Interesse all’impugnazione: la Cassazione chiarisce il diritto dell’indagato
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale della procedura penale: il diritto di un indagato a contestare un sequestro probatorio. Il caso esaminato chiarisce che l’interesse all’impugnazione sussiste anche quando i beni sequestrati, sebbene di proprietà dell’indagato o della sua società, si trovino materialmente presso un terzo, come un consulente. Questa decisione sottolinea come il diritto alla difesa prevalga su formalismi legati al luogo fisico del sequestro.
I Fatti del Caso
Il legale rappresentante di una società si è trovato al centro di un’indagine penale. Nel corso delle investigazioni, il Pubblico Ministero ha disposto un decreto di perquisizione e sequestro probatorio avente ad oggetto la documentazione contabile ed extracontabile della società. Tuttavia, i documenti non sono stati sequestrati presso la sede aziendale, ma nello studio professionale del consulente della società, anch’egli indagato.
Il legale rappresentante ha impugnato il provvedimento di sequestro davanti al Tribunale del Riesame. Sorprendentemente, il Tribunale ha dichiarato l’impugnazione inammissibile per carenza di interesse ad agire. Secondo i giudici del riesame, l’indagato non avrebbe avuto un interesse concreto all’annullamento del sequestro, poiché non era il titolare del diritto alla restituzione dei documenti: questi, in caso di annullamento, sarebbero stati restituiti al consulente presso il cui studio erano stati prelevati.
Di fronte a questa decisione, il legale rappresentante ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione di legge e sostenendo di avere pieno diritto e interesse a riavere i documenti, indispensabili per la prosecuzione dell’attività amministrativa e contabile della sua società.
La questione dell’Interesse all’Impugnazione
Il nodo centrale della questione giuridica verte sulla corretta interpretazione del concetto di interesse all’impugnazione. La legge riconosce all’indagato la “legittimazione” a impugnare, ovvero il diritto formale di presentare ricorso. Tuttavia, per essere ammissibile, il ricorso deve essere sorretto da un “interesse” concreto, che si traduce nella possibilità di ottenere un vantaggio pratico dall’eliminazione del provvedimento contestato.
Il Tribunale del Riesame aveva adottato un’interpretazione restrittiva, legando l’interesse alla titolarità del diritto alla restituzione immediata e al luogo del sequestro. La difesa, invece, sosteneva una visione più sostanziale: l’interesse derivava direttamente dalla necessità funzionale di disporre dei documenti per la vita stessa dell’impresa.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato e annullando l’ordinanza del Tribunale del Riesame. Le motivazioni della Suprema Corte sono chiare e si basano su principi consolidati.
In primo luogo, i giudici hanno ribadito che l’indagato gode degli stessi diritti e garanzie dell’imputato, inclusa la piena legittimazione a proporre richiesta di riesame contro un decreto di sequestro, come previsto dagli articoli 61 e 257 del codice di procedura penale.
In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, la Corte ha definito l’interesse all’impugnazione in termini pratici e sostanziali. L’interesse sussiste ogni qualvolta il ricorso sia idoneo a creare una “situazione pratica più vantaggiosa” per chi impugna. Nel caso di specie, non vi è dubbio che per il legale rappresentante di una società, la libera disponibilità della documentazione contabile ed extracontabile rappresenti un vantaggio enorme, essendo essa funzionale all’operatività stessa dell’impresa.
La Corte ha inoltre demolito l’argomento del Tribunale del Riesame, qualificandolo come “erroneo”. È stato chiarito che il fatto che i documenti fossero stati sequestrati presso lo studio del consulente è irrilevante. Il consulente era un “mero depositario”, ovvero deteneva i documenti per conto e nell’interesse della società. Di conseguenza, il titolare del diritto alla restituzione non poteva che essere la società stessa, rappresentata dal suo legale rappresentante.
Affermare che l’indagato non avesse interesse alla restituzione è stato ritenuto un errore logico e giuridico, poiché è evidente che i documenti appartengono alla società e a essa devono tornare in caso di dissequestro.
Le Conclusioni
Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ha rafforzato la tutela del diritto di difesa dell’indagato, sganciando la nozione di interesse ad agire da formalismi legati al luogo del sequestro. La decisione stabilisce che ciò che conta è il rapporto sostanziale tra l’indagato e il bene sequestrato e il vantaggio pratico che deriverebbe dalla sua restituzione. Per un’impresa, poter disporre della propria documentazione contabile è un interesse concreto e attuale, che fonda pienamente il diritto di contestare un provvedimento di sequestro. L’ordinanza è stata quindi annullata con rinvio al Tribunale di Perugia per un nuovo giudizio che dovrà attenersi a questo principio.
Chi può presentare ricorso contro un decreto di sequestro probatorio?
La sentenza chiarisce che, a norma dell’art. 257 cod. proc. pen., possono proporre richiesta di riesame l’imputato (e quindi anche l’indagato), il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.
L’amministratore di una società ha interesse a impugnare il sequestro di documenti aziendali avvenuto presso lo studio di un consulente?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il legale rappresentante ha un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, poiché la libera disponibilità della documentazione contabile ed extracontabile è funzionale all’operatività dell’impresa e la sua restituzione costituisce un vantaggio pratico.
In caso di annullamento del sequestro, a chi devono essere restituiti i documenti aziendali prelevati presso un consulente?
I documenti devono essere restituiti alla società, in quanto ne è la titolare. Il consulente è considerato un mero depositario, quindi il diritto alla restituzione spetta al legale rappresentante della società e non a chi li deteneva materialmente al momento del sequestro.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44965 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44965 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FARDELLA il 24/10/1956
avverso l’ordinanza del 16/04/2024 del TRIB. LIBERTA’ di PERUGIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in epigrafe indicata con la quale il Tribunale del Riesame di Perugia RAGIONE_SOCIALE> ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta nell’interesse del ricorrente avverso il decreto di perquisizione e sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero di Spoleto in data 20 marzo 2024, avente ad oggetto la documentazione contabile ed extracontabile della società RAGIONE_SOCIALE custodita presso lo studio professionale di NOME COGNOME consulente della suddetta società, anch’egli indagato.
Si precisa che il giudice a quo ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione per carenza di interesse ad impugnare, ritenendo che il COGNOME sebbene rappresentante legale della società RAGIONE_SOCIALE nonché persona sottoposta ad indagini, non fosse portatore di un interesse concreto all’annullamento della misura cautelare, non essendo titolare del diritt alla restituzione della res, da restituire all’indagato NOME COGNOME presso il cui studio è stata sequestrata.
Il ricorrente lamenta, con unico motivo di ricorso, violazione di legge, rappresentando di essere indagato nel procedimento penale, di essere quindi legittimato ad impugnare ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen., di avere interesse ad impugnare, nonché di avere un interesse concreto ed attuale alla restituzione dei documenti in quanto indispensabili per la prosecuzione contabile e amministrativa della società. Deduce di non essere neppure stato notiziato del decreto di perquisizione locale e personale tempestivamente, avendo ricevuto l’avviso del decreto di perquisizione solo in data successiva all’effettuazione della perquisizione. Pertanto eccepisce la nullità del decreto di sequestro probatorio.
Il Procuratore generale presso questa Corte, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Il giudice ha dato atto che il COGNOME, rappresentante legale della società RAGIONE_SOCIALE, è indagato nella suddetta qualità di rappresentante legale dell’ente, per ave intrattenuto rapporti commerciali con società cartiere. Il giudice a quo, altresì, ha dato atto che l’attività di investigazione era stata estesa anche nei confronti del COGNOME, consulente del COGNOME e che il COGNOME aveva consegnato documentazione della società RAGIONE_SOCIALE detenuta presso il suo studio professionale. I beni oggetto di sequestro probatorio sono quindi costituiti da documenti contabili e extracontabili relativi alla società, di cui il Locci er depositario presso il suo studio professionale.
A norma dell’art. 257 cod. proc. pen., contro il decreto di sequestro possono proporre richiesta di riesame l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono sta sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.
Non si possono pertanto sollevare dubbi in merito alla legittimazione ad impucinare dell’indagato, al quale, a norma dell’art. 61 cod. proc. pen., si estendono i diritti e le gar dell’imputato. Ricorre certamente, inoltre, in capo al ricorrente l’interesse all’impugnazione, è correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento oggetto dell’impugnazione e sussis qualora il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione del predetto provvedimento, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante (cfr., ex plurimis, Sez.1, n.47495 del 17/10/2003). Al riguardo, non vi è alcun dubbio che per il legale rappresentante di una società avere la libera disponibilità della documentazione contabile ed extracontabile costituisca u vantaggio, essendo essa funzionale all’operatività dell’impresa. Non ha, pertanto, alcun rilievo che la predetta documentazione sia stata sequestrata presso lo studio professionale del COGNOME, che è un mero consulente della società. E’ anche inesatto affermare che titolare del diritto all restituzione della documentazione sia esclusivamente il COGNOME, in quanto è del tutto evidente che essa pertiene alla società di cui il ricorrente è legale rappresentante, onde non può revocarsi dubbio il diritto di quest’ultimo ad ottenere la restituzione della documentazione nel caso in c quest’ultima venga dissequestrata. Erroneo è, dunque, l’asserto secondo cui il ricorrente COGNOME, rappresentante dell’ente, non sia titolare dei beni oggetto del vincolo cautelare e no abbia interesse alla restituzione
L’ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Perugia.
PQM
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Perugia competente ai sensi dell’art. 324, comma 5, cod. proc. pen.