Ius Postulandi Avvocato: La Forma Vince sulla Sostanza
La Corte di Cassazione, con la recente sentenza in esame, ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale penale: la nomina del difensore deve essere formalmente perfetta. In assenza di un mandato esplicito e registrato, l’avvocato, anche se di fatto ha seguito il cliente sin dalle prime fasi, è privo del cosiddetto ius postulandi avvocato, ovvero del potere di compiere atti processuali validi. Questa decisione sottolinea come un vizio formale nella nomina possa avere conseguenze drastiche, come la dichiarazione di inammissibilità di un appello, rendendo definitiva una condanna. Analizziamo insieme i dettagli di questo caso emblematico.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine dalla condanna di un imputato in primo grado presso il Tribunale per i reati di cui agli articoli 474 (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) e 648 (Ricettazione) del codice penale. L’imputato, tramite il suo legale, proponeva appello avverso tale sentenza.
La Corte di Appello, tuttavia, non entrava nel merito della questione, dichiarando l’appello inammissibile. La ragione era puramente procedurale: l’atto di appello era stato presentato da un avvocato che, sebbene avesse lo stesso cognome del difensore ufficialmente nominato (probabilmente un caso di omonimia o parentela all’interno dello stesso studio legale), non risultava essere il titolare del mandato difensivo. Tutti gli atti del processo, inclusi il decreto di citazione e la sentenza di primo grado, indicavano chiaramente un altro professionista come legittimo difensore.
Contro questa decisione, il difensore proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un errore di fatto ai sensi dell’art. 625-bis del codice di procedura penale. La tesi difensiva sosteneva che la Corte di Appello avesse commesso una svista, non riconoscendo che il legale che aveva depositato l’appello fosse, in realtà, il difensore effettivo dell’imputato sin dalla fase delle indagini preliminari.
La Decisione e lo Ius Postulandi dell’Avvocato
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, definendolo ‘manifestamente infondato’. La decisione si basa su un’analisi rigorosa degli atti processuali, da cui emergeva in modo inequivocabile l’identità del difensore formalmente nominato. La Corte di Cassazione ha specificato che la Corte di Appello non era incorsa in alcun errore percettivo. Gli atti ufficiali, mai contestati in precedenza, indicavano un solo avvocato come difensore, completo di codice fiscale riportato nelle notifiche PEC.
La Corte ha quindi stabilito che l’intenzione dell’imputato di nominare un avvocato diverso da quello risultante agli atti è del tutto irrilevante se non viene mai formalizzata. La volontà deve tradursi in un atto formale di nomina per conferire al legale il potere di rappresentanza, ovvero lo ius postulandi avvocato.
Le Motivazioni della Cassazione
Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra la difesa ‘di fatto’ e la difesa ‘di diritto’. L’esercizio del diritto di difesa nel processo penale richiede il rispetto di precise formalità a garanzia di tutte le parti. Il mandato difensivo è un atto formale che conferisce al legale la legittimazione a compiere atti processuali per conto del proprio assistito. Nel caso di specie, l’avvocato che ha presentato l’appello non era destinatario di tale mandato. La Suprema Corte ha sottolineato che la difesa non aveva fornito alcun elemento concreto per dimostrare un presunto errore di fatto nell’individuazione del difensore nominato. Non è sufficiente affermare di essere il ‘difensore effettivo’ se tale status non è supportato da un atto di nomina formale agli atti del procedimento. Di conseguenza, l’appello è stato correttamente dichiarato inammissibile per carenza dello ius postulandi in capo a chi lo ha proposto.
Le Conclusioni
La sentenza rappresenta un monito severo sull’importanza del rigore formale nella gestione del mandato difensivo. Un errore, una svista o un’assunzione tacita possono compromettere irrimediabilmente il diritto di impugnazione. La volontà del cliente deve sempre essere tradotta in un atto formale e inequivocabile, poiché il giudice decide sulla base di ciò che risulta dagli atti del processo (‘quod non est in actis non est in mundo’). Per gli operatori del diritto, la lezione è chiara: verificare sempre la correttezza formale della propria nomina prima di compiere qualsiasi atto processuale è un dovere imprescindibile per tutelare efficacemente i diritti del proprio assistito. La conseguenza del mancato rispetto di questa regola è stata, nel caso di specie, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Perché l’appello è stato dichiarato inammissibile in primo luogo?
L’appello è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Appello perché l’atto era stato presentato da un avvocato che non risultava formalmente titolare del mandato difensivo. Tutti gli atti processuali ufficiali indicavano un altro legale come difensore nominato dall’imputato.
L’intenzione dell’imputato di nominare un certo avvocato è sufficiente a renderne validi gli atti?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera intenzione dell’imputato di nominare un determinato avvocato è irrilevante se non viene tradotta in un atto di nomina formale. Senza una nomina ufficiale, il legale è privo dello ius postulandi, cioè del potere di compiere validamente atti processuali.
Cosa ha stabilito la Cassazione riguardo all’errore di fatto denunciato dalla difesa?
La Cassazione ha stabilito che non vi è stato alcun errore di fatto da parte della Corte di Appello. L’identità del difensore legittimato risultava in modo chiaro e inequivocabile da tutti gli atti del processo, che non erano mai stati contestati. Pertanto, l’individuazione del difensore privo di legittimazione era corretta e non frutto di una svista percettiva.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3774 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3774 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato in Senegal il 10/6/1950 avverso il provvedimento della Corte di appello di Venezia in data 30/11/2023 udita la relazione della cons. NOME COGNOME lette le conclusioni con le quali il Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO E CONDIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di Venezia con sentenza del 30/11/2023 ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’odierno ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Venezia che lo aveva condannato per i delitti di cui agli artt. 474 e 648 cod.pen.
Denuncia il difensore un errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 625bis cod. proc. pen. poiché la Corte di appello, nel dichiarare inammissibile l’appello per carenza dello ius postulandi in capo all’avv. NOME COGNOME COGNOME sarebbe incorsa in errore posto che tale professionista risultava il difensore effettivo di NOME COGNOME sin dalla fase delle indagini preliminari.
Il motivo proposto è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha rilevato che l’atto di appello era stato presentato dall’avv. NOME COGNOME COGNOME con studio in San Donà del Piave ( VE), INDIRIZZO osservando che questi non risultava, ab origine, officiato del mandato, conferito solo all’avv. NOME COGNOME (padre di NOME COGNOME) all’epoca vivente.
Anche il decreto di citazione e la sentenza di primo grado, evidenzia la Corte, recano sempre l’indicazione, quale difensore dell’imputato, dell’avv. NOME COGNOME il cui codice fiscale è anche riportato nella PEC di notifica del decreto, senza che tale indicazione sia stata mai contestata.
Non si ravvisa, pertanto, alcun errore percettivo da parte della Corte di appello nella individuazione del difensore dell’imputato legittimato a proporre l’appello nell’avv. NOME COGNOME e non nell’avv. NOME COGNOME COGNOME non avendo questi addotto elementi dimostrativi dell’assunto circa l’esistenza di un errore di fatto dell’imputato nell’operare la nomina, a nulla rilevando l’intenzione di NOME COGNOME di nominare l’avv. NOME COGNOME COGNOME quale proprio difensore, mai esternata dall’interessato, né formalizzata in alcun modo.
p.q.m.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/12/2024