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Istanza via PEC: inammissibile nel processo penale

Un condannato chiede il rinvio di un’udienza per legittimo impedimento, inviando un’istanza via PEC due giorni prima. La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile. Motivi: nel processo penale, l’istanza via PEC da parte privata non è una forma di comunicazione valida; inoltre, la richiesta di rinvio per legittimo impedimento presuppone una espressa volontà di presenziare, che mancava, ed è stata presentata fuori termine.

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Pubblicato il 11 agosto 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Istanza via PEC nel processo penale: Quando è inammissibile?

L’avanzamento tecnologico ha introdotto strumenti come la Posta Elettronica Certificata (PEC), che promettono di semplificare le comunicazioni. Tuttavia, il loro utilizzo in ambito legale, e in particolare nel processo penale, è soggetto a regole precise. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i limiti all’uso di una istanza via PEC, dichiarando inammissibile un ricorso basato su una richiesta di rinvio inviata con questa modalità. Analizziamo la decisione per capire le regole e le cautele da adottare.

Il caso in esame: richiesta di rinvio per motivi di salute

La vicenda riguarda un condannato che si era visto revocare il beneficio dell’indulto da parte della Corte di Appello. Contro questa decisione, era stata fissata un’udienza in camera di consiglio. Due giorni prima della data stabilita, l’interessato, adducendo un “assoluto impedimento a comparire per gravi problemi di salute”, inviava tramite il proprio difensore un’istanza di rinvio. La comunicazione, corredata di certificato medico, veniva trasmessa a un indirizzo di Posta Elettronica Certificata della cancelleria penale.

Nonostante l’istanza, la Corte di Appello celebrava l’udienza e decideva sul caso. L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando la violazione del proprio diritto di difesa per la mancata considerazione del suo legittimo impedimento.

I limiti procedurali dell’istanza via PEC

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendolo manifestamente infondato e quindi inammissibile. La decisione si basa su più argomenti giuridici interconnessi, che delineano un quadro molto rigido per l’utilizzo di strumenti informatici nel processo penale.

Il punto centrale è che, a differenza del processo civile, nel processo penale non è generalmente consentito alle parti private (imputato e suo difensore) utilizzare la PEC per depositare istanze o memorie. La normativa in vigore, pur avendo introdotto le comunicazioni telematiche, le riserva principalmente alle cancellerie per le notifiche a soggetti diversi dall’imputato e in casi specificamente previsti. L’invio di una istanza via PEC da parte del difensore è, quindi, una modalità non prevista e irregolare.

La necessità di una espressa volontà di presenziare

Un altro aspetto fondamentale riguarda la natura dell’udienza in camera di consiglio, disciplinata dall’art. 127 del codice di procedura penale. In questo contesto, la partecipazione dell’imputato è solo eventuale. Il rinvio per legittimo impedimento è possibile solo se l’imputato ha preventivamente e chiaramente manifestato la volontà di essere presente e di venire sentito personalmente. Nel caso di specie, il ricorrente aveva chiesto solo il rinvio, senza aver mai espresso il desiderio di partecipare all’udienza. Questa omissione è stata fatale.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha articolato la sua decisione su tre pilastri principali:
1. Irregolarità della comunicazione: La trasmissione dell’istanza tramite PEC è stata considerata una modalità non conforme alle regole del processo penale. La giurisprudenza ha costantemente ribadito che alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni e notificazioni mediante PEC, rendendo tale strumento inaffidabile per garantire il diritto di difesa in questo contesto.
2. Mancata manifestazione di volontà: Il diritto al rinvio dell’udienza camerale per legittimo impedimento è subordinato a una precedente ed esplicita richiesta dell’imputato di voler presenziare. Poiché tale richiesta non era stata formulata, la Corte di Appello non era obbligata a rinviare l’udienza.
3. Onere della prova e tardività: Anche a voler considerare l’istanza, essa era stata presentata solo due giorni prima dell’udienza, violando il termine di cinque giorni previsto dall’art. 127 c.p.p. Inoltre, chi utilizza un mezzo di comunicazione irregolare come la PEC ha l’onere di dimostrare non solo l’invio, ma anche l’effettiva ricezione e sottoposizione dell’atto al giudice. Nel caso specifico, non solo mancava questa prova, ma il fatto che il provvedimento impugnato non menzionasse l’istanza faceva presumere che non fosse mai giunta a conoscenza della Corte.

Le conclusioni

La sentenza della Cassazione conferma un principio di rigore formale nel processo penale. L’utilizzo di strumenti moderni e apparentemente efficienti come la PEC non può sostituire le forme previste dal codice di rito. Per far valere un legittimo impedimento in un’udienza camerale, è indispensabile non solo documentare l’impedimento, ma anche aver manifestato espressamente la volontà di partecipare e utilizzare i canali di comunicazione previsti dalla legge, rispettando i termini. Affidarsi a modalità non autorizzate espone al rischio concreto di inammissibilità, con la conseguenza di non poter far valere le proprie ragioni nel merito.

È possibile inviare un’istanza di rinvio udienza tramite PEC nel processo penale?
No, la sentenza chiarisce che per le parti private l’uso della PEC per depositare istanze non è una modalità di comunicazione o notificazione consentita nel processo penale, in assenza di una norma specifica che la autorizzi.

Cosa deve fare un imputato per ottenere il rinvio di un’udienza in camera di consiglio per legittimo impedimento?
L’imputato non solo deve comunicare tempestivamente il legittimo impedimento, ma deve anche aver manifestato espressamente la volontà di essere presente all’udienza e di essere sentito personalmente. In assenza di tale espressa richiesta, il giudice non è tenuto a disporre il rinvio.

Se invio un’istanza con un mezzo non previsto dalla legge, come la PEC, chi deve provare che sia arrivata al giudice?
L’onere di provare che la comunicazione, sebbene irregolare, sia effettivamente pervenuta in cancelleria e sia stata sottoposta all’attenzione del giudice spetta alla parte che l’ha inviata. Se non si fornisce questa prova, si presume che l’istanza non sia mai giunta a destinazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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