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Istanza inammissibile: quando è mera riproposizione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato avverso un’ordinanza del Tribunale di Nola. L’ordinanza aveva rigettato un’istanza volta al riconoscimento della continuazione tra reati, qualificandola come una mera riproposizione di una richiesta già decisa in precedenza. La Suprema Corte ha chiarito che in questi casi, la legge prevede una procedura semplificata (“de plano”) senza udienza. Poiché il Tribunale aveva invece concesso un’udienza, ha fornito garanzie superiori a quelle richieste, rendendo infondata la doglianza del ricorrente sulla violazione del diritto al contraddittorio. La decisione sottolinea che la procedura per una istanza inammissibile mira a prevenire l’abuso del processo.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Istanza Inammissibile: la Cassazione chiarisce quando è mera riproposizione

Nel complesso mondo della procedura penale, la fase esecutiva rappresenta un momento cruciale in cui si definisce concretamente la pena da scontare. Un principio fondamentale è quello dell’economia processuale e della ragionevole durata del processo, che mira a evitare abusi e lungaggini inutili. In questo contesto si inserisce la recente sentenza della Corte di Cassazione, che ha affrontato il tema della istanza inammissibile quando questa si configura come una semplice ripetizione di una richiesta già rigettata. La decisione chiarisce i poteri del giudice e i limiti del diritto di difesa in tali circostanze.

I Fatti del Caso

Un soggetto, condannato con tre distinte sentenze per reati gravi, presentava al Tribunale di Nola, in qualità di giudice dell’esecuzione, un’istanza per ottenere il riconoscimento del “vincolo della continuazione”. Questo istituto giuridico avrebbe consentito di unificare le pene, considerandole come parte di un unico disegno criminoso, con un trattamento sanzionatorio più favorevole.

Il Tribunale dichiarava l’istanza inammissibile. La motivazione era netta: la richiesta era identica a un’altra già presentata dallo stesso soggetto e decisa con un’ordinanza del 2018. Poiché non erano stati addotti elementi nuovi a sostegno della domanda, si trattava di una mera riproposizione. Contro questa decisione, il difensore del condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando due violazioni principali:

1. La violazione del diritto al contraddittorio, poiché l’ordinanza del 2018 era stata acquisita dal giudice senza indire una nuova udienza per permettere alla difesa di esprimersi.
2. La contraddittorietà della motivazione, sostenendo che tale ordinanza non fosse nemmeno presente nel fascicolo processuale.

L’istanza inammissibile e la Procedura “De Plano”

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo inammissibile. Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione dell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che il giudice dell’esecuzione, se ritiene una richiesta manifestamente infondata o una mera riproposizione di un’istanza già rigettata, può dichiararla inammissibile con un decreto motivato “de plano”, cioè senza instaurare un contraddittorio formale e senza fissare un’udienza.

La ratio di questa procedura semplificata è evidente: impedire l’abuso dello strumento processuale e prevenire decisioni contrastanti sulla stessa questione in assenza di nuovi elementi. Si tratta di un meccanismo di controllo preventivo che bilancia il diritto di difesa con l’interesse superiore alla funzionalità e alla ragionevole durata della giustizia.

La Tutela Superiore Offerta dal Giudice di Merito

Nel caso specifico, la Corte ha osservato un paradosso. Il ricorrente si doleva della violazione del contraddittorio, ma il Tribunale di Nola, invece di procedere “de plano” come avrebbe potuto, aveva addirittura fissato un’udienza camerale a cui le parti avevano partecipato. In altre parole, il giudice di merito aveva offerto garanzie difensive maggiori rispetto a quelle strettamente richieste dalla legge per un’istanza inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente non poteva lamentare un pregiudizio, avendo ricevuto una tutela più ampia del dovuto.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha smontato le argomentazioni difensive punto per punto. Innanzitutto, ha ribadito che l’interesse a evitare decisioni contrastanti e a non sovraccaricare il sistema giudiziario con istanze ripetitive giustifica la compressione momentanea del diritto al contraddittorio prevista dalla procedura “de plano”. Tale compressione non è assoluta, poiché l’interessato conserva il diritto di impugnare il provvedimento e di ripresentare l’istanza qualora disponga di elementi nuovi.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che il documento contestato (l’ordinanza del 2018) doveva essere noto al condannato, essendo stato emesso proprio in risposta a una sua precedente richiesta. Non vi era quindi alcuna lesione del diritto di difesa, poiché la parte era, o avrebbe dovuto essere, a conoscenza del provvedimento che precludeva la nuova istanza.

Infine, per quanto riguarda la presunta assenza dell’atto dal fascicolo, i giudici hanno evidenziato che il ricorrente non aveva fornito alcuna prova concreta a sostegno di tale affermazione, come un’attestazione della cancelleria. La doglianza è stata quindi ritenuta generica e infondata.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma un principio cruciale nella gestione del contenzioso in fase esecutiva: non è ammesso l’abuso del processo attraverso la riproposizione seriale di istanze identiche. Il meccanismo della declaratoria di inammissibilità “de plano” è uno strumento legittimo e funzionale al principio di ragionevole durata del processo, in linea con le garanzie costituzionali ed europee. La decisione chiarisce inoltre che se il giudice, per eccesso di scrupolo, concede garanzie superiori a quelle previste dalla legge, la parte non può in seguito lamentare una violazione dei propri diritti. Questo principio serve a responsabilizzare le parti, che sono tenute a presentare le proprie richieste in modo completo e, soprattutto, a non reiterarle senza validi e nuovi motivi.

Quando un’istanza al giudice dell’esecuzione può essere dichiarata inammissibile “de plano”?
Secondo l’art. 666, comma 2, del codice di procedura penale, un’istanza può essere dichiarata inammissibile senza udienza (“de plano”) quando appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge o quando costituisce una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi.

Se il giudice, invece di decidere “de plano”, fissa un’udienza, la difesa può lamentare una violazione del contraddittorio per questioni procedurali?
No. La Corte chiarisce che fissare un’udienza in un caso in cui la legge consentirebbe una decisione “de plano” significa offrire garanzie difensive maggiori di quelle previste. Pertanto, il ricorrente non può lamentare alcun pregiudizio o violazione, avendo ricevuto una tutela superiore a quella strettamente dovuta.

È necessario che il ricorrente provi l’assenza di un atto dal fascicolo se basa su questo il suo motivo di ricorso?
Sì. La sentenza evidenzia che la semplice affermazione dell’assenza di un atto non è sufficiente. Manca infatti la prova specifica di tale circostanza, che avrebbe potuto essere fornita, ad esempio, con un’attestazione della cancelleria. In assenza di prove, la doglianza viene considerata inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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