Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2140 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2140 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 15/08/1966
avverso l’ordinanza del 01/03/2024 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME
COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, pronunciata de plano, la Corte di appello di Perugia ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione proposta, ai sensi dell’art. 630 cod. proc. pen, da COGNOME NOME, in relazione alla sentenza della Corte di assise di appello di Roma del 16 marzo 2016 (irrevocabile il 19 ottobre 2017), che, in riforma della sentenza della Corte di assise di Frosinone del 7 ottobre 2014,
aveva condannato l’istante per i reati di omicidio aggravato e di porto di armi, commessi il 10 e il 3 ottobre 2012.
Secondo la ricostruzione della Corte di assise di appello, il COGNOME dopo avere preso la decisione di uccidere COGNOME NOME, negli ultimi giorni del mese di settembre 2012, si sarebbe recato in Calabria per farsi consegnare, da tale COGNOME NOME, la pistola che avrebbe usato per commettere il delitto.
Dopo essersi procurato l’arma del delitto, il 3 ottobre 2012, alle ore 21,00 circa, a seguito di un appuntamento fissato nel corso di una conversazione telefonica, avrebbe incontrato, in una strada vicinale di Frascati, il Marfurt. Nel corso di quell’incontro, avrebbe commesso il delitto, sparando alcuni colpi di arma da fuoco, che attingevano la vittima alla nuca e al tronco. Dopo l’omicidio, si sarebbe impossessato del cellulare della vittima, per poi liberarsene lungo la INDIRIZZO, dove, alcuni minuti dopo il delitto, transitava un ciclomotore dello stesso modello e dello stesso colore di quello che era in uso, in quei giorni, al Franco neri.
Quest’ultimo risultava privo di alibi e i suoi cellulari risultavano spenti sino all 21.25, per essere poi riaccesi in momenti diversi, agganciando celle diverse, a conferma del fatto che, in quel momento, il COGNOME si trovava in movimento.
Avverso il provvedimento della Corte di appello, tramite il difensore, ricorre il condannato.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di motivazione, in relazione all’art. 125 cod. proc. pen.
Il ricorrente contesta l’ordinanza impugnata, sostenendo che la Corte di appello non avrebbe considerato, in maniera adeguata, i singoli punti nei quali era articolata l’istanza di revisione. Contesta, in particolare, la scelta di «esaurire l fase rescindente con un provvedimento adottato de plano, posto che per il numero e la rilevanza delle questioni sollevate, la decisione avrebbe in ogni caso dovuto essere adottata a seguito di un giudizio in contraddittorio».
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di violazione di legge, in relazione agli artt. 630, 634 e 636 cod. proc. pen.
2.2.1. Il ricorrente contesta la ricostruzione di fatti operata dai giudici merito, secondo i quali la ragione del viaggio in Calabria, intrapreso dal condannato tra il 30 settembre e il 2 ottobre 2012, sarebbe stata quella di recarsi dal COGNOME per farsi consegnare l’arma del delitto. Secondo il ricorrente, invece, l’imputato avrebbe fatto quel viaggio per incontrare una donna coniugata, tale NOME, assieme alla quale avrebbe trascorso la notte in un albergo nei pressi della stazione ferroviaria. Tanto premesso, il ricorrente lamenta la mancata valorizzazione dei tabulati telefonici, dai quali emergerebbero i contatti tra il
condannato e la donna, e l’inadeguata valutazione delle indagini prospettate nell’istanza di revisione, finalizzate a verificare il pernottamento del condannato nel menzionato albergo nonché a escutere la NOME
2.2.2. Il ricorrente rappresenta che: COGNOME NOME, nell’interrogatorio reso al pubblico ministero il 9 marzo 2013, aveva sostenuto che il delitto sarebbe stato compiuto dal condannato, su mandato dell’imprenditore COGNOME COGNOME che mirava a far cessare le pretese economiche della vittima, che, nel 1991, avrebbe partecipato, su richiesta dello stesso COGNOME, all’omicidio del socio in affari quest’ultimo (tale COGNOME NOME); proprio a seguito delle dichiarazioni rese dal COGNOME, era stato riaperto il procedimento penale a carico del COGNOME; la Corte di assise di Roma, con sentenza pronunciata nel 2015, aveva prosciolto il COGNOME dall’accusa di aver commesso tale omicidio. Tanto premesso, il ricorrente sostiene che la menzionata sentenza avrebbe il valore di prova nuova, in quanto minerebbe in radice l’attendibilità del COGNOME, che era stato un testimone d’accusa.
2.2.3. Il ricorrente sostiene che l’attendibilità del COGNOME, in ogni caso, starebbe stata condizionata dal risentimento che il teste avrebbe nutrito verso il condannato, per il fatto che quest’ultimo si era impossessato di una somma di denaro che il padre del COGNOME custodiva all’interno dell’agenzia assicurativa da lui gestita. Le dichiarazioni del COGNOME, secondo il quale il condannato e la vittima erano stati visti insieme il giorno del delitto, inoltre, sarebbero poco compatibil con le dichiarazioni rese da COGNOME NOME, gestore di una pizzeria, che aveva riferito di avere visto la vittima allontanarsi dal suo locale da solo. Scarsamente attendibili sarebbero anche le dichiarazioni rese dal teste NOME COGNOME che sarebbero caratterizzate da contraddizioni e imprecisioni.
2.2.4. Il ricorrente – con riferimento alla circostanza che, a poca distanza dal luogo del delitto, era stato ripreso dal sistema di video-sorveglianza di un’azienda il passaggio di un ciclomotore di colore scuro – rappresenta che il condannato, in quel periodo, utilizzava uno scooter di colore bianco di proprietà della moglie del Mostarda, mentre invece non usava quello di colore scuro, di sua proprietà, in quanto non marciante. Tanto premesso, prospetta l’utilità dell’escussione della donna proprietaria dello scooter di colore bianco.
2.2.5. Il ricorrente rappresenta che: secondo le testimonianze dei familiari del condannato, quest’ultimo si sarebbe allontanato dalla sua abitazione alle ore 20,45; l’ora del delitto sarebbe da collocare tra le 20,55 e le 21,00.
Tanto premesso, il ricorrente prospetta l’utilità di un accertamento tecnico, finalizzato a verificare la concreta possibilità di giungere dall’abitazione del condannato al luogo del delitto nel tempo di 10-15 minuti.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
L’avv. NOME COGNOME COGNOME per l’imputato, ha presentato una memoria difensiva a sostegno del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
Il motivo, invero, è intrinsecamente generico, in quanto privo di una puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congr riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato. Il ricorrente, invero, si è limitato genericamente a sostenere che la Corte di appello non avrebbe adeguatamente preso in considerazione i punti nei quali si articolava l’istanza di revisione, senza indicare quale specifica questione posta con l’istanza non sarebbe stata specificamente valutata dalla Corte territoriale. Ugualmente generica risulta la censura relativa all’adozione della procedura de plano, essendosi il ricorrente limitato a sostenere che, per la rilevanza delle questioni sollevate, la decisione avrebbe dovuto essere adottata all’esito di un giudizio svolto in contraddittorio tra le parti, senza affrontare la questione dirimente in ordine alla scelta del rito, legata alla possibilità di una sommaria delibazione degli elementi addotti, in modo tale da rilevarne l’eventuale infondatezza, eictu oculi” e senza necessità di approfonditi esami» (cfr. Sez. 6, n. 2437 del 03/12/2009, Giunta, Rv. 245770; Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, Di Piazza, Rv. 259779).
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
La Corte di appello, invero, ha correttamente rilevato che l’istanza di revisione era inammissibile, in quanto era, in parte, rivolta a offrire una rilettura critica alcune risultanze probatorie acquisite e valutate in entrambi i gradi di giudizio, sollecitando in sostanza una nuova complessiva rivalutazione del compendio probatorio già esistente, e, in altra parte, rivolta a sollecitare l’assunzione di alcune fonti di prova, dalle quali sarebbe stato possibile desumere elementi di novità utili alla ricostruzione dei fatti.
Il ricorrente, in effetti, con alcune deduzioni, contesta l’attendibilità dei tes COGNOME e COGNOME, evidenziandone presunte contraddizioni o presunti contrasti con altri elementi di prova, e, con altre deduzioni, si limita a prospettare l’utilit dell’assunzione di alcune prove, dalle quali, a suo parere, potrebbero emergere / i 7 elementi di novità, utili alla ricostruzione dei fatti.
Va, peraltro, rilevato che la Corte di appello ha dato scarso rilievo alle dichiarazioni rese dal COGNOME e ha ritenuto non attendibili quelle relative al movente del delitto, anche in considerazione della sentenza di assoluzione a cui ha fatto riferimento il ricorrente, che, dunque, non costituisce una prova nuova, essendo stata già valutata dai giudici di merito.
Il ricorrente, in sostanza, da un lato, sollecita una complessiva rivalutazione del compendio probatorio esistente e, dall’altra, chiede di assumere alcune fonti di prova, la cui effettiva utilità in termini di prova reale e nuova, risulta so genericamente asserita e prospettata.
Al riguardo, deve essere ricordato che, con l’istanza di revisione, devono essere indicate prove nuove, in grado di vincere la resistenza del giudicato.
L’istanza, quindi, non può consistere in una mera richiesta di rivalutazione del compendio probatorio già acquisito né può risolversi nella mera prospettazione di attività istruttorie esplorative, finalizzate a una possibile diversa ricostruzione dei fatti.
La prova nuova deve condurre all’accertamento, in termini di ragionevole sicurezza, di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio (cfr. Sez. 5, n. 24682 del 15/05/2014, Rv. 260005). Ne consegue che la richiesta fondata sull’assunzione di prove connotate da carattere esplorativo, in quanto volte ad un ulteriore approfondimento delle risultanze istruttoria già valutate, non può che apparire incompatibile con la natura del giudizio di revisione; incompatibilità che va rilevata già in sede di delibazione dell’ammissibilità dell’istanza (cfr. Sez. 5, n. 24070 del 27/04/2016, COGNOME, Rv. 267067).
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 1’8 novembre 2024.