Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26642 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26642 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Santa Maria di Sala (VE) il DATA_NASCITA
avverso la ordinanza del 08/11/2023 del Tribunale di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria con conclusioni scritte del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 43267 dell’Il luglio 2023, la Corte di cassazione annullava con rinvio l’ordinanza del Tribunale del riesame di Venezia del 15 febbraio precedente, che aveva confermato l’applicazione a NOME COGNOME degli arresti domiciliari. L’annullamento era determinato dalla mancata dimostrazione dell’esistenza di valide proroghe dei termini d’indagine e dalla conseguente necessità di verificare l’utilizzabilità delle acquisizioni investigative sulle quali s fondava il giudizio di gravità indiziaria sotteso a quella misura cautelare.
Nelle more del giudizio di legittimità, con ordinanza del 30 maggio 2023, su istanza della difesa, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, competente ex art. 279, cod. proc. pen., sostituiva la custodia domiciliare con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, a norma dell’art. 282, stesso codice.
Successivamente alla pronuncia della Corte di cassazione, lo stesso giudice, a sèguito di nuova istanza difensiva, con ordinanza del 18 luglio, revocava ogni misura cautelare.
Decidendo, dunque, quale giudice del rinvio, il Tribunale di Venezia, con ordinanza dell’8 novembre scorso, ha dichiarato inammissibile il riesame dell’indagato, per sopravvenuta mancanza d’interesse, essendo nel frattempo venuta meno ogni misura cautelare.
Impugna tal ultima decisione l’interessato, con atto del proprio difensore.
Muovendo dalla premessa del proprio perdurante interesse alla decisione nel merito del riesame, in funzione della precostituzione del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, egli enuncia quattro doglianze.
2.1. La prima consiste nella violazione dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui il Tribunale, senza che alcuna disposizione procedurale lo richieda, pretende che l’interesse alla riparazione per l’ingiusta detenzione debba essere oggetto di deduzione specifica ed ulteriore rispetto ai motivi d’impugnazione. La relativa valutazione, invece, dev’essere effettuata dal giudice dell’impugnazione esclusivamente sulla base dei motivi della stessa, e tale interesse può ritenersi in re ipsa, poiché solo con l’accoglimento del ricorso cautelare l’indagato può ottenere la decisione irrevocabile richiesta dall’art. 314, cod. proc. pen., ai fini del suo diritto alla riparazione.
Inoltre, nel caso specifico, sarebbe ravvisabile un interesse ulteriore: quello cioè, dell’eliminazione di diversi elementi di prova dal compendio istruttorio, attraverso la declaratoria d’inutilizzabilità degli stessi, con conseguente alleggerimento della posizione processuale del ricorrente e con eventuali riflessi sulle sue scelte di rito.
2.2. Il Tribunale avrebbe violato il citato art. 568, comma 4, anche per aver ritenuto che il presupposto per il venir meno dell’interesse all’impugnazione, ovvero la cessazione della misura cautelare, fosse intervenuto successivamente alla sentenza rescindente della Corte di cassazione.
Rileva la difesa che gli arresti domiciliari erano stati revocati già prima del giudizio di legittimità, sicché, se ciò avesse determinato il venir meno dell’interesse all’impugnazione, tale situazione sarebbe stata rilevata dalla Corte di cassazione. Se, perciò, quest’ultima non lo ha fatto, deve dedursi che abbia valutato come
persistente detto interesse; né può ritenersi fatto nuovo, rispetto alla sua decisione, la successiva revoca anche dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
2.3. Con il terzo motivo si rileva che, non compiendo l’esame devolutole dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, l’ordinanza impugnata violi anche il disposto dell’art. 627, comma 4, cod. proc. pen..
2.4. La quarta doglianza attiene alla violazione dell’art. 592, cod. proc. pen., per avere il Tribunale del riesame condannato il COGNOME al pagamento delle spese della procedura, pur in presenza di una richiesta di riesame in origine sicuramente ammissibile, oltre che fondata, e divenuta inammissibile, semmai, per un fatto sopravvenuto ad essa e non dovuto a colpa dell’istante.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha trasmesso in cancelleria requisitoria scritta, con la quale chiede di dichiarare inammissibile il ricorso.
Ha depositato memoria e conclusioni scritte la difesa ricorrente, ribadendo tutti i motivi di ricorso ed i relativi argomenti e deducendo altresì: quanto al primo, che sarebbe irrazionale pretendere una specifica ed esplicita deduzione dell’interesse all’impugnazione in funzione della riparazione per ingiusta detenzione, nonché il conferimento della procura speciale al difensore a tal fine, qualora, come nel caso specifico, l’originaria istanza di riesame venga proposta quando la misura cautelare è ancora in vigore, non potendosene prevedere la successiva revoca; riguardo, poi, al terzo motivo, che il Tribunale, rilevando un’inammissibilità verificatasi nel corso di un precedente grado dell’incidente cautelare, ha violato il disposto dell’art. 627, comma 4, cod. proc. pen., che ciò vieta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso, essendo tutti manifestamente infondati.
Quanto al primo, deve premettersi che la domanda di riparazione per ingiusta detenzione costituisce atto personale della parte che l’abbia indebitamente sofferta, potendo perciò essere proposta soltanto da questa personalmente o per mezzo di procuratore speciale (così, tra le più recenti di molte altre, Sez. 4, n. 25082 del 12/05/2021, NOME COGNOME, Rv. 281490; Sez. 4, n. 10187 del 19/12/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278439).
Coerentemente, dunque, con la necessità di una tale iniziativa personale e specifica della parte, le Sezioni unite di questa Corte hanno ormai da tempo fissato il principio secondo cui, in tema di ricorso avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale nelle more revocata o divenuta inefficace, perché possa ritenersi perdurante l’interesse del ricorrente a coltivare l’impugnazione in riferimento a una futura utilizzazione dell’eventuale pronunzia favorevole ai fini del riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione, è necessario che la circostanza formi oggetto di specifica e motivata deduzione, idonea a evidenziare in termini concreti il pregiudizio che deriverebbe dal mancato conseguimento della stessa, formulata personalmente dall’interessato (Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, Testini, Rv. 249002).
Tale deduzione specifica da parte dell’indagato, nel caso concreto, non è avvenuta, per cui il Tribunale, facendo corretta applicazione di tale principio, ha escluso l’interesse di costui all’impugnazione.
Nemmeno può giustificare il ricorso l’ulteriore interesse prospettato dal proponente, quello, cioè, di vedere affermata l’inutilizzabilità di alcune risultanze investigative.
L’eventuale accoglimento della relativa censura, infatti, non esplicherebbe alcun effetto per lui favorevole rispetto alla misura cautelare impugnata, essendo questa già venuta meno. Un interesse all’eliminazione dal compendio probatorio delle acquisizioni eventualmente inutilizzabili può ravvisarsi, semmai, in prospettiva del giudizio di colpevolezza, perciò potendosi e dovendosi far valere la relativa doglianza nell’àmbito del processo principale.
Riguardo al secondo motivo di ricorso, va osservato che l’interesse all’impugnazione è venuto meno solo a seguito della revoca di ogni misura cautelare e non – come invece erroneamente deduce l’indagato – per effetto della sostituzione degli arresti domiciliari con una misura comunque coercitiva, benché non custodiale, qual è l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
In pendenza di tale misura cautelare, dunque, permaneva l’interesse dell’indagato all’impugnazione, mirando quest’ultima ad ottenere l’annullamento del provvedimento cautelare per difetto del presupposto della gravità indiziaria. Soltanto per questo motivo, dunque, il giudice di legittimità non ha rilevato una carenza d’interesse, non già per un ipotetico riconoscimento implicito della persistenza dello stesso pur dopo il venir meno di ogni misura cautelare.
Da quanto appena rilevato discende, poi, l’inesistenza della violazione dell’art. 627, comma 4, cod. proc. pen., lamentata con il terzo motivo di ricorso,
fondandosi tale doglianza sull’erroneo presupposto per cui la Corte di cassazione, in occasione del precedente giudizio, non avrebbe rilevato l’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse.
Come s’è detto, l’interesse all’impugnazione, in quella fase, era ancora ravvisabile, sicché nessun rilievo di un vizio verificatosi nei precedenti gradi o fasi del giudizio ha compiuto il giudice del rinvio.
Non si ravvisa, infine, la denunciata violazione dell’art. 592, cod. proc. pen., giustificandosi la condanna al pagamento delle spese della procedura di riesame, per avere l’indagato insistito nel coltivare tale impugnazione pur nella consapevolezza della sopravvenuta irrilevanza della relativa decisione sul suo status libertatis, e così utilizzando l’incidente cautelare in modo strumentale, soltanto per ottenere una pronuncia potenzialmente a lui favorevole in prospettiva dibattimentale.
La peculiarità della vicenda processuale consente comunque di escludere una colpa del ricorrente nella determinazione delle ragioni dell’inammissibilità del ricorso, con l’effetto che – a norma dell’art. 616, cod. proc. pen. – egli dev’essere condannato al pagamento delle spese del procedimento ma non anche di una somma in favore della cassa delle ammende (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 4 aprile 2024.