cod. proc. pen. per avere il Tribunale del riesame omesso di adattare la misura cautelare alle esigenze di proporzionalità e riservatezza.
Evidenzia sul punto la difesa del ricorrente che ben avrebbe potuto il Tribunale del riesame invece di revocare in toto il decreto di sequestro adattarlo ai principi di proporzionalità e riservatezza limitandosi a disporre l’estrazione di ‘copia forense’ dei soli dati utili ai fini investigativi contenuti nei dispositivi informatici prima di disporne la restituzione.
A ciò si aggiunge che gli indagati nella richiesta di riesame del provvedimento cautelare non avrebbe neppure indicato quale sarebbe stato l’interesse leso dal sequestro dei predetti apparati.
2.3. Violazione dell’art. 325 cod. proc. pen. in relazione all’art. 263 cod. proc. pen. per non avere rimesso le parti dinanzi al Giudice civile.
Evidenzia, al riguardo, la difesa della ricorrente che dagli atti del fascicolo risulta l’esistenza di una contestazione sulla proprietà od il possesso dei beni sequestrati ed in particolare, oltre alla documentazione cartacea nel dettaglio indicata, di «un computer portatile TARGA_VEICOLO rinvenuto presso l’abitazione di NOME COGNOME di asserita proprietà della RAGIONE_SOCIALE sul quale erano altresì installati programmi specifici per la grafica del pacchetto Adobe con licenza aziendale».
Ne conseguirebbe che rispetto a tali beni non doveva essere disposto il dissequestro e che il Tribunale, una volta accertata l’esistenza di una controversia sulla proprietà di detti beni, anche in assenza di formale pendenza della lite avrebbe dovuto rimettere gli atti al giudice civile mantenendo nel contempo il sequestro, cosa che non ha fatto.
2.4. Con memoria difensiva datata 29 settembre 2025 la difesa dell’indagata ha:
eccepito l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione attiva della persona offesa evidenziando che la vicenda verte su di un sequestro probatorio disposto dal Pubblico Ministero e che l’art. 325 cod. proc. pen. che disciplina il ricorso per cassazione avverso le ordinanze del Tribunale del riesame attribuisce la legittimazione attiva solo al Pubblico Ministero e all’indagato;
evidenziato, in via subordinata:
l’infondatezza dei motivi di ricorso nella parte in cui la difesa della ricorrente ha sostenuto che l’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente applicato il principio del ne bis in idem , assumendo che non vi sarebbe coincidenza tra il procedimento R.G.n.r. 4269/2023 (a carico della sola COGNOME) e il nuovo fascicolo R.G.n.r. 5352/2024;
l’infondatezza della censura sulla proporzionalità del sequestro probatorio in quanto la giurisprudenza di legittimità non legittima i sequestri esplorativi, il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio di proporzionalità e competeva semmai al Pubblico Ministero indicare elementi concreti e specifici a fondamento della necessità di sequestrare dispositivi nella loro interezza;
la correttezza della revoca integrale del sequestro ricollegabile alla illegittimità intrinseca del decreto;
l’infondatezza della deduzione della ricorrente relativa alla violazione dell’art. 263, comma 3, cod. proc. pen., per non avere il Tribunale rimesso la controversia al giudice civile ciò in quanto la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la nozione di ‘controversia’ rilevante ai sensi dell’art. 263 implica una contestazione effettiva, seria e attuale circa la titolarità dei beni, e non una mera allegazione della persona offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Rileva in via preliminare ed assorbente il Collegio che l’art. 325 cod. proc. pen. testualmente dispone che «contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322-bis e 324, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, nonchØ le associazioni e gli enti di cui all’articolo 19-quater RAGIONE_SOCIALE disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge».
Non sfugge che nell’indicato elenco dei soggetti legittimati a proporre il ricorso per cassazione non Ł indicata anche la persona offesa dal reato.
E’, infatti, doveroso ricordare che nel caso in esame si verte in tema di sequestro del corpo del reato e RAGIONE_SOCIALE cose ad esso pertinenti, da astringere al processo per esigenze dimostrative dei fatti contestati (art. 253, comma 1, cod. proc. pen.), che Ł un mezzo di ricerca della prova (Libro III, Titolo III, Capo III del codice di rito) che compete al Pubblico Ministero e non una misura cautelare reale (Libro IV, Titolo II, Capi I e II, cod. cit.).
Ciò posto, il Capo III (cit.) nel disciplinare l’istituto del sequestro (cd. ‘probatorio’), attribuisce al Pubblico Ministero il potere di sacrificare le facoltà dominicali del titolare del diritto reale, o del possessore della cosa, per esigenze dimostrative del fatto, il che qualifica ex sØ il detto mezzo di ricerca della prova come presidio precario, che esaurisce la sua funzione con la dimostrazione della ipotesi d’accusa contenuta in imputazione (Sez. 2, n. 46651, del 23/10/2012, Rv. 253827; seguita da Sez. 2, n. 27141, del 4/3/2014; Sez. 2, n. 43355, del 21/10/2015, non massimate) e, a tal fine, il sistema processuale facoltizza lo stesso Pubblico Ministero ad accedere al regime impugnatorio proprio per salvaguardare le proprie prerogative istituzionali.
Nulla quaestio , poi che anche l’imputato (ed il suo difensore) possano essere legittimati ad interloquire nelle varie fasi processuali sul provvedimento di sequestro.
Poste tali premesse, deve ancora preliminarmente rilevarsi che, tra i soggetti legittimati dall’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., a proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse dal tribunale per il riesame nell’ambito dell’incidente cautelare, la legge indica anche la persona cui le cose sequestrate devono essere restituite. Per tale dovendo tuttavia intendersi, in assenza di un diverso accertamento irrevocabile, la persona cui la cosa Ł stata sottratta per effetto del sequestro.
Questa Corte (Sez. 5, n. 35370 del 22 settembre 2006, COGNOME ed altro, Rv. 232205) ha infatti chiarito che la eventuale caducazione del vincolo importa l’obbligo di restituzione del bene alla libera disponibilità di colui al quale sia stato sottratto, restituzione che non può restare subordinata ad una inversione dell’onere della prova sulla originaria legittimità del possesso, nØ derogare alle regole in tema di possesso.
Non sfugge, al riguardo, al Collegio che in un passaggio del ricorso si sostiene che un PC portatile ‘MacBook pro 13 TARGA_VEICOLO‘ ed un ‘adattatore per presa USB Mac’ dati in consegna a NOME COGNOME, oggetto del sequestro poi revocato, sarebbero di proprietà dell’odierna ricorrente, il che – astrattamente – potrebbe legittimare la I Com a proporre ricorso quale soggetto «che avrebbe diritto alla loro restituzione».
Tuttavia va ricordato che sempre questa Corte di legittimità ha affermato che il giudice con la restituzione dei beni assoggettati a sequestro probatorio e non piø necessari a scopo di prova, deve ripristinare lo status quo anteriore all’imposizione del vincolo, con la conseguenza che, solo là dove risulti pacifica la proprietà, la restituzione va disposta in favore del soggetto ricorrente (nel caso di specie la società RAGIONE_SOCIALE), mentre altrimenti la cosa va restituita al soggetto al quale Ł stata sottratta la disponibilità dei beni sequestrati, non potendo il giudice in tale sede anticipare la risoluzione di una eventuale controversia civile a favore di soggetto diverso (Sez. 2, n. 43424 del 22 ottobre 2003, P.o. in proc. Gerosa, rv. 228192: fattispecie relativa ad un immobile sequestrato all’indagato in relazione al reato di truffa, nella quale la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari di restituire all’indagato, anzichØ alla parte offesa, il predetto bene).
Invero, quando si ritenga esaurita – o come nel caso in esame non necessaria – la funzione probatoria, tipica del vincolo imposto ai sensi dell’art. 253 cod. proc. pen., non può giustificarsi in alcun modo – se non nell’ottica di uno sviamento dell’atto dai fini tipici che la legge gli assegna – l’attribuzione dei beni in sequestro a persona diversa da quella alla quale, per il tempo strettamente indispensabile a garantire la prova, erano stati sottratti: lo strumento probatorio non può, infatti, essere utilizzato, da parte del pubblico ministero, a fini diversi (cautelari o conservativi), considerato, in particolare, che la finalità di evitare “la disponibilità della cosa in capo all’imputato”, implicando la pericolosità del possesso della res , ha natura cautelare, per nulla attinente al vincolo probatorio apposto. E le finalità di natura cautelare possono essere perseguite esclusivamente attraverso misure di carattere personale o reale, tipiche e nominate, la cui adozione non Ł affidata alle mere valutazioni dell’organo dell’accusa circa la rilevanza dell’apprensione ai fini dell’acquisizione della prova, ma rientra nella competenza dell’organo della giurisdizione.
Da quanto detto ne consegue che deve essere ribadito il principio di diritto secondo il quale «La persona avente diritto alla restituzione del bene, legittimata a proporre ricorso per cassazione ex art. 325 cod. proc. pen. avverso l’ordinanza emessa dal tribunale del riesame, si identifica in colui al quale il bene Ł stato sottratto con il sequestro probatorio» (In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione del denunziante per appropriazione indebita avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva restituito il bene oggetto della denunzia a chi lo deteneva al momento del sequestro) (Sez. 2, n. 41107 del 24/09/2019, Morrone, Rv. 277927 – 01).
Consegue che il soggetto avente diritto alla restituzione dei beni oggetto di sequestro e quindi legittimato alla proposizione del ricorso qui in esame, era, nella fattispecie – certamente e soltanto – la persona alla quale detti beni erano stati sequestrati e giammai la società denunziante/querelante, oggi ricorrente, la quale, da un lato, in detta qualità, non poteva pertanto ritenersi legittimata a proporre il ricorso per cassazione e, dall’altro, si Ł
limitata ad affermare, per tramite del suo legale rappresentate, ma non a provare che alcuni beni sottoposti a vincolo erano di sua proprietà.
La rilevata carenza di legittimazione alla sua proposizione comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso il che rende superfluo l’esame dei motivi ivi dedotti.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della società ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento nonchØ, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende. Così Ł deciso, 08/10/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME