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Invasione di edifici: non è reato se l’ingresso è ok

La Corte di Cassazione ha annullato la condanna per il reato di invasione di edifici a carico di un uomo che, dopo aver vissuto per vent’anni in un immobile con il consenso della proprietaria, si era rifiutato di lasciarlo dopo la sua morte. I giudici hanno chiarito che il reato non sussiste se l’ingresso originario nel bene è avvenuto legittimamente, poiché manca l’elemento costitutivo dell’introduzione arbitraria dall’esterno.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Invasione di Edifici: La Differenza tra Ingresso Illegittimo e Rifiuto di Andarsene

Può essere condannato per invasione di edifici chi, dopo aver vissuto per anni in una casa con il permesso del proprietario, si rifiuta di lasciarla alla richiesta degli eredi? A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7988 del 2024, stabilendo un principio fondamentale: se l’ingresso nell’immobile è stato legittimo, la successiva permanenza, sebbene non più gradita, non integra il reato previsto dall’articolo 633 del codice penale.

La Vicenda Processuale

Il caso riguarda un uomo condannato in primo e secondo grado per il reato di invasione di edifici. L’uomo aveva vissuto per oltre vent’anni in un’abitazione, avendovi trasferito la propria residenza, pagando le utenze e comportandosi come un legittimo detentore. L’ingresso era avvenuto in virtù di un accordo di comodato gratuito con l’allora usufruttuaria dell’immobile, nonna della futura parte civile.

Alla morte dell’usufruttuaria, l’uomo aveva continuato a occupare l’abitazione. Per un certo periodo, anche l’erede (nuda proprietaria) aveva manifestato il proprio consenso, tanto che si era discusso della possibilità che l’occupante acquistasse l’immobile. Solo dopo diversi mesi dal decesso e dopo il fallimento delle trattative, l’erede gli ha intimato di liberare l’appartamento e, quasi un anno dopo, ha presentato una querela per invasione di edificio.

Il Reato di Invasione di Edifici e i suoi Limiti

L’articolo 633 del codice penale punisce “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”. La giurisprudenza consolidata, richiamata dalla stessa Cassazione, interpreta la condotta di “invasione” come un’introduzione illegittima e arbitraria dall’esterno in un immobile di cui non si ha né il possesso né la detenzione.

L’elemento chiave del reato è, quindi, l’atto di entrare abusivamente. La norma non è pensata per sanzionare penalmente chi, entrato legittimamente, si trattiene oltre il termine o contro la volontà sopravvenuta dell’avente diritto. Quest’ultima situazione rientra, di norma, nell’ambito di una controversia civile.

La Decisione della Cassazione sul caso di invasione di edifici

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’imputato, annullando la sentenza di condanna senza rinvio “perché il fatto non sussiste”.

Le Motivazioni

I giudici hanno sottolineato che, sulla base della stessa ricostruzione dei fatti operata dai tribunali di merito, la condotta dell’imputato non integrava gli estremi del reato contestato. L’uomo non si era introdotto arbitrariamente nell’immobile, ma vi aveva fatto ingresso in modo pacifico e con il pieno consenso dell’usufruttuaria. Questa situazione di legittima detenzione si era protratta per vent’anni.

La Corte ha specificato che è irrilevante qualificare il rapporto originario come mera ospitalità o come comodato gratuito. Ciò che conta, ai fini penali, è che “la pacifica introduzione e permanenza dell’imputato con il consenso dell’avente diritto” esclude in radice l’elemento costitutivo dell’invasione. Anche dopo la morte dell’usufruttuaria, il consenso dell’erede era stato manifestato, almeno per un certo periodo. La successiva richiesta di rilascio e la permanenza dell’uomo nell’immobile configurano una questione puramente civilistica, ma non il reato di invasione.

Le Conclusioni

La sentenza riafferma un principio cruciale per distinguere illeciti penali da contenziosi civili in materia immobiliare. Il reato di invasione di edifici non può essere utilizzato per risolvere situazioni in cui un soggetto, originariamente autorizzato a occupare un immobile, si rifiuta di rilasciarlo. La tutela del proprietario, in questi casi, deve essere cercata attraverso gli strumenti previsti dal codice civile, come le azioni a difesa della proprietà o del possesso. La condotta penalmente rilevante si configura solo quando vi è un’introduzione abusiva e non autorizzata, un atto che viola il domicilio fin dal suo inizio.

Commette il reato di invasione di edifici chi, entrato legittimamente in una casa, si rifiuta di andarsene quando il proprietario lo chiede?
No. Secondo la sentenza, il reato di invasione di edifici (art. 633 c.p.) richiede un’introduzione illegittima dall’esterno. Se l’ingresso iniziale era autorizzato, la successiva permanenza contro la volontà del proprietario non costituisce tale reato.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna?
La Corte ha annullato la condanna perché ha ritenuto che mancasse un elemento essenziale del reato: l’introduzione arbitraria nell’immobile. L’imputato era entrato e rimasto per anni con il consenso degli aventi diritto, quindi la sua condotta non rientrava nella fattispecie penale contestata.

Qual è la differenza tra ospitalità e possesso ai fini di questo reato?
Ai fini del reato di invasione di edifici, la sentenza sottolinea che ciò che conta non è la qualificazione civilistica del rapporto (ospitalità o comodato), ma il fatto che l’introduzione e la permanenza iniziale siano avvenute pacificamente e con il consenso del titolare del diritto. L’ingresso legittimo esclude il reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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