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Istanza di ricusazione via PEC: non valida

La Corte di Cassazione ha stabilito che un’istanza di ricusazione non può essere validamente presentata da un privato cittadino tramite la propria Posta Elettronica Certificata (PEC). La sentenza chiarisce che la normativa sul processo penale telematico riserva il deposito tramite portale ai soli difensori. L’imputato avrebbe dovuto depositare un atto scritto in cancelleria. Il ricorso è stato respinto anche per l’invio dell’atto a un indirizzo PEC errato.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Istanza di ricusazione via PEC: la Cassazione nega la validità per il privato

Con la sentenza n. 31245/2024, la Corte di Cassazione ha affrontato un’importante questione procedurale: la validità di un’istanza di ricusazione via PEC presentata direttamente da un imputato. La decisione chiarisce i confini normativi del processo penale telematico, distinguendo nettamente tra gli strumenti a disposizione dei difensori e quelli consentiti ai privati cittadini. La Corte ha rigettato il ricorso, confermando che la modalità telematica non è un’opzione per l’imputato che agisce personalmente.

I Fatti del Caso

Un imputato in un procedimento penale presentava, a proprio nome, un’istanza per ricusare il magistrato del Tribunale assegnato al suo caso. L’istanza veniva trasmessa telematicamente tramite un indirizzo di Posta Elettronica Certificata (PEC) personale. La Corte d’Appello competente dichiarava l’atto irricevibile, ritenendo che fosse stato depositato da un soggetto non compiutamente identificato e con una modalità non consentita dalla normativa processuale.

Contro questa decisione, il difensore dell’imputato proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che le normative recenti, in particolare un Decreto Ministeriale del luglio 2023, avrebbero legittimato l’uso della PEC per tale adempimento.

La validità del deposito dell’istanza di ricusazione via PEC

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato per una pluralità di motivi, offrendo una disamina dettagliata della normativa sul processo penale telematico. In primo luogo, i giudici hanno chiarito che i Decreti Ministeriali citati dal ricorrente disciplinano esclusivamente il deposito degli atti da parte dei difensori attraverso il Portale del Processo Penale Telematico. Non esiste alcuna norma, né primaria né secondaria, che estenda questa facoltà al privato cittadino che intende agire personalmente tramite la propria PEC.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha evidenziato diverse criticità nell’operato del ricorrente. Anzitutto, la PEC, pur garantendo l’integrità del messaggio e la provenienza da un certo indirizzo, non assicura di per sé l’identificazione certa del mittente secondo gli standard richiesti per gli atti processuali, a differenza dei sistemi di autenticazione forte (es. token, smart card) previsti per i soggetti abilitati come gli avvocati iscritti al registro REGINDE.

In secondo luogo, è emerso un errore procedurale decisivo: l’istanza era stata inviata a un indirizzo PEC generico della Corte d’Appello e non a quello specificamente designato per il deposito ufficiale degli atti penali. Questo errore, da solo, costituiva un ulteriore e autonomo profilo di inammissibilità.

La Corte ha quindi ribadito il principio consolidato secondo cui la modalità corretta per l’imputato che voglia presentare personalmente un’istanza di ricusazione è quella tradizionale: un atto scritto, corredato dai documenti a supporto, depositato fisicamente presso la cancelleria del giudice competente a decidere. L’uso di strumenti a distanza come la posta ordinaria o, in questo caso, la PEC, è escluso dalla giurisprudenza di legittimità.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La sentenza n. 31245/2024 rafforza un principio fondamentale della procedura penale nell’era digitale: le innovazioni telematiche sono regolate da norme specifiche che non possono essere estese per analogia. Il Portale Telematico è lo strumento esclusivo per i difensori, mentre il privato cittadino deve attenersi alle forme tradizionali per il compimento di atti personali come la dichiarazione di ricusazione. Questa decisione serve da monito sulla necessità di rispettare scrupolosamente le forme e i canali di comunicazione previsti dalla legge, pena l’inammissibilità dell’atto, con tutte le conseguenze negative che ne derivano per la strategia processuale.

Un imputato può presentare un’istanza di ricusazione tramite la propria PEC personale?
No. La sentenza chiarisce che la normativa vigente sul processo telematico regola il deposito di atti da parte dei difensori tramite il portale dedicato, ma non prevede la possibilità per un privato cittadino di utilizzare la propria PEC per lo stesso scopo.

Qual è la modalità corretta per un privato cittadino per depositare personalmente un’istanza di ricusazione?
La forma corretta, secondo la Corte, rimane quella tradizionale, ovvero il deposito di un “atto scritto” in formato cartaceo, corredato dalla documentazione necessaria, direttamente presso la cancelleria del giudice competente a decidere sulla richiesta.

L’invio di un atto a un indirizzo PEC sbagliato della cancelleria ha delle conseguenze?
Sì. La sentenza ha evidenziato che l’invio dell’istanza a un indirizzo PEC non ufficialmente deputato al deposito degli atti penali costituisce un autonomo e ulteriore motivo di inammissibilità dell’atto stesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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