Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27080 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27080 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato il 13/09/1980 a Roma
avverso l’ordinanza in data 13/02/2025 del Tribunale di Roma
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Presidente NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria di replica inviata dal difensore del ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13 febbraio 2025 il Tribunale di Roma ha confermato in sede di riesame quella del G.i.p. del Tribunale di Civitavecchia in data 19 gennaio 2025, con cui è stata applicata ad NOME COGNOME la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al delitto di favoreggiamento, correlato a reticenti dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria circa la conoscenza di soggetti coinvolti in
una vicenda estorsiva, venuta alla luce a seguito di confidenze rese da NOME COGNOME e culminata nella consegna da parte di quest’ultimo a COGNOME NOME di vettura intestata alla compagna, a pagamento di un debito originato da cessione di stupefacenti, vettura poi acquistata dalla società RAGIONE_SOCIALE, di cui COGNOME è unico socio.
Ha proposto ricorso COGNOME tramite il suo difensore.
2.1 Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione all’art. 378 cod. pen.
Avrebbe dovuto indicarsi che l’agente avesse fornito un contributo materiale idoneo a dare ausilio al soggetto favorito al fine di eludere le investigazioni e che l’autore si fosse rappresentato la portata del suo agire, avendo voluto apportare quell’aiuto, occorrendo una significativa cognizione della situazione giuridica e delle attività di indagine svolte.
Ma il Tribunale si era limitato a dar conto genericamente di legami con il contesto ambientale nel cui ambito sarebbero stati individuati gli autori dell’attività estorsiva e aveva valorizzato le modalità di acquisizione della vettura, seppur fosse stata prodotta documentazione relativa al regolare passaggio di proprietà con il diretto intervento della venditrice.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 378 e 384 cod. pen.
Il G.i.p. aveva escluso la causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen. in ragione della genericità delle dichiarazioni rese da COGNOME che aveva fatto riferimento a soggetti che lavoravano presso Miami Car, ma al Tribunale era stata prodotta documentazione da cui si evinceva che la società non aveva soggetti assunti alle sue dipendenze.
La causa di non punibilità è applicabile anche nel caso di dichiarazioni rese da soggetto già raggiunto da indizi.
Il Tribunale aveva dunque erroneamente escluso l’ipotesi di cui all’art. 384 cod. pen., a fronte del fatto che il ricorrente, percependo che il suo agire conforme alla legge avrebbe potuto comportare un’accusa a suo carico, pur per fatti diversi, aveva reso le dichiarazioni in quello specifico frangente, al fine di sottrarsi ad una possibile incriminazione.
2.3. Con il terzo motivo deduce mancanza di motivazione in ordine al pericolo di reiterazione criminosa.
Il Tribunale aveva valorizzato i precedenti di polizia e l’inserimento in contesti delinquenziali, valutato alla luce della mancanza di redditi leciti.
Ma dei precedenti di polizia non era stata valutata la reale consistenza e quanto all’inserimento in contesti delinquenziali e alla mancanza di redditi leciti, la motivazione era tautologica.
Nel caso di specie era mancato un adeguato apparato argomentativo circa la prognosi di recidivanza.
2.4. Con il quarto motivo deduce violazione degli artt. 163 cod. pen. e 275, comma 2-bis cod. proc. pen.
Il Tribunale non aveva motivato in ordine alla prognosi di concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena, alla luce delle modalità del fatto e della personalità del soggetto.
2.5. Con il quinto motivo deduce mancanza di motivazione in ordine al pericolo di inquinamento probatorio.
Il Tribunale aveva motivato in ordine alla natura del reato, all’attività di intralcio alle indagini e al contesto di omertà, anche sulla scorta dei precedenti di polizia per reati contro la fede pubblica.
Ma si trattava di motivazione apparente, a fronte del fatto che il G.i.p. aveva fatto un generico richiamo al pericolo di inquinamento probatorio, senza alcuna specifica individualizzazione di quel pericolo, che avrebbe dovuto riguardare i fatti alla base della cautela, fermo restando che non erano state indicate specifiche situazioni di fatto da cui desumere che l’indagato avrebbe potuto turbare il processo formativo della prova.
2.6. Con il sesto motivo deduce violazione dell’art. 291, comma 1-quater e dell’art. 292, comma 3-bis cod. proc. pen.
Il G.i.p, aveva omesso di procedere all’interrogatorio preventivo dell’indagato, in ragione del ravvisato pericolo di inquinamento probatorio, ma l’assenza di quest’ultimo, non ricavabile da elementi concreti, avrebbe dovuto condurre allo svolgimento di quell’interrogatorio, la cui mancanza ha determinato la nullità dell’ordinanza genetica.
Il Procuratore generale ha inviato la requisitoria concludendo per il rigetto del ricorso.
Il difensore del ricorrente ha inviato una memoria di replica, deducendo in ordine agli argomenti valorizzati con riguardo a ciascun motivo di ricorso.
Il procedimento si è svolto con trattazione scritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi due motivi, esaminabili congiuntamente, sono formulati genericamente e risultano comunque manifestamente infondati.
Il Tribunale, anche alla luce dell’ordinanza genetica, ha dato conto degli elementi in forza dei quali con motivazione non illogica ha ritenuto che sussistesse un compendio indiziario grave a carico del ricorrente, il quale, sentito dai Carabinieri dopo la denuncia con cui NOME COGNOME aveva segnalato la condotta estorsiva in suo danno, ascrivibile a NOME e a NOME COGNOME, aveva reso dichiarazioni reticenti in ordine al fatto che la vettura consegnata da NOME COGNOME per effetto della condotta estorsiva fosse stata acquisita dalla società RAGIONE_SOCIALE di cui il ricorrente è unico socio, e in ordine alla sua conoscenza dei soggetti coinvolti nella vicenda, con i quali per contro risultava avere rapporti.
Di qui il ravvisato favoreggiamento, essendo stato peraltro escluso che il ricorrente potesse invocare la causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen., attesa l’insussistenza di elementi per effetto dei quali il ricorrente potesse ritenersi altrimenti raggiunto da indizi di reità e non essendo in concreto correlativamente ravvisabile il pericolo di un danno grave alla libertà, conseguente se del caso a dichiarazioni veritiere.
I motivi di ricorso reiterano tali deduzioni senza offrire un diverso quadro valutativo e senza porre in luce fratture logiche del ragionamento del Tribunale.
Venendo tuttavia, a questo punto, all’analisi del quinto e del sesto motivo, deve rilevarsene la decisiva e dirimente fondatezza.
Va al riguardo osservato che nell’ordinanza genetica, con l’avallo del Tribunale, è stato ravvisato anche nei confronti del ricorrente il pericolo di inquinamento probatorio di cui all’art. 274, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., circostanza posta a fondamento del mancato previo espletamento dell’interrogatorio, che è contemplato dall’art. 291, comma 1-quater, cod. proc. pen., introdotto dalla legge n. 114 del 2024, fatti salvi i casi in cui ricorrano l esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. a) e lett. b) cod. proc. pen., ovvero -in relazione a determinati reati di maggiore complessità e relativamente alla gran parte dei quali già opera la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. o è comunque avvertibile l’esigenza di un pronto intervento a tutela della persona offesa, l’esigenza cautelare di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
In concreto si è ritenuto che il pericolo di inquinamento probatorio sussistesse a carico di tutti gli indagati, compreso il ricorrente, in ragione della possibilità reiterazione di analoga condotta da parte di quest’ultimo nell’ambito dello stesso procedimento con conseguente intralcio per le indagini e in ragione del contesto di omertà, nel quale avrebbe dovuto inserirsi il ricorrente, peraltro gravato da precedenti per reati contro la fede pubblica.
3. Ciò posto, deve rilevarsi che l’interrogatorio preventivo presuppone l’adempimento di un dovere informativo che, ai sensi dell’art. 291, comma 1sexies, cod. proc. pen., viene configurato attraverso la previsione di un obbligo di comunicazione al pubblico ministero e di notificazione all’indagato ed al suo difensore di un atto, l’avviso di presentazione per rendere l’interrogatorio.
La regola e le relative eccezioni sono volte ad assicurare da un lato che il soggetto possa previamente interloquire a tutela del suo diritto di difesa, in modo da poter rappresentare elementi idonei ad escludere la gravità indiziaria o le ragioni di cautela e dall’altro che le esigenze cautelari non vengano compromesse dalla previa informazione all’interessato in situazioni nelle quali si imporrebbe l’adozione di un atto a sorpresa.
Ove tale situazione sia individuata nel pericolo di inquinamento probatorio, lo stesso deve risultare concretamente sussistente al momento dell’esecuzione della misura.
Alla facoltatività della sottoposizione all’interrogatorio preventivo si contrappone, per l’evenienza in cui esso abbia luogo, l’obbligo di documentazione integrale secondo le modalità previste dall’art. 141-bis cod. proc. pen. per l’ipotesi di interrogatorio della persona in stato di detenzione. Le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio preventivo, il cui compimento fa venire meno l’obbligo di procedere all’interrogatorio di garanzia, costituiscono elementi che devono, a pena di nullità dell’ordinanza cautelare, essere oggetto di specifica valutazione da parte del giudice e la relativa documentazione deve essere, secondo quanto previsto dal nuovo art. 309, comma 5, cod. proc. pen., necessariamente (“in ogni caso”) trasmessa al tribunale del riesame.
Ai sensi dell’art. 292, comma 3-bis, cod. proc. pen., «l’ordinanza è nulla se non è preceduta dall’interrogatorio nei casi previsti dall’art. 291, comma 1-quater, nonché quando l’interrogatorio è nullo per violazione delle disposizioni di cui ai commi 1-septies e 1-octies del medesimo articolo».
La nullità, come è noto, è una sanzione correlata a un vizio strutturale dell’atto, ben potendosi dire dunque che l’omissione dell’interrogatorio dia luogo ad un vizio genetico del titolo cautelare.
La norma di nuovo conio, al contrario della disciplina dell’interrogatorio di garanzia posticipato ex art. 294 cod. proc. pen., delinea un’architettura procedimentale che postula come prerequisito per l’emissione della misura personale l’interlocuzione preventiva con il suo destinatario, salve le pur ampie deroghe previste. Il contatto anticipato tra il giudice e il (potenziale) destinatario del provvedimento restrittivo costituisce un elemento fondante, e non solo cronologicamente antecedente, dell’esercizio del potere cautelare e la sua
omissione costituisce un vulnus all’esercizio delle prerogative difensive, poiché priva l’indagato del diritto di esporre quanto ritenuto a sua difesa.
Non viene in rilievo, come nel distinto schema di cui agli artt. 302 e 306 cod. proc. pen., una causa di inefficacia della misura sopravvenuta rispetto all’emissione e all’applicazione del vincolo cautelare e che opera sul diverso piano della persistenza della misura stessa, ma l’accertata inesistenza originaria di un presupposto fisiologicamente legittimante il titolo cautelare.
Poiché il mancato interrogatorio preventivo rende configurabile un vizio che incide sulla validità dell’ordinanza genetica e sulla legittimità del potere coercitivo esercitato dal giudice, ne discende che il giudice del riesame non può esercitare il potere integrativo e sanante, pure previsto dall’art. 309, comma 9, cod. proc. pen., che non può essere svolto, invece, quando l’ordinanza emessa sia inficiata da un vizio genetico.
L’omesso interrogatorio compromette le garanzie difensive dell’indagato e, come già affermato da questa Corte, ammettere, in tale caso, il potere integrativo del Tribunale significherebbe attribuire efficacia sanante della nullità non alla scelta della “parte”, indagato o difensore, cui è rimessa l’eccezione di nullità, ma al giudice (così Sez. 6, n. 17916 del 20/03/2025, Luciano, Rv. 288037 – 01).
Quanto ai poteri del Tribunale del riesame nel caso in cui l’ordinanza genetica sia stata emessa senza procedere all’interrogatorio preventivo, si è anche affermato (Sez. 2, n. 9113 del 9/01/2025, COGNOME non mass.; Sez. 6, n. 17916/2025 cit.) che «il pericolo di fuga ovvero il pericolo di inquinamento di prove che consentono al giudice di disporre la misura cautelare senza procedere all’interrogatorio preventivo previsto dall’art. 291, comma 1-quater, cod. proc. pen. devono sussistere oggettivamente, così che la sua mancanza, rilevata o ritenuta dal giudice dell’impugnazione, provoca l’annullamento dell’ordinanza dispositiva emessa sulla base di tali esigenze cautelari erroneamente ritenute dal giudice del provvedimento genetico».
L’interrogatorio preventivo, infatti, costituisce presupposto oggettivo per l’emissione della misura, derogabile solo in presenza della “sussistenza” – e, quindi, della loro realtà oggettiva – dei casi che limitano la natura generale della disposizione che lo ha introdotto.
La sussunzione dell’interrogatorio preventivo nel procedimento di applicazione dell’ordinanza, quale parte integrante dell’esercizio del potere dispositivo del giudice, rende configurabile, nel caso in cui sia stato omesso, la violazione delle prescrizioni di cui all’art. 291, comma 1-quater, cit. e, incidendo sulla sfera di operatività dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., che riguarda l’intervento dell’indagato, concretizza una nullità che deve essere qualificata come a regime
intermedio e deve essere fatta valere con la richiesta di riesame (v. Sez. 6 n. 17916/2025 cit).
L’omissione dell’interrogatorio preventivo dà luogo ad una nullità diversa da quella dell’omesso interrogatorio di garanzia, la cui omissione inficia la efficacia dell’ordinanza e che, secondo la giurisprudenza, non può neppure essere dedotta in sede di riesame (ex multis, Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202 – 01), nonché dai casi in cui, per violazione dei termini dell’invito a presentarsi o delle modalità dell’interrogatorio, si sia in presenza della violazione delle disposizioni recate dai commi 1-septies e 1-octies del medesimo articolo.
Già con riferimento all’interrogatorio dell’indagato previsto dall’art. 289 cod. proc. pen. questa Corte aveva inquadrato il mancato espletamento dell’interrogatorio in un caso di nullità di ordine generale a regime c.d. intermedio, riconducibile all’art. 178, lett. c), cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 46218 del 6/11/2009, COGNOME, Rv. 245539 – 01), conclusione che deve essere più in generale riaffermata in relazione al mancato espletamento dell’interrogatorio preventivo.
Ciò posto, si rileva come la motivazione a sostegno del pericolo di inquinamento probatorio nel caso di specie possa dirsi meramente apparente in quanto correlata a valutazioni meramente assertive e generiche.
La relativa esigenza, invero, implica la sussistenza di specifiche e inderogabili esigenze relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento.
A tal fine il pericolo deve essere ravvisato in relazione ai fatti alla base della cautela (Sez. 6, n. 34084 del 29/09/2020, COGNOME, Rv. 280091 – 01) e può concernere sia le prove a carico sia quelle a discarico (Sez. 3, n. 39972 del 12/06/2019, B., Rv. 276912 – 01), essendo tuttavia «insufficiente la generica eventualità che l’indagato prepari una strategia difensiva, concordata con gli altri indagati, occorrendo invece la manifestazione dell’intento di incidere concretamente sulla genuinità delle fonti di prova, al fine di turbarne o deviarne le corrette modalità di acquisizione ovvero la concertazione di linee difensive comuni da parte di più indagati» (Sez. 6, n. 36874 del 13/06/2017, COGNOME, Rv. 270814 – 01).
Occorre comunque che il pericolo sia concreto: lo stesso «va identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere, secondo la regola dell -id quod plerumque accidit”, che l’indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti» (Sez. 6, n. 29477 del 23703/2017, COGNOME, Rv. 270561 -01).
Alla resa dei conti l’indicazione del pericolo deve essere specifica con riguardo a contenuti e fonti di prova, dando conto dell’inderogabilità dell’esigenza.
D’altro canto, tale esigenza non può non essere rapportata alla natura del compendio probatorio già acquisito, per segnalare come lo stesso sia suscettibile di evoluzione e di alterazione in relazione a condotte inquinanti.
A fronte di ciò, deve prendersi atto dell’assenza di specifici riferimenti alle modalità di inquinamento e dei temi di prova soggetti ad alterazione, essendo inoltre del tutto generico l’assunto dell’ipotizzabilità di condotte inquinanti a carico del ricorrente, tanto da imporre per tale causa una misura di custodia.
Posto che tale quadro non discende da una situazione sopravvenuta, ma può dirsi coevo all’adozione dell’ordinanza genetica nei confronti del ricorrente, deve rilevarsi come, a fronte delle prospettabili esigenze cautelari di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., si imponesse comunque il previo interrogatorio del ricorrente, in base alla disciplina novellata dalla legge n. 114 del 2024.
L’omesso interrogatorio produce dunque la nullità dell’ordinanza genetica prevista dall’art. 292, comma 3-bis cod. proc. pen., introdotto dalla medesima legge n. 114 del 2024.
Deve tuttavia rilevarsi che, secondo un recente orientamento interpretativo, ove ricorra un’eccezione alla regola del previo interrogatorio con riguardo a taluno dei reati contestati, la stessa eccezione deve valere per tutti i reati alla base della misura cautelare (Sez. 3, n. 19068 del 15/01/2025, V., Rv. 28844 – 01).
Sviluppando tale ragionamento, si è affermato (v. notizia di decisione della Sez. 2, udienza del 12 giugno 2025, relativa ai ricorsi n. 12215/2025, 12223/2025, 12246/2025, 12265/2025) che l’eccezione alla regola possa scattare anche in caso di misura applicata nei confronti di più soggetti per reati tra loro connessi, ove per taluno di essi siano configurabili le esigenze di cui all’art. 274, comma 1, lett. a) o b), oppure se uno o più di essi rientrino nell’elenco dei reati per i quali assume rilievo, al fine di escludere il previo interrogatorio, anche il solo pericolo di cui all’art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen.
A tal fine si assume che l’unitario procedimento non potrebbe essere soggetto a separazione operata dal Giudice in sede di adozione della misura richiesta, per effetto dell’applicazione di un diverso regime.
Inoltre, si fa rilevare come, in generale, nel caso di reati connessi le esigenze debbano essere valutate complessivamente, in relazione ai reati più gravi o comunque maggiormente significativi sotto il profilo cautelare.
Si tratta di assunto che non si espone a censure con riguardo all’ipotesi in cui ad un determinato soggetto venga applicata una misura cautelare per più reati,
solo per alcuni dei quali operi l’eccezione alla regola del previo interrogatorio, dovendosi in tal caso ritenere che le esigenze di tutela possano essere valutate complessivamente, dovendosi dunque dare prevalente rilievo al reato che giustifica l’eccezione.
Non altrettanto sembra possibile affermare con riguardo alle ipotesi di reati connessi -o magari solo tra loro collegati-, contestati a soggetti diversi.
In questo caso deve darsi prevalente rilievo al fatto che la regola del previo interrogatorio è volta alla tutela del singolo indagato, il quale non può essere pregiudicato dalla posizione di altri indagati, che debbano rispondere di reati più gravi o nei cui confronti siano specificamente ravvisabili esigenze che impongono un intervento a sorpresa.
Ciò non implica affatto che il Giudice debba procedere ad una separazione delle posizioni, restando unico il procedimento, ma essendo differenziato il rispettivo regime cautelare.
Del resto, a fronte di una richiesta unitaria, nulla esclude che il Giudice possa emettere autonome ordinanze cautelari, fermo restando che nulla impedisce che in presenza di esigenze cogenti nei confronti di taluni indagati possano utilizzarsi prassi virtuose volte ad evitare che il previo interrogatorio di un indagato possa compromettere le esigenze di immediata tutela che possano essere ravvisate nei confronti di altro indagato, facendo coincidere l’esecuzione dell’ordinanza applicativa di misura cautelare con l’avviso finalizzato al previo interrogatorio di coloro nei cui confronti non operano le ragioni di eccezione alla regola.
In tal modo si realizza il risultato di contemperare tutte le esigenze sottese alla richiesta cautelare, senza tuttavia pregiudicare il diritto al previo interrogatorio riconosciuto ai singoli indagati che non siano chiamati a rispondere di reati rientranti nello specifico elenco, o nei cui confronti non siano ravvisabili cogenti esigenze legate all’inquinamento probatorio o alla fuga.
Né possono valere in senso contrario rilievi di carattere generale sulla prevalenza accordata a fini di indagine al reato più grave, in quanto la misura cautelare si rivolge al singolo ed è dunque la posizione del singolo indagato, di fronte al rischio di sottoposizione a misura cautelare, che deve essere prioritariamente tutelata secondo il disegno normativo.
In concreto, dunque, non potrebbe assumere rilievo, nel caso di specie, il tipo di reato contestato ad altri indagati o la configurabilità nei confronti di costoro delle esigenze di cui alla lett. a) o b) dell’art. 274 cod. proc. pen., ferma restando la mera apparenza della motivazione con riguardo alla posizione dell’odierno ricorrente.
Da ciò discende che deve essere dichiarata la nullità di cui all’art. 292, comma 3 -bis cod. proc. pen., destinata a travolgere non solo l’ordinanza impugnata ma primariamente l’ordinanza genetica.
Resta tuttavia da esaminare, per completezza, un ultimo profilo, quello della deducibilità del vizio.
La descritta nullità è soggetta, quale nullità generale, ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 cod. proc. pen.
Quanto alle regole di deducibilità e di preclusione di cui all’art. 182 cod. proc. pen., le stesse devono essere valutate alla luce della peculiarità dello schema procedimentale: il secondo comma presuppone infatti che all’atto assista la parte, ciò che non è ravvisabile con riguardo all’adozione di un atto a sorpresa, quale l’ordinanza applicativa di misura cautelare non preceduta da interrogatorio.
Per giunta l’assistenza della parte va correlata alla possibilità di immediato esercizio delle facoltà difensive e dunque all’effettiva presenza della parte tecnicamente assistita da un difensore (sul punto Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015, Bianchi, Rv. 263024 -01, che ha inoltre precisato che «nel caso in cui la nullità dell’atto derivi da un mancato avviso di una garanzia difensiva, alla cui conoscenza l’avviso stesso è preordinato, la sua deducibilità, da parte dell’indagato o dell’imputato che vi abbia assistito, non è soggetta ai limiti previsti dall’art. 182 comma secondo, cod. proc. pen.»: Rv. 263026 – 01).
Non diverse indicazioni si traggono dalle pronunce che hanno riguardato peculiari ipotesi di nullità a regime intermedio, correlate alla mancata notifica dell’avviso di udienza al secondo difensore o a vizi della notifica, e hanno contemplato uno sbarramento alla loro deducibilità (Sez. U, n. 39060 del 16/07/2009, Aprea, Rv. 244188 – 01; Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, COGNOME, Rv. 229504 – 01): in tali casi, infatti, si presuppone comunque che il vizio si consolidi alla presenza di una parte assistita, al momento della verifica della sua regolare costituzione, situazione non riproducibile nel caso dell’ordinanza applicativa di misura cautelare e della sua esecuzione.
In tale prospettiva non è necessario individuare uno specifico atto, cui correlare un effetto preclusivo, ma è sufficiente aver riguardo alle fasi procedimentali volte alla verifica della legittimità del titolo genetico, superate le quali la questione della nullità dovrebbe ritenersi preclusa, con definitivo consolidamento della validità di quel titolo.
Questa Corte (Sez. 6, n. 17916/2025 cit.) ha già affermato che, non vertendosi, invero, in materia di inefficacia della misura ma di invalidità del provvedimento cautelare, non sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 306 e 310 cod. proc. pen., ma il mezzo tipico di deduzione della nullità è rappresentato
dalla richiesta di riesame, che costituisce il mezzo di impugnazione preordinato alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione del provvedimento cautelare e che consente all’indagato di ottenere un pieno controllo giurisdizionale sulla legittimità del provvedimento e, quindi, la verifica ex post della sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge per l’applicazione della misura, costituiti non solo dai gravi indizi e dalle esigenze cautelari ma anche dalla necessità (o meno) dell’interrogatorio preventivo. Non rileva a pena di decadenza, trattandosi di vizio genetico del titolo, la mancata deduzione della nullità nel corso dell’interrogatorio di garanzia, a prescindere dalle sue modalità e, cioè, sia nel caso in cui l’indagato abbia accettato il contraddittorio, rispondendo alle domande ed esponendo quanto ritenuto utile alla sua difesa, sia nel caso in cui si sia avvalso del diritto al silenzio L’interrogatorio preventivo non è, infatti, surrogabile e l’indagato ha interesse, a prescindere dal concreto iter processuale, all’osservanza della disposizione che è parte integrante del potere coercitivo del giudice.
Tutto ciò non significa che la questione non possa essere fin da quel momento dedotta, ma solo che la mancata formulazione di un’eccezione di nullità in quella sede non possa assumere rilievo preclusivo.
Siffatta opzione ermeneutica va preferita all’altra adottata da questa Corte (v. ancora notizia di decisione della Sez. 2, udienza del 12 giugno 2025, relativa ai ricorsi n. 12215/2025, 12223/2025, 12246/2025, 12265/2025) secondo cui l’omissione del previo interrogatorio, nei casi in cui esso sia dovuto, integra una nullità a regime intermedio, che non può essere rilevata di ufficio dal tribunale del riesame nel caso in cui non sia stata eccepita dall’interessato in sede di interrogatorio postumo di garanzia nelle more svolto.
Non pare superfluo ricordare al riguardo che l’intervento normativo del 2024 ha lasciato integro (tra gli altri, e per quel che nella specie più direttamente interessa), in tema di riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, l’assetto normativo delineato dall’art. 309 cod. proc. pen., che, come noto, al comma 9, dispone che, il tribunale, se non deve dichiarare l’inammissibilità della richiesta, annulla, riforma e conferma l’ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza. Il tribunale può sia annullare il provvedimento impugnato, sia riformarlo in senso favorevole all’imputato, anche per motivi diversi da quelli enunciati, ovvero può confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso.
Inoltre, il Tribunale del riesame ha il potere/dovere di integrazione delle insufficienze motivazionali del provvedimento impugnato, salvo il caso di ordinanza che si sia limitata ad una sterile rassegna delle fonti di prova a carico dell’indagato e che manchi totalmente di qualsiasi riferimento contenutistico e di
enucleazione GLYPH degli GLYPH specifici GLYPH elementi GLYPH reputati GLYPH indizianti GLYPH (Sez. 3, n. 3038 del 14/11/2023, dep. 2024, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 285747 – 01; Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272596 – 01; Sez. 6, n. 25631 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 254161 – 01).
Con l’unico limite del divieto di reformatio in peius, il tribunale, in sede di riesame, ha, quindi, la stessa cognizione piena del giudice che ha emesso la misura restrittiva.
Tale assetto è stato costantemente e uniformemente interpretato dalla giurisprudenza nel senso del controllo demandato al giudice del riesame sulla sussistenza degli elementi giustificativi della misura cautelare imposta. Il riesame è diretto al controllo dei presupposti formali e sostanziali della misura cautelare e con esso, quindi, sono deducibili e rilevabili d’ufficio i vizi genetici de provvedimento coercitivo (così, tra le altre, Sez. 3, n. 37608 del 9/6/2021, COGNOME, Rv. 282023 – 01).
Deve, infatti, ricordarsi che le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto modo di rilevare che, a seguito delle novelle normative intervenute sull’originario quadro disegnato dal codice di rito, «il riesame ha assunto la funzione di strumento di controllo a garanzia della libertà personale nella dialettica tra le parti, attraverso un’effettiva e tempestiva verifica giudiziale, con l’attuata discovery degli elementi a sostegno della richiesta cautelare. Da mezzo di difesa per costringere il P.M. a scoprire la sua strategia accusatoria, il riesame si è connotato, secondo l’evoluzione giurisprudenziale, di una logica di tipo sostanziale che consentisse la polarizzazione del controllo del tribunale sulla valutazione degli indizi, operata dal giudice cautelare, attraverso la trasmissione dei dati dai quali potessero desumersi gli elementi di colpevolezza, le esigenze cautelar’ e l’adeguatezza della misura prescelta» (Sez. U, n. 19853 del 27/03/2002, P.M. in proc. NOME COGNOME, Rv. 221393 – 01).
Alla luce di quanto precede, spettando al tribunale il controllo sui vizi genetici del titolo cautelare, è evidente che a tale organo va rimessa la verifica sulla sussistenza di un elemento costitutivo dell’ordinanza impositiva della misura cautelare, qual è, sulla base delle ragioni innanzi esposte, la presenza dell’interrogatorio o di una causa che ne consente la mancata effettuazione.
Tale verifica, come si è rilevato, non può essere preclusa dalla mancata proposizione dell’eccezione di nullità dinanzi al giudice che effettua l’interrogatorio di garanzia.
Manca una espressa previsione in questo senso e, del resto, tale giudice, come disposto dall’art. 294 cod. proc. pen., accerta la permanenza delle condizioni legittimanti l’applicabilità della misura e le esigenze cautelari previste dagli artt. 273, 274 e 275 dello stesso codice, così che il suo sindacato non necessariamente
investe i vizi genetici del titolo cautelare ma si focalizza sulla persistenza dell’efficacia del titolo cautelare alla luce delle dichiarazioni rese dall’interrogato.
Può aggiungersi che, soprattutto in casi peculiari, pur considerando che all’interrogatorio di garanzia partecipa il difensore dell’indagato o dell’imputato, i tempi di svolgimento dello stesso, rispetto all’adozione della misura cautelare, sono ristrettissimi, così che, onerando la difesa della proposizione in quella sede dell’eccezione di nullità per la mancata effettuazione dell’interrogatorio preventivo – che può implicare l’esame puntuale del tema della sussistenza o meno delle condizioni che rendono obbligatorio tale incombente e l’indicazione di elementi utili a conforto della propria prospettazione – potrebbero sorgere dubbi sull’effettiva possibilità per l’indagato di svolgere appieno la sua difesa, salvo che non si debba optare per una eccezione sollevata al solo fine di non vedersi precludere la riproposizione dinanzi al Tribunale del riesame.
Circostanza, questa, che stride con il diritto di esercitare in modo consapevole ed effettivo la propria difesa.
In definitiva non possono trarsi elementi significativi dalla causa di preclusione prevista dall’art. 182 cod. proc. pen., venendo invece in rilievo il diverso tema del consolidamento della misura, a fronte di vizi genetici, che può discendere solo dal passaggio procedimentale deputato a quella verifica, costituito dal giudizio di riesame.
La reiezione definitiva dell’eccezione o la mancata proposizione della relativa istanza vale a rendere non più deducibile il vizio in esame, non diversamente da quanto affermato con riguardo alla nullità discendente dalla mancanza di autonoma valutazione (Sez. 3, n. 41786 del 26/10/2021, COGNOME, Rv. 282460 – 01), ipotesi nella quale, a fronte di un vizio genetico del titolo cautelare, non si è prospettata la necessità di investire della questione il giudice che svolge l’interrogatorio di garanzia prima di adire il tribunale.
A decisivo riscontro di tale analisi può invocarsi quanto rilevato dalle Sezioni Unite con riguardo al vizio rappresentato dalla mancata traduzione del titolo cautelare in lingua conosciuta dall’indagato. Nel condividere l’orientamento giurisprudenziale secondo cui le ipotesi di mancata o tardiva traduzione dei provvedimenti che dispongono una misura cautelare personale nei confronti di un cittadino straniero che non conosce la lingua italiana concretizzano un vizio dell’atto (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286356 – 01), le Sezioni Unite hanno, in particolare, affermato che, nel caso in cui la mancata conoscenza della lingua italiana da parte del cittadino straniero emerga già prima dell’emissione del provvedimento che disponga una misura cautelare personale, la misura cautelare deve ritenersi adottata, ove la traduzione non sia eseguita in termini congrui, così come previsto dall’art. 143, comma 2, cod. proc. pen., in
assenza di uno dei suoi elementi costitutivi, rappresentato dalla comprensione da parte del cittadino straniero delle ragioni che giustificano la privazione della sua
libertà. Da questo inquadramento si è tratta la conclusione che il vizio derivante dalla mancata traduzione dell’ordinanza cautelare, laddove la circostanza che
l’arrestato non conosce la lingua italiana emerga prima dell’adozione del provvedimento, non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità,
riguardando un’ipotesi di nullità che, in quanto, appunto, generale a regime intermedio, deve «essere eccepita con l’impugnazione dell’ordinanza applicativa
dinanzi al tribunale del riesame, restando altrimenti preclusa la sua deducibilità e la sua rilevabilità».
Va aggiunto che l’opzione ermeneutica prescelta consente di tenere conto che l’incidenza diretta delle misure cautelari sulla libertà personale, da cui traggono
origine le garanzie previste dell’art. 24, secondo comma, Cost., e 6, par. 3, lett.
a), CEDU, impone di riconoscere la massima forza espansiva al diritto di difesa dell’indagato, assicurandogli di potere far valere il vizio dinanzi al Tribunale senza
il rischio di incorrere in preclusioni processuali.
Di qui la conclusione che l’eccezione di nullità derivante dal mancato previo interrogatorio non è preclusa ove la stessa non sia sollevata in sede di interrogatorio di garanzia postumo, essendo demandata alla valutazione del Tribunale in sede di riesame e non essendo per contro deducibile per la prima volta oltre tale fase procedimentale.
Sulla scorta di tale analisi si impone l’accoglimento del ricorso, dovendosi dunque annullare senza rinvio sia l’ordinanza impugnata sia l’ordinanza genetica con conseguente immediata liberazione del ricorrente, ove non detenuto per altra causa.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e l’ordinanza del GIP del Tribunale di Civitavecchia del 19 gennaio 2025. Ordina la liberazione di COGNOME NOME, se non detenuto per altra causa. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen.
Il Presidente estensore
Mssimq icciarelli