Irreperibilità del condannato e rigetto dell’affidamento in prova: l’analisi della Cassazione
Quando un condannato chiede di accedere a una misura alternativa al carcere come l’affidamento in prova, le autorità devono poterlo rintracciare per avviare il programma. Ma cosa succede se la persona risulta irreperibile? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta proprio il tema dell’irreperibilità condannato, stabilendo chiari limiti alla possibilità di contestare la decisione del giudice basata su ricerche infruttuose.
I fatti del caso: la richiesta di affidamento e il diniego
Un uomo, condannato a una pena di undici mesi e dodici giorni di reclusione, presentava un’istanza al Tribunale di Sorveglianza per ottenere l’affidamento in prova al servizio sociale. Questa misura gli avrebbe permesso di scontare la pena fuori dal carcere, seguendo un percorso di reinserimento.
Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza rigettava la richiesta. La ragione principale del diniego era la sostanziale irreperibilità condannato: le autorità non erano riuscite a rintracciarlo per le necessarie valutazioni.
Il ricorso in Cassazione e l’irreperibilità del condannato
L’uomo, tramite il suo difensore, decideva di ricorrere in Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale. La difesa sosteneva che non si trattasse di una vera e propria irreperibilità, ma piuttosto di una “mera difficoltà o mancanza di diligenza” da parte delle forze dell’ordine incaricate delle ricerche.
La contestazione delle ricerche
Secondo il ricorrente, le ricerche non erano state condotte in modo approfondito. In particolare, si lamentava l’omessa ricerca sia presso la residenza anagrafica sia presso il datore di lavoro. Sosteneva inoltre che il suo diritto di difesa fosse stato compromesso, poiché era stata negata la richiesta di rinvio dell’udienza in cui si discuteva la sua istanza. Queste argomentazioni miravano a dimostrare una violazione procedurale, nello specifico dell’art. 159 del codice di procedura penale.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo i giudici supremi, le critiche mosse dal ricorrente non sollevavano questioni di legittimità, ma si limitavano a contestare la valutazione dei fatti già operata dal Tribunale di Sorveglianza.
Le motivazioni
La Corte ha sottolineato che le censure del ricorrente rappresentavano una “mera doglianza confutativa”, ovvero un tentativo di rimettere in discussione l’accertamento dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità. Il Tribunale di Sorveglianza, infatti, aveva basato la sua decisione su elementi concreti e documentati. In particolare, la sua motivazione faceva esplicito riferimento a due atti:
1. Il verbale di vane ricerche redatto dai Carabinieri in data 25/11/2022.
2. Gli esiti di un’informativa degli stessi militari datata 05/12/2022.
Questi documenti, secondo la Cassazione, costituivano una base solida e sufficiente per concludere che le ricerche erano state effettivamente inutili. La motivazione del provvedimento impugnato è stata quindi ritenuta congruente, logica e, di conseguenza, non censurabile in sede di legittimità. Di fronte a prove documentali dell’infruttuosità delle ricerche, la semplice affermazione di una “mancanza di diligenza” non è sufficiente per invalidare la decisione del giudice.
Le conclusioni
L’ordinanza ha delle implicazioni pratiche importanti. In primo luogo, ribadisce che il giudizio di Cassazione non è una terza istanza di merito dove si possono riesaminare i fatti. In secondo luogo, chiarisce che la valutazione dell’irreperibilità di un condannato, se fondata su atti ufficiali come i verbali di vane ricerche, è difficilmente contestabile se non si evidenziano palesi vizi logici o violazioni di legge. Infine, la declaratoria di inammissibilità comporta, come previsto dall’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, in questo caso fissata in tremila euro.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione del giudice sull’irreperibilità di un condannato?
No, se la contestazione si limita a una diversa interpretazione dei fatti, come l’efficacia delle ricerche svolte. La Corte di Cassazione ha chiarito che un ricorso basato su una mera “doglianza confutativa” dei fatti, senza evidenziare vizi di legittimità o palesi illogicità nella motivazione, è inammissibile.
Quali documenti sono sufficienti a provare l’irreperibilità di un soggetto ai fini di una decisione?
Secondo l’ordinanza, il contenuto di un verbale di “vane ricerche” e gli esiti di un’informativa redatta dalle forze dell’ordine sono elementi sufficienti per fondare una decisione che accerti l’irreperibilità e l’inutilità di ulteriori ricerche.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, determinata dal giudice ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3550 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3550 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
av arso l’ordinanza del 17/07/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO / i udita la relazione svo ta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Milano ha rigettato – sul presupposto della sostanziale irreperibilità del condannato l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale, relativamente alla pena di mesi undici e giorni dodici di reclusione, presentata da NOME COGNOME.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO, deducendo essersi trattato non di una effettiva irreperibilità, bensì di una mera difficoltà o mancanza di diligenza. La difesa, pertanto, denuncia violazione dell’art. 159 cod. proc. pen., stante l’omessa effettuazione delle dovute ricerche del condannato, sia in sede anagrafica, sia presso il datore di lavoro, nonché compromissione del diritto di difesa, non essendo stato accordato il rinvio, che era stato richiesto all’udienza del 17/07/2023.
Dette censure si sostanziano in una mera doglianza confutativa e versata in fatto, omettendo di confrontarsi con lo specifico contenuto del provvedimento avversato; in questo, invece, sono stati espressamente richiamati – a fondamento della inutilità delle ricerche effettuate nei confronti del soggetto – tanto il contenuto del verbale di vane ricerche redatto dai CC il 25/11/2022, quanto gli esiti dell’informativa degli stessi militari del 05/12/2022. La motivazione posta a fondamento del provvedimento impugnato, infine, è congruente e logica e, quindi, meritevole di rimanere al riparo da qualsivoglia stigma in sede di legittimità.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 07 dicembre 2023.