Istanza di Revisione: La Cassazione Chiarisce i Limiti della “Prova Nuova”
L’istanza di revisione rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento per correggere eventuali errori giudiziari, consentendo di rimettere in discussione una condanna penale definitiva. Tuttavia, il suo utilizzo è subordinato a requisiti rigorosi, come evidenziato da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. In questa decisione, i giudici hanno ribadito un principio cruciale: una prova già esaminata nel corso del processo non può essere considerata “nuova” e, pertanto, non può giustificare la riapertura del caso.
I Fatti del Caso: La Richiesta di Revisione Rigettata
Il caso trae origine dal ricorso di un uomo, condannato con sentenza definitiva dalla Corte d’Appello di Palermo nel 2004. Anni dopo, l’interessato presentava un’istanza di revisione alla Corte d’Appello di Caltanissetta, sostenendo l’esistenza di una prova nuova. Tale prova consisteva in una perizia che avrebbe dovuto dimostrare la natura contraffatta della sua firma su un verbale di riconferma di una carica societaria.
Tuttavia, la Corte d’Appello di Caltanissetta dichiarava l’istanza inammissibile. La motivazione era netta: la questione relativa alla presunta falsità della firma era già stata ampiamente discussa e valutata dai giudici nei precedenti gradi di giudizio. Non si trattava, quindi, di un elemento probatorio nuovo, ma di un tentativo di riesaminare un punto già deciso.
La Decisione della Corte di Cassazione e l’Istanza di Revisione
Contro l’ordinanza di inammissibilità, il condannato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando contraddittorietà, illogicità della motivazione e violazione di norme processuali. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando in toto la decisione della corte territoriale.
I Requisiti della Prova “Nuova”
La Corte ha sottolineato che, ai sensi degli articoli 630 e 631 del codice di procedura penale, l’istanza di revisione può essere accolta solo se si basa su prove che siano genuinamente “nuove”. Una prova è tale solo se non è mai stata sottoposta al vaglio del giudice durante il processo originario. Nel caso di specie, la questione della firma era stata al centro del dibattimento, rendendo la nuova perizia un mero tentativo di ottenere una diversa valutazione di un fatto già noto.
La Genericità del Ricorso
I giudici di legittimità hanno inoltre qualificato il ricorso come manifestamente infondato e generico. Le argomentazioni presentate non hanno scalfito la logicità e la coerenza della decisione impugnata, ma si sono limitate a riproporre le stesse questioni già esaminate, senza introdurre elementi di reale novità capaci di minare la solidità della condanna.
Le Motivazioni della Sentenza
Le motivazioni della Corte di Cassazione si fondano su una rigorosa interpretazione della legge. La revisione non è un terzo grado di giudizio o un appello mascherato, ma un rimedio eccezionale. Per questo motivo, la legge impone che le nuove prove non solo non siano state precedentemente valutate, ma debbano anche essere decisive. Devono cioè essere di tale portata da far ritenere che, se conosciute al tempo del processo, avrebbero portato a un proscioglimento del condannato. Nel caso analizzato, mancavano entrambi i requisiti: la prova non era nuova e, di conseguenza, non poteva essere considerata idonea a ribaltare il verdetto.
Le Conclusioni: Quando un’Istanza di Revisione è Inammissibile
Questa ordinanza riafferma con forza i paletti che delimitano l’accesso all’istanza di revisione. La decisione serve da monito: non è sufficiente proporre una rilettura di elementi già noti o chiedere nuove perizie su fatti già dibattuti per ottenere la revisione di una condanna. È necessario che emergano fatti o prove realmente sconosciuti al processo, capaci di incrinare in modo decisivo l’impianto accusatorio. In assenza di tali presupposti, come nel caso di specie, l’istanza è destinata all’inammissibilità, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Quando una prova può essere considerata “nuova” per un’istanza di revisione?
Una prova è considerata “nuova” solo se non è stata oggetto di valutazione nei precedenti gradi di giudizio. Non può essere considerata tale una prova che, come nel caso esaminato, riguarda un elemento (la presunta falsità di una firma) già discusso e valutato dai giudici del processo originario.
Quali sono i requisiti fondamentali per presentare un’istanza di revisione ammissibile?
L’istanza deve basarsi su prove che siano contemporaneamente “nuove” (cioè non precedentemente esaminate) e decisive. La decisività implica che tali prove, se fossero state conosciute durante il processo, avrebbero portato al proscioglimento del condannato a norma degli artt. 529, 530 o 531 del codice di procedura penale.
Cosa succede se un ricorso per cassazione contro il rigetto di un’istanza di revisione viene dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di elementi che escludano la colpa, al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata determinata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31727 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31727 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/02/2023 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Caltanissetta ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di revisione proposta nell’interesse d NOME COGNOME, relativamente alla sentenza della Corte di appello di Palermo del 12/10/2004 e lo ha condannato al pagamento di euro mille in favore della Cassa delle ammende. Si evidenzia, in detta ordinanza, come la prova “nuova”, individuata dal richiedente ai sensi dell’art. 630 lett. c) cod. proc. pen. rappresentata dalla verifica circa la natura asseritamente contraffatta della firma apposta dall’imputato, nel verbale di riconferma nella carica di Presidente del Collegio sindacale del 16/01/2018, sia stata già oggetto di specifica valutazione, ad opera dei giudici del gravame.
Avverso tale ordinanza il COGNOME, tramite il proprio difensore AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, a mezzo dei quali ha dedotto contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché violazione di norme processuali.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le argomentazioni poste a fondamento dell’ordinanza impugnata sono estremamente logiche, sia in fatto che in diritto e fanno buon uso del dato normativo, avendo la Corte territoriale evidenziato come, nel caso di specie, si sia fuori delle ipotesi di revisione previste dall’ art. 630 cod. proc. pen. Invero, dal combinato disposto degli artt. 630, lett c) e 631 cod. proc. pen., emerge che la prova posta a fondamento della richiesta di revisione deve essere “nuova” e che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono – a pena di inammissibilità della domanda – essere tali da dimostrare, laddove accertati, che il condannato deve essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 o 531 cod. proc. pen..
Entrambi i profili sono stati affrontati dal provvedimento de quo, in termini esaustivi e coerenti, ai quali si oppongono i motivi del ricorso sopra riportati, ch si limitano a contestare in modo generico le relative argomentazioni, o comunque a ripercorrere i rilievi ritenuti – in modo del tutto conforme al dato normativo manifestamente infondati.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della Cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 20 giugno 2024.