Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 27157 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 27157 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 31/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/03/2024 del TRIBUNALE di NOLA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Noia, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza in data 8 marzo 2024 dichiarava inammissibile l’istanza avanzata dal difensore di NOME NOME, avente ad oggetto la richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione fra le seguenti sentenze di condanna: 1) sent. 2/10 emessa dalla Corte di Assise di Appello di Napoli il 18 gennaio 2010 di condanna alla pena di anni dieci di reclusione per i reati di cui agli artt. 416 bis cod. pen., 10, 12, 14 I. 497/74, 7 d.l. 152 1991, conv. con I. 203/91, commessi fra il 2002 e il 2004; 2) sent. 63/11 emessa dalla Corte di Appello di Napoli 1’11/1/2011 di condanna alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione per i reati di cui agli artt. 110, 477, 482 cod.pen. commessi nel 2006; 3) sent. n. 3453/12 emessa dalla Corte di Appello di Napoli il 3/7/2012 di condanna alla pena di anni quindici di reclusione per i reati di cui agli artt. 628 e 629 cod. pen.
Detta istanza, era, secondo il provvedimento impugnato, identica ad altra decisa del medesimo Tribunale in data 26 ottobre 2018, non avendo l’istante proposto nuovi elementi a fondamento della stessa; veniva, pertanto, dichiarata inammissibile ex art. 666, comma 2, cod. proc. pen.
Avverso detta ordinanza NOME tramite il proprio difensore proponeva ricorso, che articolava in due motivi.
2.1. Con il primo motivo eccepiva la nullità dell’ordinanza ex art. 178, comma 1, lett c) cod. proc. pen. per essere stata l’ordinanza n. 24/2018 del 26 ottobre 2018 acquisita in violazione del contraddittorio.
Il ricorrente si doleva del fatto che la ordinanza in oggetto fosse stata acquisita dal giudice dell’esecuzione senza il rispetto delle garanzie del contraddittorio, non avendo fissato, dopo l’avvenuta acquisizione di detto provvedimento, altra udienza onde consentire alla difesa di interloquire sullo stesso e di rassegnare differenti conclusioni.
2.2. Con il secondo motivo lamentava la contraddittorietà della motivazione e il travisamento per invenzione, per essere la decisione fondata su un elemento non presente nel fascicolo.
Il ricorrente lamentava la assenza nel fascicolo della esecuzione del provvedimento in oggetto su cui, peraltro, si è fondata la declaratoria di inammissibilità.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, il Sostituto Procuratore generale concludeva per l’inammissibilità del ricorso.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Come è noto, l’art. 666, comma 2, cod. proc. pen. stabilisce che se la richiesta rivolta al giudice dell’esecuzione appare manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge, ovvero costituisce mera riproposìzione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi, il giudice o il presidente del collegio, sentito il pubblico ministero, la dichiara inammissibile con decreto motivato.
Come si è precisato (Sez. 1, n. 25345 del 19/3/2014, Nozzolino, Rv. 262135) la disposizione anzidetta è volta non solo ad impedire, ma anche a prevenire l’eventualità di contrastanti decisioni sul medesimo punto in presenza di una immutata situazione di fatto.
Ti Tribunale di Noia, invece, anziché procedere de plano, come avrebbe potuto e dovuto, ha instaurato un procedimento in contraddittorio, offrendo al ricorrente maggiori garanzie difensive di quelle riconosciute dal codice di rito, poiché il provvedimento è stato pronunciato in esito all’udienza camerale cui hanno partecipato le parti.
Incidentalmente si osserva che nessun pregiudizio può essere derivato dalla scelta del rito partecipato anziché de plano, di cui eventualmente il ricorrente si possa dolere; in questo senso «è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che dichiari l’inammissibilità per manifesta infondatezza dell’istanza (nella specie, di rideterminazione della pena)ad esito di udienza camerale partecipata, ex art. 666, comma 3, cod. proc. pen., anziché de plano, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo, non derivando dalla diversità del rito alcuna conseguenza pregiudizievole all’interessato, né quanto alla comunicazione e al regime di impugnazione del provvedimento conclusivo – comunque ricorribile per cassazione ex art. 606 cod. proc. pen. – né riguardo agli onorari del difensore – in ogni caso non liquidabili». (Sez. 1, n. 20226 del 08/06/2020, Pirrello, Rv. 279368 – 01).
Ciononostante, il ricorrente si duole della violazione del contraddittorio, poiché non avrebbe potuto interloquire circa l’acquisizione della ordinanza che costituisce il giudicato preclusivo della successiva istanza.
È evidente l’infondatezza di tale doglianza poiché, ex art. 666, comma 2, cod. proc. pen., il provvedimento di inammissibilità, come detto, avrebbe dovuto essere pronunciato senza la instaurazione di alcun contraddittorio, della cui violazione il ricorrente non ha alcuna ragione di dolersi.
L’interesse non solo ad evitare l’eventualità di decisioni contrastanti sulle medesime questioni a fronte di identiche situazioni di fatto, ma addirittura a
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prevenirle, prima che si sia formato un giudicato, è la ratio sottesa al meccanismo di controllo preventivo e senza formalità di contraddittorio alcuno sulla ammissibilità delle istanze; a fronte di tale ·interesse il diritto ad interloqui dell’istante cede, venendo compresso per espressa previsione normativa.
Tale compressione è, ovviamente, momentanea, mantenendo l’istante la possibilità di impugnare detto provvedimento con ricorso per Cassazione e, in ogni caso, di ripresentare la medesima istanza, basandola su elementi nuovi e/o differenti.
In materia di esecuzione, la dichiarazione de plano della inammissibilità dell’opposizione manifestamente infondata è funzionale al principio di ragionevole durata del processo e non contrasta con gli artt. 111, comma secondo, della Costituzione e 6, comma primo, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che non impongono l’applicazione generalizzata dei principi del contraddittorio e dell’oralità ad ogni tipo di decisione preliminare (Sez. 1, n. 45773 del 02/12/2008, Stara, Rv. 242572 – 01).
Si è osservato, infatti, che «la procedura preliminare di declaratoria de plano della manifesta inammissibilità ex art. 666, comma 2 cod. proc. pen. oltre ad essere comune alle diverse forme d’impugnazione (art. 591, comma 2, cod. proc. pen. ) e, più in generale ad ogni procedura attivata su istanza di parte (art. 127, comma 9, cod. proc. pen. ) non è abrogata né contrasta con alcun precetto costituzionale o parametro della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed è anzi funzionale al principio di ragionevole durata giacche è volta ad arginare l’abuso di processo; che l’art. 111, secondo comma, Cost., 2 e l’art. 6, primo comma, CEDU), non impongono affatto l’applicazione generalizzata dei principi del contraddittorio e della oralità evocati ad ogni tipo di decisione preliminare, tanto più quando questa sia limitata ad un riscontro di legittimità dei presupposti per dar corso all’esame del merito dell’istanza; che la stessa Corte di Strasburgo conosce un vaglio preliminare di “ricevibilità” del ricorso a lei rivolto (ex art. 28 Convenzione) affidato in prima istanza a un Comitato di soli tre Giudici; che, con riferimento alla delibazione ex art. 666, comma 2, cod. proc. pen., la garanzia della ricorribilità per cassazione per il controllo di legalità di tale decisione preliminare svolge quindi la funzione di assicurare, sia pure in un momento successivo alla pronuncia del decreto, il contraddittorio tra le parti e l’esercizio del diritto di difesa» (Sez. 1, n. 45773 d 02/12/2008 cit.)
In ogni caso, a tutto volere concedere alla tesi difensiva, il documento di cui il ricorrente lamenta l’acquisizione in violazione del diritto di difesa era conosciuto o doveva essere conosciuto dal condannato, in quanto emesso a seguito di una istanza presentata dal medesimo.
Secondariamente, il ricorrente successivamente alla decisione del giudice dell’esecuzione, avrebbe avuto la possibilità di confutare o contestare il contenuto del medesimo provvedimento, proponendo le proprie doglianze nella fase di legittimità nel contraddittorio delle parti, e ciò non ha fatto, non avvalendosi, dunque, di una facoltà messa a disposizione dall’ordinamento a tutela del diritto di difesa.
1.2. Quanto al secondo motivo di ricorso, è parimenti inammissibile, poiché la asserita non formale acquisizione al fascicolo del provvedimento preclusivo, così come la omessa ostensione al difensore, per le ragioni sopra esplicitate, cioè per la erroneamente ritenuta compressione del diritto al contraddittorio, non costituiscono motivo di annullamento della decisione impugnata.
Non vi è stata lesione né del diritto al contraddittorio, che non è riconosciuto nel caso del procedimento de plano, né del diritto di difesa, per le medesime ragioni, ben potendo il giudice dell’esecuzione, come ha fatto, acquisire ex officio il provvedimento che preclude la proponibilità di altra istanza fondata sulle medesime ragioni.
Manca in ogni caso la prova specifica dell’assenza dell’atto dal fascicolo, con attestazione di cancelleria.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» – della somma di euro 3000 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto dell’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 31 maggio 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente