Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 15817 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 15817 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Catanzaro il 01/10/1988 avverso l’ordinanza del 09/10/2024 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le richieste del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione, avanzata da NOME COGNOME ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., della sentenza della Corte di assise di appello di Torino del 5 ottobre 2021, irrevocabile il 14 settembre 2022, che aveva parzialmente riformato, limitatamente al trattamento sanzionatorio, la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Asti che lo aveva condannato per l’omicidio di NOME COGNOME commesso il 12
gennaio 2013.
L’istanza poggiava su ventitré motivi dei quali, tranne il primo, la Corte di appello escludeva la riconducibilità alle ipotesi tassativamente previste dall’art. 630 cod. proc. pen., trattandosi di presunti errori di valutazione probatoria, di travisamento e di insufficienza delle prove, di inadeguatezza o di mancanza di motivazione, già oggetto di ampia disamina in grado di appello del processo di merito e in sede di legittimità, di cui non era consentita alcuna, neppure ipotetica, rivisitazione in sede di giudizio di revisione.
Quanto al primo motivo posto a sostegno dell’istanza di revisione, ovvero l’asserita prova nuova costituita dall’alibi in favore del Comisso, per avere NOME COGNOME riferito in sede di indagini difensive il 27 settembre 2023 che il medesimo Comisso aveva passato con lei la notte del 12 gennaio 2013, la Corte di appello ha ritenuto che tale prova fosse ictu °cui/ inidonea a determinare un effetto demolitorio del giudicato ed a provocare l’assoluzione del condannato ai sensi dell’art. 631 cod. proc. pen.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
2.1. Con il primo ed il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 629, 630 e 631 cod. proc. pen. nella parte in cui si subordina l’ammissibilità della istanza di revisione alla sopravvenienza o alla scoperta di nuove prove che, da sole o unitamente a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto, nonché la mancanza o mera apparenza della motivazione, in violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen. e dell’art. 6 CEDU, nonché la mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, anche dipendente dal travisamento della prova, in ordine alla inammissibilità della istanza di revisione per sua manifesta infondatezza.
Sostiene che le argomentazioni poste a sostegno dell’istanza integrano una motivazione meramente apparente e comunque integrano una violazione degli artt. 630, comma 1, e 631 cod. proc. pen. laddove contemplano quale presupposto della istanza di revisione la allegazione di prove nuove sopravvenute della innocenza del condannato, da valutarsi, oltre che da sole, anche unitamente a quelle già valutate. Tale criterio di valutazione delle prove sopravvenute rendeva ammissibili i motivi da 2 a 23 della istanza di revisione, con i quali appunto si chiedeva di rivalutare le prove preesistenti alla condanna unitamente alla prova sopravvenuta.
2.1.1. In particolare, quanto al primo motivo dell’istanza di revisione, con esso era stata indicata quale prova sopravvenuta l’alibi fornito da NOME COGNOME che, sentita nel corso delle investigazioni difensive, aveva riferito di avere
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intrattenuto un rapporto sentimentale con NOME COGNOME dalla fine del 2012 sino al marzo 2013; tale rapporto era stato mantenuto riservato poiché la COGNOME era sposata e NOME COGNOME contemporaneamente intratteneva una relazione con un’altra donna. I due amanti avevano trascorso insieme l’intera notte tra il 12 ed il 13 marzo 2013 e la COGNOME ha dichiarato pure che all’epoca il COGNOME era totalmente calvo.
Il ricorrente evidenzia che la Corte di appello ha dichiarato che la istanza sarebbe inammissibile perché la prova nuova sarebbe solo apparentemente sopravvenuta, mentre in realtà sarebbe palesemente inidonea a demolire il giudicato, poiché le dichiarazioni della COGNOME sono intervenute ad oltre dieci anni dopo il fatto di sangue e sarebbe inverosimile che il Commisso, a fronte dei plurimi elementi di prova a suo carico, si sia per così lungo tempo astenuto dal rivelare l’alibi. Sostiene che, invece, non vi è alcuna inverosimiglianza, poiché egli ha avuto conoscenza della contestazione a suo carico solo nell’anno 2021, ossia otto anni dopo il delitto, quando era stato arrestato. Anche la COGNOME si era determinata a rendere le sue dichiarazioni dopo meno di due anni dal suo arresto, anche in considerazione del fatto che sia lei che il COGNOME erano ormai sposati da diversi anni.
In relazione al primo motivo dell’istanza di revisione, l’odierno ricorrente denuncia che la Corte di appello avrebbe sovrapposto il giudizio della fase rescindente a quello proprio della fase rescissoria; sostiene che dovrebbe invece rimanere estranea al preliminare accertamento demandato alla Corte, perché riservato alla sola fase del merito, la valutazione concernente l’effettiva capacità delle allegazioni difensive di travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del “ragionevole dubbio”. Afferma, dunque, il ricorrente che la Corte di appello non si sarebbe limitata a un’astratta valutazione circa l’attitudine del novum a porre in discussione la pronuncia irrevocabile di condanna, ma, al contrario, avrebbe proceduto a non consentiti apprezzamenti di merito sulla rilevanza probatoria delle dichiarazioni rese alla difesa.
Il compito affidato al giudice della revisione nella fase rescindente è quello di valutare in astratto e non in concreto la sola idoneità dei nuovi elementi dedotti a dimostrare, ove accertati, che il condannato, unitamente a quella noviter producta, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531 cod. proc. pen.; detta valutazione preliminare, tuttavia, pur operando sul piano astratto, riguarda pur sempre la capacità dimostrativa delle prove vecchie e nuove a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del condannato e, quindi, concerne la stessa valutazione del successivo giudizio di revisione, pur senza gli approfondimenti richiesti in tale giudizio, dovendosi ritenere preclusa, in limine, una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato, invece, al
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vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 5, n. 15403 del 07/03/2014, COGNOME, Rv. 260563).
L’inammissibilità della richiesta di revisione per manifesta infondatezza ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen. sussiste quando le ragioni poste a suo fondamento risultano, all’evidenza, inidonee a consentire una verifica circa l’esito del giudizio; ne consegue che rimane del tutto estranea a tale preliminare apprezzamento, perché riservata alla fase del merito, la valutazione concernente l’effettiva capacità delle allegazioni difensive di travolgere il giudicato, anch nella prospettiva del ragionevole dubbio (Sez. 6, n. 18818 del 08/03/2013, Moneta, Rv. 255477).
Peraltro, la tardività delle dichiarazioni della COGNOME non può rilevare, poiché, in tema di revisione, la prova nuova deve considerarsi tale anche quando, pur esistendo al tempo del giudizio, non sia stata portata a conoscenza del giudice, prescindendosi dall’imputabilità di ciò a un’eventuale negligenza della parte, così come nuovi devono considerarsi quegli elementi di prova che, quantunque risultanti dagli atti, non furono conosciuti e valutati dal giudice per omessa deduzione delle parti ovvero per il mancato uso dei poteri d’ufficio (Sez. 1, n. 830 del 27/02/1993, COGNOME, Rv. 193994).
2.1.2. Quanto ai motivi da 2 a 18 dell’istanza di revisione, il ricorrente deduce che anche le prove già acquisite nel giudizio di merito dovevano essere nuovamente e diversamente valutate alla luce della prova nuova, mentre la Corte di appello avrebbe del tutto omesso di motivare in ordine alle ragioni poste a base dell’istanza.
Il ricorrente richiama e riporta nel suo ricorso i motivi da 2 a 18 dell’istanza di revisione onde illustrare perché le prove già precedentemente acquisite e valutate dovrebbero essere rivalutate in modo diverso per poi pervenire all’assoluzione del Commisso.
2.2. Con il terzo motivo il ricorrente il ricorrente si duole, in relazione motivi da 19 a 23 dell’istanza di revisione, della manifesta illogicità dell motivazione dell’ordinanza qui impugnata, per avere affermato che i motivi da 19 a 20 sono privi di argomentazione e richiama altresì i motivi da 21 a 23 dell’istanza di revisione per ribadire che la motivazione della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti è carente o illogica ed in contrasto con i criteri fissati dall’art. 192 cod. proc. pen.
Il difensore ha fatto pervenire una memoria con la quale ha ribadito, con particolare riferimento al primo motivo dell’istanza di revisione, la fondatezza del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ai sensi dell’art. 634 cod. proc. pen. la Corte di appello è tenuta a pronunciare ordinanza che dichiari la inammissibilità dell’istanza di revisione, con una pronuncia quindi di mero rito, quando la richiesta è presentata fuori delle ipotesi previste dagli artt. 629 o 630 o senza l’osservanza delle disposizioni previste dagli artt. 631, 632, 633 e 641 ovvero risulta manifestamente infondata.
Deve, allora, ribadirsi in questa sede che, qualora sia sottoposta al vaglio del giudice di legittimità la correttezza di una decisione in rito, la Corte di cassazione è giudice dei presupposti della decisione, sulla quale esercita il proprio controllo, quale che sia il ragionamento esibito per giustificarla e persino nel caso in cui la motivazione sia del tutto assente (Sez. 1, n. 22337 del 23/03/2021, Di, Rv. 281391).
In particolare, poiché il vizio di inammissibilità è rilevabile in qualunque stato e grado del processo, questa Corte di cassazione non è vincolata da quanto affermato dalla Corte di appello nell’ordinanza qui impugnata, ben potendo dichiarare la inammissibilità della richiesta per ragioni diverse da quelle indicate dal Giudice a quo, provvedendo a correggere la motivazione del provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen.
Sono sicuramente condivisibili taluni degli argomenti posti dal Commisso a fondamento del primo motivo del suo ricorso per cassazione.
In tema di revisione, il giudice di merito, nel corso della fase preliminare, ha il limitato compito di valutare in astratto, e non in concreto, la sola idoneità de nuovi elementi dedotti a dimostrare – ove eventualmente accertati – che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, unitamente a quella noviter producta, debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 e 531 cod. proc. pen.; detta valutazione preliminare, tuttavia, pur operando sul piano astratto riguarda pur sempre la capacità dimostrativa delle prove vecchie e nuove a ribaltare il giudizio di colpevolezza nei confronti del condannato e, quindi, concerne la stessa valutazione del successivo giudizio di revisione, pur senza gli approfondimenti richiesti in tale giudizio, dovendosi ritenere preclusa, in limine, una penetrante anticipazione dell’apprezzamento di merito, riservato, invece, al vero e proprio giudizio di revisione, da svolgersi nel contraddittorio delle parti (Sez. 5, n. 15403 del 07/03/2014, COGNOME, Rv. 260563).
La delibazione propria della fase preliminare, dunque, non può tradursi in un’approfondita e indebita anticipazione del giudizio di merito (Sez. 5, n. 11659 del 22/11/2004 – dep. 2005, COGNOME, Rv. 231138), fermo restando che la
valutazione preliminare circa l’ammissibilità della richiesta proposta sulla base di prove nuove implica la necessità di una comparazione tra le prove nuove e quelle già acquisite, che deve ancorarsi alla realtà del caso concreto e che non può, quindi, prescindere dal rilievo di evidenti segni di inconferenza o inaffidabilit della prova c.d. nuova, in quanto riscontrabili ictu ocu/i (Sez. 6, n. 20022 del 30/01/2014, COGNOME, Rv. 259779; Sez. 2, n. 49113 del 16/10/2013, Russo, Rv. 257496).
In particolare, proprio perché la valutazione delle prove nuove deve essere operata in astratto e non in concreto, la Corte di appello, in sede di valutazione dell’ammissibilità di una richiesta di revisione, può valutare la pertinenza, rilevanza ed idoneità delle «nuove prove» a determinare il proscioglimento, mentre le è preclusa ogni valutazione circa la verosimiglianza ed attendibilità (Sez. 3, n. 34360 del 23/06/2011, D.g., Rv. 251241).
Peraltro, l’attendibilità di un testimone non può essere valutata a priori, ma solo dopo che lo stesso è stato esaminato (Sez. 5, n. 112 del 30/09/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282728).
Tuttavia, deve osservarsi che, ai sensi dell’art. 633, comma 1, cod. proc. pen., l’istanza di revisione deve contenere l’indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano.
Nell’istanza di revisione, con il primo motivo, l’odierno ricorrente si è limitat ad indicare la prova nuova, ossia le dichiarazioni rese da NOME COGNOME specificando il contenuto delle stesse, ma non ha illustrato le ragioni per le quali la prova dichiarativa era idonea ad incrinare il quadro probatorio posto a base della condanna. Manca, quindi, l’indicazione delle ragioni della istanza di revisione in relazione a detta prova nuova.
Gli altri motivi, da 2 a 23, della istanza di revisione vengono in questa formulati, appunto, quali ulteriori motivi della richiesta di revisione, come se ognuno di essi fosse da solo idoneo a giustificare l’accoglimento e non quali esplicitazioni delle ragioni per cui la prova indicata nel primo motivo sarebbe idonea a determinare l’assoluzione del Commisso.
Peraltro, tali ulteriori motivi, come correttamente rilevato dalla Corte di appello, sono diversi da quelli tassativamente previsti dall’art. 630 cod. proc. pen., trattandosi della denuncia di presunti errori di valutazione probatoria, di travisamento e di insufficienza delle prove, di inadeguatezza o di mancanza di motivazione della sentenza di condanna.
Solo con i motivi nn. 3 e 3-bis dell’istanza di revisione vengono indicate quali prove nuove le dichiarazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME ed alcune fotografie al fine di dimostrare che all’epoca del delitto il COGNOME era del tutto calvo, ma la Corte di appello segnala che proprio dalle fotografie che
attesterebbero tale fisionomia emerge che invece la calvizie non era totale, cosicché evidente risulta la manifesta infondatezza di tali motivi.
Ne consegue che, non avendo il Commisso, nella richiesta di revisione, specificato le ragioni per le quali la prova nuova, indicata nel primo motivo, era
idonea ad incrinare il quadro probatorio che reggeva la sentenza di condanna, in tal modo violando l’art. 633 cod. proc. pen., mentre gli altri motivi, da 2 a 23,
non rientrano tra quelli tassativamente previsti dall’art. 630 cod. proc. pen.
oppure attengono a prove manifestamente inidonee, la richiesta di riesame risulta complessivamente inammissibile.
Stante la evidente inammissibilità della richiesta di revisione, anche il ricorso per cassazione risulta inammissibile.
2. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod.
proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/03/2025.