Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 26918 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 26918 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno nei procedimento a carico di: COGNOME NOME, nato a Sarno il 21/03/1987, avverso l’ordinanza del 24/03/2025 del Tribunale di Salerno; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito il difensore dell’indagato resistente, che ha insistito per l’inammissibilità del ricorso proposto dai Pubblico Ministero.
1. Il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice per il riesame, con ordinanza del 24 marzo 2025 (motivazione depositata il successivo 27 marzo), annullava l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale il 21 febbraio 2025, che aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di NOME COGNOME per i reati descritti ai capi 21 (fittizia intestazione di beni e valori in concorso) e 43 (emissione di fatture per operazioni inesistenti in concorso), ritenendo invece lo stesso G.i.p. l’insussistenza della gravità indiziaria per i reati di partecipazione ad associazione di stampo mafioso (capo 1) tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso (capo 6), usura aggravata dal metodo mafioso (capo 12), riciclaggio (capo 42); mentre, nell’ambito del medesimo procedimento, nei confronti di altri indagati lo stesso G.i.p. aveva pure riconosciuto gravità indiziaria per il reato (probatoriamente collegato) descritto al capo 60, (art. 12, comma 3, d. Igs. 286 del 1998), unico reato -tra quelli contestati e per i quali era stata riconosciuta dal G.i.p. gravità indiziarla- ostativo all’obbligo di procedere ad interrogatorio preventivo.
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno ha interposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico articolato motivo, con cui deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 291, comma 1-quater, cod. proc. pen., nonché contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Osserva che ammettere che l’esito negativo del sindacato del tribunale del riesame sulla gravità indiziaria di un reato ostativo – ritenuta dal giudice per le indagini preliminari unitamente alla sussistenza del pericolo di inquinamento probatorio possa travolgere l’intera ordinanza cautelare adottata senza il previo interrogatorio, anche in relazione a quei reati non ostativi, ma attratti dalla disciplina del reato ostativo, è soluzione del tutto irrazionale ed irragionevole, atteso che di fatto determina solo una illegittima ed inutile regressione del procedimento alla fase della richiesta cautelare, che, in violazione del principio di conservazione degli atti, imporrebbe al pubblico ministero di reiterare la propria richiesta al giudice per le indagini preliminari di fissare l’interrogatorio (di fat già svolto) con una coazione a ripetere priva di alcun senso logico; che, peraltro, una siffatta impostazione sarebbe in contrasto con quanto previsto dall’art. 291, comma 1-quater, cod. proc. pen., che collega l’obbligo dell’interrogatorio preventivo al solo profilo dell’insussistenza delle esigenze cautelari (non anche alla carenza della gravità indiziaria); che, aderendo all’impostazione adottata dal
Tribunale del riesame, si determinerebbe una sostanziale e genetica instabilità dell’ordinanza cautelare, destinata a regredire tutte le volte, per nulla infrequenti, in cui si verifichi lo scollamento tra la qualificazione giuridica oggetto della contestazione avanzata dal pubblico ministero e ritenuta dal giudice per le indagini preliminari, ma non ravvisata dal tribunale del riesame, sia il giudizio di insussistenza della gravità indiziaria in relazione ai reati ostativi, ritenuta invece dal giudice per le indagini preliminari, tale da determinare ex post in entrambi i casi – ad interrogatorio di garanzia comunque svolto – la nullità della stessa per omesso interrogatorio preventivo; che, dunque, nel caso di specie, il Tribunale del riesame non ha considerato che, ove immune da censure il giudizio sulle ritenute esigenze cautelari, l’unico idoneo a legittimare l’interrogatorio postumo, pur con il venir meno dell’originario titolo ostativo, avrebbe dovuto limitarsi ad annullare il titolo cautelare in parte qua, con esame del merito in relazione agli altri titoli di reato, sia in punto di gravità indiziaria, che di esigenze cautelari.
Rileva ancora il ricorrente che la norma in discorso va interpretata nel senso di esigere un nesso relazionale prognostico rispetto a futuri e probabili reati che l’indagato, anche se iscritto nel registro delle notizie di reato per un titolo non rientrante nelle categorie in deroga, sia proteso a commettere, anche diversi da quelli oggetto della richiesta e dell’ordinanza cautelare, ma compreso tra quelli ostativi, valutazione questa effettuata sulla base di elementi ulteriori, quali la capacità a delinquere, i precedenti penali, i rapporti tra le parti ed il comportamento della persona offesa; che, di conseguenza, il Tribunale del riesame avrebbe dovuto motivare sulla sussistenza del pericolo di reiterazione di reati, seppur diversi da quello riconosciuto dal Giudice per le indagini preliminari, rientranti nel catalogo di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., peraltro, oggetto dell’originaria contestazione di cui all’art. 416-bis cod. pen.; che, invero, proprio con riferimento alla posizione del COGNOME, deve evidenziarsi che l’indagato, oltre che concorrere nei reati di intestazione fittizia, riciclaggio e reati di natura tributaria, è soggetto intraneo all’organizzazione criminale descritta al capo 1. In conclusione, il Tribunale del riesame ben avrebbe potuto rinvenire le esigenze cautelari di prevenzione speciale con riferimento a reati rientranti nella previsione di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), cod. proc. pen., al di là dei reati specificamente oggetto di cautela, in ragione della elevata capacità a delinquere dell’indagato, desumibile dai rapporti stringenti e serventi con il COGNOME, oltre che dai comportamenti delle teste di legno a loro volta totalmente a lui asservite. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
All’udienza del 12 giugno 2025, sulle conclusioni delle parti, il Collegio ha
riservato la decisione in camera di consiglio, emettendo all’esito il dispositivo della-decisione, sorretta dalìe argomentazioni che seguono.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso va accolto, sia pure per ragioni diverse da quelle indicate dal ricorrente.
1.1. Rileva, innanzitutto, il Collegio che non è consentita la deduzione di vizi di motivazione, ammessi nel giudizio di legittimità solo in relazione alle questioni di fatto, mentre il presente ricorso è incentrato su una questione di puro diritto.
Del resto, questa Corte di legittimità, anche nella sua più autorevole composizione, ha avuto cura di precisare che, qualora la quaestio iuris sia correttamente risolta, anche se attraverso un percorso logico-argomentativo errato, le relative doglianze sarebbero comunque inammissibili, tenuto conto che l’interesse all’impugnazione trova esclusivo fondamento nella errata soluzione di una questione giuridica e non nella erroneità degli argomenti su cui riposa la soluzione, in ogni caso corretta, della questione (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 05, ha ritenuto che, quando la soluzione adottata dal giudice non sia giuridicamente corretta, è necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge; Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, COGNOME, Rv. 251495 – 01, che ha precisato che «la soluzione da dare alle questioni di diritto, processuali o sostanziali che siano, non attiene però al contesto della giustificazione, ma al contesto della decisione, sicché quello che importa per la validità della sentenza è soltanto la correttezza di questa»; Sez. 5, n. 34497 del 07/07/2021, COGNOME, Rv. 281831 – 01; Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, COGNOME, Rv. 280173 – 01, in motivazione; Sez. 4, n. 47842 del 05/10/2018, L., Rv. 274035 – 01; Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, COGNOME, 268360 – 01, in motivazione).
1.2. Venendo alla dedotta violazione della legge processuale, l’incolpazione provvisoria elevata nei confronti dell’odierno ricorrente comprende: i) la partecipazione (priva di funzioni dirigenziali o organizzative e comunque apicali) ad un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di più reati di cui agli artt. 512-bis, 640-bis, 648-bis cod. pen. e 8 D. Igs, n. 74 del 2000, così riqualificata dal Giudice per le indagini preliminari quella originaria mossa dal Pubblico ministero di partecipazione ad un’associazione di stampo mafioso, ii) la commissione di plurimi reati fine, che il G.i.p. ha ritenuto non aggravati dal metodo o dalle finalità mafiose, mentre nei confronti di altri indagati, nel
medesimo procedimento, è stata riconosciuta gravità indiziaria anche per il reato di cui all’art. 12, comma 3, d. Igs. 286 del 1998 (capo- 60).
Il Giudice per le indagini preliminari, ritenendo di dover tenere conto della natura (derogatoria o meno dell’obbligo di interrogatorio preventivo) delle fattispecie come contestate dalla pubblica accusa, ha stimato attratte alla disciplina derogatoria anche i reati non ostativi, contestati ad altri indagati (tra i quali il ricorrente), emettendo la misura cautelare senza prima procedere all’interrogatorio.
Il Tribunale per il riesame ha annullato in toto l’ordinanza genetica, per violazione del disposto degli artt. 291, comma 1-quater (a mente del quale, prima di disporre la misura, il giudice procede all’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini preliminari, «salvo che sussista taluna delle esigenze cautelari di cui all’articolo 274, comma 1, lettere a) e b), oppure l’esigenza cautelare di cui all’articolo 274, comma 1, lettera c), in relazione ad uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a), o all’articolo 362, comma Iter, ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale») e 292, comma 3-bis, cod. proc. pen. (che prevede la nullità dell’ordinanza genetica, qualora non sia preceduta dall’interrogatorio nei casi previsti dall’articolo 291, comma 1-quater, cod. proc. pen.).
1.3. Tutto ciò premesso, il primo profilo che deve essere affrontato è quello relativo alla determinazione del regime cautelare da applicare, vale a dire l’individuazione dei criteri ai quali il giudice deve attenersi per stabilire se procedere o meno all’interrogatorio preventivo. In proposito, il Collegio intende dare continuità all’orientamento di legittimità, anche di recente ribadito (Sez. 2, n. 12034 del 18/02/2025, COGNOME, Rv. 287774 – 01; Sez. 2, n. 5548 del 09/01/2025, COGNOME, Rv. 287575 – 02), secondo il quale non si deve c,,,,. ( .4x CA riferimento alla domanda cautelare, ma alle valutazioni effettua*al giudice investito della richiesta. Invero, se, da un lato, la domanda cautelare preclude al giudice la possibilità di mutare il fatto posto a fondamento della imputazione provvisoria ovvero di disporre misure più gravi di quelle richieste, dall’altro, non gli impedisce, anche in sede di impugnazione de líbertate, di operarne una diversa qualificazione giuridica, né di ravvisare gli indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari per ragioni diverse o ulteriori rispetto a quelle prospettate dal Pubblico ministero. Del resto, occorre considerare che rientra proprio nei compiti del giudice quello di valutare la sussistenza dei presupposti applicativi della misura cautelare, ai sensi degli artt. 273 e 274 cod. proc. pen., a prescindere dagli specifici contenuti della richiesta e che l’eventuale nullità sancita dall’art. 292, comma 2, cod. proc. pen., riguarda solo l’ordinanza applicativa, non certo
la domanda cautelare (Sez. 1, n. 36255 30/06/2023, COGNOME, non massimata; Sez. 1, n. 28525 del 08/9/2020, Signore, Rv. 279643 – 01; Sez. 3, n. 43731 dell’8/9/2016, COGNOME, Rv. 267935 – 01). Tali principi trovano applicazione anche in sede di impugnazione, in quanto – costituendo il riesame ex art. 309 cod. proc. pen. un mezzo di impugnazione con effetto interamente devolutivo, preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare (Sez. U, n. 26 del 05/07/1995, COGNOME, Rv. 202015 – 01; Sez. 2, n. 7327 del 16/12/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 12995 del 05/02/2016, Uda, Rv. 266294 – 01) – il tribunale può annullare o riformare in senso favorevole all’imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell’atto di impugnazione, così come può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell’ordinanza cautelare (Sez. 5, n. 40061 del 12/07/2019, COGNOME, Rv. 278314 – 03; Sez. 6, n. 18853 del 15/03/2018, Puro, Rv. 273384 – 01).
È stato, dunque, condivisibilmente affermato che non «è possibile ritenere che il vaglio del giudice possa essere diversamente modulato in relazione, in una prima fase, ai fini della “scelta del rito” o del modulo procedimentale da seguire, rispetto ad una seconda fase riservata alla valutazione funditus dei gravi indizi e delle esigenze cautelari ai fini della adozione della misura», per cui «una volta ricevuti gli atti, il giudice è tenuto a svolgere una valutazione unitaria, ispirata ad un criterio uniforme, nel verificare la sussistenza di un adeguato compendio indiziario ovvero il ricorso di esigenze cautelari normativamente in grado di derogare alla regola generale dell’interrogatorio preventivo e, al contempo, di giustificare la adozione del provvedimento restrittivo della libertà personale» (Sez. 2, n. 12034/2025, cit.).
1.4. L’eventuale nullità dell’ordinanza genetica, prevista dall’art. 292, comma 3 -bis, cod. proc. pen., qualora non sia preceduta dall’interrogatorio preventivo nei casi in cui è previsto, è di ordine generale a regime intermedio, ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen., riguardando la violazione del diritto di difesa, con la conseguenza che deve essere dedotta con l’interrogatorio di garanzia postumo, nel frattempo svolto, che rappresenta il primo momento utile, ai sensi dell’art. 182 cod. proc. pen., restando altrimenti sanata. Ne consegue che la relativa eccezione è proponibile in sede di riesame, ovvero la nullità è rilevabile d’ufficio dal tribunale, solo se sia stata previamente sollevata in sede di interrogatorio e respinta dal giudice.
1.5. Il secondo aspetto che va analizzato è quello relativo alla disciplina delle ipotesi di imputazioni oggettivamente complesse in presenza di una pluralità di reati ascritti allo stesso indagato, solo per alcuni dei quali sia prevista
la deroga alla regola dell’interrogatorio preventivo, delle ipotesi in cui appaiano frazionate le esigenze cautelari in relazione ai diversi titoli di reato, – qualora sussista il pericolo di reiterazione in relazione ad un reato che imponga l’interrogatorio preventivo e quello di inquinamento probatorio specifico con riferimento alle ulteriori ipotesi di reato e, infine, delle ipotesi di imputazion soggettivamente complesse, laddove il procedimento riguardi più indagati ai quali è elevata contestazione per reati diversi, solo per alcuni dei quali è prevista la deroga all’espletamento dell’interrogatorio preventivo. Si tratta di casi, peraltro, frequenti nella pratica, che non risultano espressamente disciplinati dalla riforma del 2024 e che presentano le stesse criticità, di talchè non vi sono motivi per differenziarne la disciplina.
Rileva il Collegio che la novella di cui alla legge 9 agosto 2024, n. 114 ha inciso solo sull’art. 291 cod. proc. pen., inserendo il comma 1-quater, che prevede l’interrogatorio preventivo, lasciando inalterato il sistema complessivo delle misure cautelari, all’interno del quale non vi sono specifiche norme che prevedono ipotesi di separazione o “spacchettamento” del procedimento.
Ed invero, l’art. 18 cod. proc. pen., che consente la separazione dei processi nelle ipotesi ivi elencate, riguarda la fase del giudizio, per cui non può trovare applicazione nella fase delle indagini preliminari; né, per la natura di “atto a sorpresa” del provvedimento adottando, può ipotizzarsi una separazione dei procedimenti sull’accordo delle parti, sulla falsariga della previsione dell’art. 18, comma 2, cod. proc. pen. In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che la separazione dei processi è istituto tipicamente processuale, governato da precise regole di rito anche in vista di consentire alle parti di avanzare le loro ragioni e che, dunque, può scaturire solo da un vero e proprio provvedimento giurisdizionale adottato dal giudice, nella forma dell’ordinanza e nel rispetto del contraddittorio, che, per sua natura, non può riferirsi alla fase delle indagini preliminari (Sez. 6, n. 12729 del 17/10/1994, Armanini, Rv. 199980 – 01). In particolare, nella fase delle indagini preliminari, quando procede nei confronti di più persone o per più imputazioni, è solo il Pubblico ministero che è espressamente autorizzato dall’art. 130 disp. att. cod. proc. pen. a stralciare talune posizioni (persone o imputazioni), per le quali viene esercitata l’azione penale, sì da far conseguire “di fatto” una separazione del procedimento, atteso che la parte rimessa al giudice transita nella fase processuale, mentre l’altra parte resta nella fase procedimentale. Trattasi di un potere autonomo del Pubblico ministero, che deve essere esercitato nel rispetto dei criteri stabiliti dalla legge anche in tema di connessione e che è espressione del generale principio del favor separationis, cui è ispirato il codice di rito,
finalizzato a favorire, quando una frazione del procedimento sia ormai pervenuta al punto di- consentire l’atto che segna il passaggio dalla fase delle indagini a quella del processo, quelle scomposizioni di res iudicandae in grado di permettere una pronta decisione; un criterio, dunque, che consente al Pubblico ministero, in presenza di indagini complesse o collegate, di stralciare talune posizioni relative allo stesso imputato o di quelle riguardanti imputati diversi, in modo da non ritardarne la presa di contatto con il giudizio. Come risulta evidente, si tratta di un fenomeno che presenta solo analogie di facciata con la separazione disciplinata dall’art. 18 cod. proc. pen.
Dalle considerazioni svolte consegue che il giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta cautelare che contempli imputazioni soggettivamente o oggettivamente complesse, non può separare singoli reati o singole posizioni, al fine di effettuare l’interrogatorio preventivo, laddove previsto, in quanto non vi sono disposizioni che lo consentono, per cui dovrà far riferimento alla disciplina derogatoria prevista per il reato ostativo, posticipando l’interrogatorio di garanzia all’esito dell’emissione della misura cautelare.
Del resto, plurimi sono i casi in cui il sistema processuale fa coesistere disposizioni che disciplinano in maniera differenziata alcuni momenti procedimentali o processuali in relazione a specifiche e differenti categorie di reato o di soggetti: in tali casi, confluendo in un unico procedimento più ipotesi di reato caratterizzate da una differente disciplina, sia per il loro accertamento nel corso delle indagini preliminari, che per la loro successiva verifica dibattimentale, si è ritenuto debba trovare applicazione il principio della prevalenza della normativa riguardante il reato più grave. Così, a mero titolo esemplificativo e senza pretesa di esaustività, in tema di intercettazioni disposte all’interno di un procedimento con più indagati, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la valutazione del reato per il quale si procede, da cui dipende l’applicazione della disciplina ordinaria, ovvero di quella speciale per la criminalità organizzata, va fatta in relazione all’indagine nel suo complesso e non con riguardo alla responsabilità di ciascun indagato (Sez. 2, n. 31440 del 24/07/2020, COGNOME, Rv. 280062 – 01; Sez. 6, n. 28252 del 06/04/2017, COGNOME, Rv. 270565 – 01); con rifermento alle misure cautelari, in tema di retrodatazione nell’ipotesi di “contestazioni a catena”, l’art. 273, comma 3, cod. proc. pen. stabilisce che «i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all’imputazione più grave»; con riferimento alla proroga del termine delle indagini preliminari per reati ricompresi nelle ipotesi di cui all’articolo 406, comma 5-bis, cod. proc. pen., per i quali non occorre la notifica della richiesta all’indagato, né la fissazione dell’udienza
camerale con la conseguente instaurazione del contraddittorio, si ritiene pacificamente che tale disciplina si- estenda anche ai reati “comuni”, contestatinello stesso procedimento; con riferimento alla fase dibattimentale, è stato sostenuto che la regola dettata dall’art. 190-bis cod. proc. pen., secondo cui, nei procedimenti per i reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., la rinnovazione dell’assunzione della testimonianza è consentita solo qualora sia necessario sulla base di specifiche esigenze, si applica a tutti i reati oggetto del medesimo procedimento, anche se alcuni di essi siano diversi da quelli previsti dall’art. 51 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 3609 del 03/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275880 – 01; Sez. 1, n. 48710 del 14/06/2016, COGNOME, Rv. 268455 01, in motivazione).
Dunque, va esclusa la facoltà di scindere i reati, differenziando quelli per i quali è imposto dalla legge l’interrogatorio preventivo da quelli per i quali è posta la disciplina in deroga (Sez. 2, n. 12034/2025, cit.; Sez. 3, n. 19068 del 15/01/2025, V., non massimata allo stato), essendo attratti i reati non ostativi nella disciplina derogatoria di quelli ostativi, che inibisce l’espletamento dell’interrogatorio preventivo; ciò anche al fine di consentire una gestione unitaria del fascicolo, prevalendo – in considerazione della peculiare tipologia dei reati ostativi – l’esigenza di mantenere riservata l’iniziativa cautelare complessivamente considerata, sì da preservarne l’efficacia.
Ed invero, anche ragioni di ordine operativo depongono per una siffatta soluzione. In particolare, nel caso in cui si dovesse scegliere di procedere all’interrogatorio preventivo limitatamente ai reati per i quali è previsto, sarebbe oltremodo improbo per il Pubblico ministero, in presenza di imputazioni connesse, selezionare gli atti da depositare, così da rendere ostensibili solo quelli riguardanti i reati non ostativi. Il rischio, dunque, è quello di una indebita anticipazione della discovery anche in relazione a quei reati per i quali è escluso l’interrogatorio preventivo, neutralizzando in tal modo in maniera del tutto ingiustificata l’effetto sorpresa nell’esecuzione della misura e di conseguenza determinando un vulnus alla tutela delle esigenze cautelari sottese.
Ugualmente non percorribile risulta l’opzione alternativa di emettere l’ordinanza cautelare per i reati ostativi e poi procedere all’interrogatorio preventivo per gli altri titoli di reato, atteso che in questo caso il giudice potrebbe compiere un esame solo parziale delle condotte, qualora le stesse fossero relative a fatti tra loro connessi, ciò che impedirebbe una valutazione unitaria, essenziale ai fini della considerazione della loro complessiva gravità in relazione alle dedotte esigenze cautelari.
Del resto, è stato condivisibilmente rilevato che «la garanzia costituzionale
del diritto di difesa non esclude che il legislatore possa darvi attuazione in modo diverso, tenuto conto dei diversi contesti procedimentali» (Sez. 2, n. 5548/2025, cit., che ha efficacemente richiamato Sez. U, n. 17274 del 26/03/2020, COGNOME, Rv. 279281 – 01, Corte cost., sent. n. 77 del 24/03/1997 e sent. n. 32 del 10/02/1999, Sez. U, n. 3 del 28/01/1998, COGNOME, Rv. 210258 – 01, nonché Sez. U, n. 44895 del 17/07/2014, COGNOME, Rv. 260926 – 01, che rimarcano il ruolo dell’interrogatorio di garanzia, consacrato quale diritto inviolabile, ex art. 13 Cost., del cittadino in vinculis), per cui non deve destare perplessità il fatto che, in presenza di determinati reati, nella comparazione tra le esigenze investigative e quelle difensive, l’interrogatorio di garanzia sia posticipato dopo l’emissione del titolo custodiale anche per quei reati per i quali avrebbe dovuto trovare applicazione la disciplina generale dell’interrogatorio preventivo, essendo tale soluzione imposta dalla necessità di tutelare la segretezza delle indagini e l’effetto sorpresa nella esecuzione del titolo cautelare, oltre che giustificata dalla gravità di taluni dei reati per cui si procede.
1.6. La regola dell’attrazione del reato non ostativo nella disciplina speciale prevista per il reato ostativo, tuttavia, non può tradursi in una interpretatio abrogans della novella legislativa, per cui è necessario addivenire ad una opzione ermeneutica che riesca a contemperare l’intervento cautelare “a sorpresa” con quello garantito dal “contraddittorio”. Orbene, la soluzione che consente di conciliare entrambe le esigenze in gioco, quelle investigative e quelle difensive, queste ultime chiaramente sottese all’introduzione dell’art. 291, comma 1quater, cod. proc. pen., a parere del Collegio, è quella di fondare il criterio di discrimine sulla connessione tra i reati, nel senso che, solo qualora i reati contestati siano avvinti da una connessione qualificata ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., ovvero siano probatoriamente collegati ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b) e c), cod. proc. pen., la disciplina prevista per il reato ostativo s applicherà anche ai reati non ostativi, mentre, laddove i reati siano tenuti insieme in virtù di situazioni del tutto occasionali o da mere ragioni di opportunità processuale, non ricorrendo i presupposti dell’in idem procedere, s’impone il frazionamento della domanda cautelare.
1.7. Nel caso di specie, risulta che sia stata confermata ad opera del Tribunale per il riesame, nei confronti di altri indagati, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato ostativo di cui all’art. 12, comma 3, d. Igs. 286 del 1998, reato che è probatoriamente collegato a quelli contestati all’odierno ricorrente, ai sensi dell’art. 371, comma 2, lett. b) e c), cod. proc. pen., in quanto il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, reato estraneo al programma associativo, veniva effettuato anche attraverso società
compiacenti facenti capo al sodalizio di cui al capo 1), tanto emerge dall’attività di captazione autorizzata nel presente procedimento. Dunque, i reati- ritenuti dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti del COGNOME, pur non essendo ostativi, devono essere attratti nella disciplina derogatoria per le considerazioni sopra svolte, con la conseguenza che non ricorreva l’obbligo di svolgere il previo interrogatorio.
1.8. Manifestamente infondato è, poi, il rilievo per cui l’art. 291, comma 1quater, cod. proc. pen., collega l’obbligo dell’interrogatorio preventivo al solo profilo dell’insussistenza delle esigenze cautelari e non anche alla carenza della gravità indiziaria, con la conseguenza che il Tribunale del riesame avrebbe fatto erronea applicazione della norma processuale. Osserva, in proposito, il Collegio che detto assunto non tiene conto che, in assenza del presupposto di cui all’art. 273 cod. proc. pen., sarebbe un non senso disquisire in ordine ai pericula libertatis, atteso che la ritenuta gravità indiziaria costituisce l’antecedente logico per poter poi affrontare il tema delle esigenze cautelari. In altri termini, se la sussistenza di un reato ostativo – in relazione al quale non ricorrono le esigenze cautelari di cui alla lett. a) e b) dell’art. 274 cod. proc. pen. ovvero di prevenzione speciale con riferimento al catalogo di reati previsti dagli artt. 407, comma 2, lettera a) e 362, comma 1-ter, ovvero a gravi delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale – impedisce che si deroghi alla regola generale che impone l’interrogatorio preventivo prima dell’emissione della misura cautelare, a fortiori non vi sono ragioni per derogarvi qualora, ancora più radicalmente, sia stata ritenuta l’insussistenza di un siffatto reato.
1.9. Del tutto infondata, inoltre, risulta l’affermazione secondo la quale il regime derogatorio, in presenza di esigenze cautelari specialpreventive, opererebbe anche quando il reato per il quale interviene la cautela non è compreso tra quelli indicati negli artt. 407, comma 2, lettera a) e 362, comma Iter, cod. proc. pen., atteso che sarebbe sufficiente la sussistenza del pericolo di reiterazione di un reato compreso tra quelli ostativi, desunta da elementi ulteriori, quali la capacità a delinquere, i precedenti penali, i rapporti tra le parti ed il comportamento della persona offesa. Sul punto va, invero, evidenziato che una siffatta opzione ermeneutica non fa i conti con il dato normativo, che, con riferimento alla tutela delle esigenze cautelari di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., impone che il reato per il quale viene emesso il titolo cautelare sia ricompreso nel catalogo tassativo di cui agli artt. 407, comma 2, lettera a) e 362, comma 1-ter, cod. proc. pen., con la conseguenza che dà luogo ad un’ipotesi non consentita di analogia in malam partem. In buona sostanza, il reato ostativo, oggetto dell’ordinanza cautelare, costituisce presupposto
ineludibile GLYPH per GLYPH l’applicazione GLYPH della GLYPH disciplina GLYPH che GLYPH deroga GLYPH alla GLYPH regola dell’interrogatorio preventivo, di talchè – in mancanza – l’emissione dell’ordinanza cautelare è nulla, se non preceduta dall’interrogatorio.
1.10. Alla luce delle considerazioni svolte, va accolto il ricorso del Pubblico ministero, sia pure per ragioni diverse da quelle addotte dal ricorrente.
Resta solo da precisare che la presente decisione non è esecutiva, atteso che, a fronte di un iniziale annullamento dell’ordinanza genetica, va salvaguardato il valore della libertà personale dell’indagato, fino a che il Tribunale del riesame non si sia nuovamente pronunciato, non potendosi escludere un nuovo annullamento per ragioni diverse ovvero una riforma dell’ordinanza in ragione di una diversa valutazione dell’intensità delle esigenze cautelari da tutelare. Diversamente, nel caso di conferma del titolo cautelare, all’esito del giudizio di rinvio, la decisione sarà immediatamente esecutiva, secondo la regola generale di cui all’art. 588, comma 2, cod. proc. pen. Sul punto, è ormai consolidato l’orientamento, espresso da questa Corte anche nella sua più autorevole composizione, secondo il quale l’ordinanza con cui il tribunale del riesame, a seguito di annullamento con rinvio disposto su ricorso del Pubblico ministero, confermi l’originaria ordinanza di custodia cautelare, in un primo tempo annullata dal medesimo tribunale, è immediatamente esecutiva e determina il ripristino dello stato di custodia, anche in caso di nuova proposizione di ricorso per cassazione (Sez. U, n. 19214 del 23/04/2020, Giacobbe, Rv. 279092, in motivazione, seguite da Sez. 2, n. 12431 del 11/02/2021, COGNOME, Rv. 280769 – 01, non massimata sul punto; Sez. 2, n. 21826 del 27/04/2022, Diana, Rv. 283365 – 01, non massimata sul punto; cfr., in termini conformi, Sez. 2, n. 12883 del 15/01/2016, COGNOME, non massimata; Sez. 3, n. 2888 del 19/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258371 – 01; Sez. 5, n. 39029 del 16/09/2008, COGNOME, Rv. 242316 – 01; Sez. 6, n. 20479 del 12/05/2005, COGNOME, Rv. 232264 – 01; Sez. 1, n. 8722 del 03/12/2003, dep. 2004, COGNOME, Rv. 228158 – 01). È stato sostenuto, invero, che in tali casi non trova applicazione per analogia l’effetto sospensivo previsto dall’art. 310, comma 3, cod. proc. pen., in relazione alle decisioni assunte dal tribunale per il riesame adito dall’appello cautelare del Pubblico ministero, in quanto quest’ultima norma è «di stretta interpretazione, derogando la stessa al principio generale di cui all’art. 588, comma secondo, cod. proc. pen., per cui le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno in alcun caso effetto sospensivo» (Sez. U “Giacobbe”, cit.).
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di
Salerno competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il giorno 12 giugno 2025.