Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 2175 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 2175 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 12/06/2023 del Tribunale di Bologna udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. udite le conclusioni del difensore dell’imputato AVV_NOTAIO, sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME, propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del 12 giugno 2023 con la quale il Tribunale di Bologna ha accolto l’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia avverso l’ordinanza del 13 maggio 2023 con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Emilia ha autorizzato l’imputato ad allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari per svolgere attività lavorativa.
Il ricorrente, con i due motivi di impugnazione, lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza dei presupposti per lo svolgimento di attività lavorativa ed all’incompatibilità dell’autorizzazione ad uscire dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari con le esigenze cautelari.
I giudici dell’appello avrebbero erroneamente ritenuto indimostrato lo stato di indigenza dell’imputato legittimante la richiesta di autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa; il Tribunale, con motivazione illogica, avrebbe fatto riferimento ai redditi percepiti dai genitori conviventi senza tenere conto che sugli stessi non graverebbe alcun obbligo di mantenimento al di fuori di quello alimentare ed ignorando che l’art. 284 cod. proc. pen. prescinderebbe dall’individuazione della situazione economica del nucleo familiare del sottoposto agli arresti domiciliari.
La motivazione sarebbe erronea nella parte in cui è affermato che l’attività lavorativa potrebbe consentire all’imputato di entrare in contatto con «una pluralità di soggetti, vanificando l’esigenza di tutela massima della collettività», affermazione che non tiene conto del fatto che il giovane, privo di patente, verrebbe accompagnato sul luogo di lavoro dal padre ed avrebbe contatti solo con i dipendenti dell’azienda della madre.
I giudici dell’appello avrebbero, inoltre, erroneamente ritenuto l’attività lavorativa incompatibile con la tutela delle esigenze cautelari senza tenere conto del sostanziale affievolimento del pericolo di reiterazione conseguente alla giovane età dell’imputato ed alla significativa resipiscenza manifestata dal reo ed estrinsecatasi nella presentazione delle proprie scuse alla persona offesa, nella condotta risarcitoria e nell’attiva partecipazione al programma di trattamento finalizzato alla sostituzione della pena.
Il ricorso è inammissibile stante la manifesta infondatezza dei motivi di impugnazione.
L’ordinanza impugnata è, infatti, motivata in modo congruo, logico e non manifestamente contraddittorio con riguardo alla ritenuta insussistenza dei presupposti per l’emissione dell’autorizzazione al lavoro ex art. 384 cod. proc. pen. (vedi pagg 3 e 4 del provvedimento impugnato).
3.1. Il Tribunale ha correttamente rilevato che la richiesta di autorizzazione non era in alcun modo documentata in ordine alla dedotta impossidenza del ricorrente e che l’indagato è stato posto agli arresti domiciliari proprio a seguito della disponibilità manifestata dai genitori ad accoglierlo nella casa familiare ed a mantenerlo. Deve essere in proposito ribadito che l’art.284, comma 3, cod. proc. pen., richiede il riconoscimento di una «situazione di assoluta indigenza» da valutare in termini di indispensabilità e di assolutezza e, quindi, in presenza di situazioni obiettivamente riscontrabili che impediscano al soggetto ristretto di poter far fronte in altro modo alle esigenze primarie di sussistenza (Sez. 6, n. 1733 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274841 – 01).
3.2. I giudici dell’appello hanno, inoltre, adeguatamente indicato i motivi che li hanno indotti a ritenere l’autorizzazione ad uscire dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari incompatibile con le esigenze cautelari sussistenti in considerazione della significativa pericolosità dell’indagato desumibile dalla natura e dqlla particolare gravità del reato contestato, dalle ulteriori condotte delinquenziali desumibili dal certificato dei carichi pendenti e dal negativo comportamento processuale culminato nelle due evasioni dagli arresti domiciliari segnalate dalle forze dell’ordine, rimarcando la mancanza di elementi da cui desumere un affievolimento del pericolo di reiterazione del reato e l’esistenza di un concreto rischio che l’indagato possa commettere reati della stessa indole in caso di uscita dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari (vedi pagg. 3 e 4 dell’ordinanza impugnata), con percorso argomentativo che non può esser rivalutato, in questa sede, non essendo i giudici distrettuali incorsi in contraddizioni o illogicità manifeste.
Il Tribunale ha correttamente dato seguito al principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui la valutazione ai fini della concessione del beneficio di cui all’art. 284 cod. proc. pen., comma 3, deve essere improntata a criteri di particolare rigore anche con riferimento alla valutazione della compatibilità dell’attività lavorativa proposta rispetto alle esigenze cautelari poste a base della misura coercitiva (sez. 2, n. 9004 del 17/02/2015, Rv. 263237; sez. 2, n. 12618 del 12/02/2015, Rv. 262775; sez. 6, n. 12337 del 25/02/2008, rv. 239316).
Il ricorrente, invocando una rilettura degli elementi di fatto estranea al sindacato di legittimità, chiede a questa Corte di entrare nella valutazione dei fatti e di privilegiare, tra le diverse ricostruzioni, quella a lui più gradita, senza confrontarsi con quanto motivato dal Tribunale e con le emergenze determinanti per la formazione del convincimento dei giudici dell’appello.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 01 dicembre 2023
Il Consi*re estensore
La Presidente