Legittimazione a Impugnare in Fase Esecutiva: la Cassazione Fa Chiarezza
L’ordinanza in esame, emessa dalla Corte di Cassazione, affronta una questione cruciale di procedura penale: la legittimazione a impugnare i provvedimenti del giudice dell’esecuzione. Con una decisione netta, la Suprema Corte ribadisce un principio consolidato, tracciando un confine preciso tra le competenze del Pubblico Ministero e quelle del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello in questa delicata fase del procedimento. La pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere chi sia il soggetto autorizzato dalla legge a contestare le decisioni prese dopo la sentenza definitiva.
Il Caso in Analisi
La vicenda processuale trae origine dal ricorso presentato dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bologna. L’impugnazione era diretta contro un’ordinanza emessa dal Tribunale di Ferrara, in qualità di giudice dell’esecuzione, nei confronti di un soggetto condannato. Il Procuratore Generale, quindi, agiva per contestare una decisione presa nella fase successiva alla condanna definitiva, quella appunto dedicata all’esecuzione della pena.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione non è entrata nel merito delle questioni sollevate dal Procuratore Generale, ma si è fermata a un vaglio preliminare, concentrandosi su un presupposto processuale fondamentale: la titolarità del diritto a impugnare. Secondo la Corte, il ricorso era stato proposto da un “soggetto non legittimato”, ovvero da un organo che, secondo la legge e la giurisprudenza, non aveva il potere di farlo.
Le Motivazioni della Decisione: la Legittimazione a Impugnare
Il cuore della motivazione risiede nella chiara distinzione dei ruoli all’interno dell’ordinamento giudiziario. La Corte di Cassazione ha richiamato la sua giurisprudenza, ormai univoca e consolidata, secondo cui la legittimazione a impugnare i provvedimenti del giudice dell’esecuzione spetta in via esclusiva al pubblico ministero che ha assunto il ruolo di parte in quel specifico procedimento esecutivo.
Il principio cardine è che la fase di esecuzione è un procedimento autonomo, con parti ben definite. La parte pubblica è rappresentata dall’ufficio del Pubblico Ministero presso il giudice che ha emesso l’ordinanza impugnata. La Corte ha specificato che al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello non può essere riconosciuto un “potere di surroga” analogo a quello che gli compete nel giudizio di cognizione (cioè il processo che porta alla sentenza). Mentre nel processo principale il Procuratore Generale può talvolta sostituirsi al Pubblico Ministero di grado inferiore, questo potere non si estende alla fase esecutiva.
La Corte ha citato diversi precedenti conformi (tra cui le sentenze n. 15853/2020, n. 6324/2013 e n. 1375/2011), a dimostrazione di un orientamento stabile che mira a garantire certezza e ordine nelle procedure. Consentire al Procuratore Generale di intervenire creerebbe una sovrapposizione di competenze non prevista dal codice di procedura penale.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza riafferma con forza un principio di rigore procedurale: ogni fase del processo ha le sue regole e i suoi protagonisti. Nella fase esecutiva, l’unico rappresentante dell’accusa legittimato a contestare le decisioni del giudice è l’ufficio del Pubblico Ministero che ha attivamente partecipato al procedimento. Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche: definisce chiaramente le competenze, previene la proposizione di ricorsi da parte di soggetti non autorizzati e, di conseguenza, contribuisce all’efficienza del sistema giudiziario, evitando che le corti superiori vengano investite di questioni proceduralmente inammissibili.
Chi ha il diritto di impugnare i provvedimenti del giudice dell’esecuzione?
Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, la legittimazione a impugnare spetta in via esclusiva al pubblico ministero che ha assunto il ruolo di parte nel procedimento di esecuzione.
Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello può impugnare un’ordinanza del giudice dell’esecuzione?
No. L’ordinanza chiarisce che il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello è un soggetto non legittimato a proporre tale ricorso, poiché non gli è riconosciuto un potere di surroga in questa fase processuale, a differenza di quanto avviene nel giudizio di cognizione.
Qual è la conseguenza di un ricorso presentato da un soggetto non legittimato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò significa che il giudice non esamina il merito della questione sollevata, ma si limita a constatare la mancanza di un presupposto processuale essenziale, chiudendo il procedimento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30414 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30414 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA
nei confronti di:
COGNOME NOME nato a BOLOGNA DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/01/2024 del TRIBUNALE di FERRARA
i dato avviso alle parti; , 7
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
4
Visti gli atti e l’ordinanza impugnata; letti i motivi del ricorso;
Rilevato che il ricorso è stato presentato, avverso ordinanza resa dal Tribunale, quale giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., da soggetto non legittimato, secondo quanto da tempo chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, univoca nel ritenere che la legittimazione a impugnare i provvedimenti adottati dal giudice dell’esecuzione spetti in via esclusiva al pubblico ministero che ha assunto il ruolo di parte nel procedimento, non potendosi riconoscere al Procuratore generale presso la Corte di appello un potere di surroga assimilabile a quello attribuitogli nel giudizio di cognizione (in questo senso, cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 15853 del 25/02/2020, COGNOME, Rv. 278981 – 01; Sez. 1, n. 6324 del 11/01/2013, COGNOME, Rv. 254224 – 01; Sez. 1, n. 1375 del 24/11/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249203 – 01);
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 04/04/2024.