Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 36738 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 36738 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CHIAVARI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/01/2024 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME Il P.G. conclude chiedendo l’inammissibilità per carenza di interesse.
udito il difensore
AVV_NOTAIO conclude riportandosi ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in preambolo il Tribunale di Napoli, decidendo ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha annullato per mancanza di esigenze cautelari l’ordinanza del locale Giudice per le indagini preliminari, con la quale NOME COGNOME era stato sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Il reato con riferimento al quale sono stati ravvisati i gravi indizi colpevolezza è quello riguardante la partecipazione a un’associazione per delinquere facente capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME, descritta al capo 1) della incolpazione provvisoria.
In prospettazione accusatoria, convalidata dai giudici del riesame, COGNOME è a disposizione del sodalizio mafioso, rivestendo il ruolo di “prestanome” nella società RAGIONE_SOCIALE, facente capo alla compagine criminale.
La messa a disposizione delle energie criminali in favore del sodalizio – della cui sicura esistenza e operatività i Giudici della cautela danno contezza nelle p. da 3 a 14 e, comunque, incontestata – è inferita dalle intercettazioni che evidenziano la gestione delle numerose società del gruppo criminale in pregio a tutte le leggi tributarie e fiscali e la sicura consapevolezza da parte del ricorrent di tali circostanze. Si valorizza, in particolare, la conversazione tra l’indagato NOME COGNOME, riguardante i reiterati avvicendamenti nell’amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, il 40% delle cui quote sociali è detenuta dalla moglie di COGNOME, il cui tenore è reputato particolarmente sintomatico del coinvolgimento negli affari illeciti oggetto del sodalizio.
E, tuttavia, il Tribunale ha ritenuto che l’appartenenza al sodalizio e la commissione dei reati fine non fossero state “attualizzate” con evidenze recenti, arrestandosi la consumazione degli illeciti al più tardi all’anno 2019.
Di qui, l’annullamento dell’ordinanza.
NOME COGNOME ricorre per cassazione, con il ministero dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e lo affida a un unico motivo di ricorso con il quale denuncia vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza della sua partecipazione all’associazione criminale.
Il ricorrente, nell’unico, articolato motivo di ricorso, ripercorre le risulta investigative e avversa sotto più profili il provvedimento impugNOME, all’uopo riprodotto, sia pure nelle parti che, di volta in volta, sono ritenute necessarie al illustrazione delle varie censure.
E’ in primo luogo lamentata la circostanza – non casuale secondo il ricorrente – che egli non sia stato mai citato nella parte in cui l’ordinanza ha ripercorso la
genesi del sodalizio criminale, mentre si è occupata di COGNOME a proposito della condotta contestata al capo 17), ritenuto reato fine, per il quale però non vi è misura cautelare. L’importanza del dato sarebbe ravvisabile nel fatto che la contestazione di cui al capo 17) consentirebbe di apprezzare il limitatissimo periodo di tempo durante il quale COGNOME è stato titolare del 50% del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, avendo egli acquisito dette quote nel giugno 2018, laddove già nell’agosto dello stesso anno ne aveva proposto la cessione, disinteressandosi della società stessa.
Sotto altro profilo, il ricorrente censura l’erroneità dell’interpretazione dat alla conversazione telefonica intercorsa tra lo stesso la sig.ra COGNOME COGNOME diversamente da quanto opiNOME dai Giudici di merito – sarebbe dimostrativa del fatto che, allorquando gli interlocutori discorrono di «somme non giustificate», manifestano la propria scarsa consapevolezza della natura fittizia della società.
Si avversa, poi, l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata relativa alla natura fittizia dell’intestazione delle quote sociali della RAGIONE_SOCIALE erroneamente fondate sulla richiesta da parte del ricorrente della restituzione di quanto anticipato «di tasca propria».
Conclusivamente, il ricorrente lamenta che il Tribunale avrebbe confuso l’impegno profuso da COGNOME nello svolgimento delle funzioni derivanti dalla delega conferitagli, testimonianza della sua serietà e professionalità, con una messa a disposizione del sodalizio.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità del ricorso per carenza d’interesse.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per carenza d’interesse.
Il Collegio intende dare continuità al principio – che qui si condivide e ribadisce – secondo cui «Non sussiste l’interesse dell’indagato a impugnare il provvedimento del tribunale del riesame che abbia annullato l’ordinanza applicativa di una misura cautelare personale per carenza delle esigenze cautelari qualora il ricorso si limiti a dedurre il vizio di motivazione in ordine ritenuto quadro gravemente indiziario, atteso che detto provvedimento non pregiudica sotto alcun profilo processualmente rilevante la posizione del ricorrente» (Sez. 5, n. 1119 del 09/09/2021, dep. 13/01/2022, La Cognata, Rv. 282534; Sez. 1, n. 45918 del 15/10/2019, COGNOME, Rv. 277331; per l’ipotesi
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di misira cautelare non detentiva, cfr. Sez. 3, n. 23526 del 11/01/2023, Pirri, Rv. 284665).
2.1. Non è superfluo ricordare che l’interesse a impugnare è subordiNOME alla presenza di un interesse immediato, concreto e attuale a rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale di cui si contesta la correttezza e a conseguire un’utilità, ossia una decisione dalla quale derivi per il ricorrente un risultato più vantaggioso.
In Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251694 si è efficacemente evidenziato che «nel sistema processuale penale, la nozione di interesse a impugnare non può essere basata sul concetto di soccombenza – a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti – ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella final negativa, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un’utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo». Carenza d’interesse – si è spiegato – che può anche essere “sopraggiunta”, come tale intendendosi «la valutazione negativa della persistenza, al momento della decisione, di un interesse all’impugnazione, la cui attualità è venuta meno a causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore, assorbendo la finalità perseguita dall’impugnante, o perché la stessa abbia già trovato concreta attuazione, ovvero in quanto abbia perso ogni rilevanza per il superamento del punto controverso».
L’interesse a impugnare deve configurarsi in termini d’immediatezza, concretezza e attualità non solo al momento della proposizione del gravame, ma anche in quello della sua decisione, perché questa possa avere un’effettiva incidenza sulla situazione giuridica devoluta. Ciò perché la facoltà di attivare i procedimenti di gravame riconosciuta al detenuto non può ritenersi assoluta e indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione processuale in forza della quale il provvedimento giurisdizionale risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante – tenuto conto della sua condizione detentiva – e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso. Non può, in altri termini, ammettersi l’esercizio del diritto d’impugnazione da parte dell’interessato avente di mira la sola correttezza giuridica della decisione, senza che alla posizione processuale del ricorrente derivi alcun risultato pratico favorevole (Sez. U, 11 maggio 1993, n. 6203, COGNOME, Rv. 193743; Sez. U, 24 marzo 1995, n. 9616, Boido, Rv.
202018; Sez. 6, 27 ottobre 2004, dep. 2005, n. 884, Serra, Rv. 230822; Sez. 6, 29 febbraio 2008, n. 16389, COGNOME, Rv. 239976).
2.2. Nel caso di specie, rileva il Collegio che al momento della proposizione dell’impugnazione all’odierno esame il ricorrente non era più sottoposto ad alcuna misura coercitiva.
Un interesse concreto e attuale in capo al ricorrente deve negarsi anche in riferimento al possibile utilizzo della decisione cautelare al fine di attivare giudizio per l’accertamento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, che egli non ha mai sofferto; né è stato dedotto il possibile valore pregiudicante di siffatta pronuncia rispetto ad altri procedimenti, già attivati o concretamente attivabili, di natura civile o amministrativa. Non risulta la deduzione della sua sottoposizione a un procedimento disciplinare, né il coinvolgimento in un giudizio civile risarcitorio in modo tale che l’accertamento cautelare sotto il profil indiziario possa fornire materiale per una decisione a lui sfavorevole.
Sotto diverso profilo, deve altresì escludersi che dall’apprezzamento dei dati probatori e dall’eventuale giudizio sulla loro utilizzabilità, compiuto in sede cautelare, possa derivare un condizionamento dagli esiti sfavorevoli per l’indagato sulle valutazioni da assumere nel giudizio principale.
Nelle pronunce di questa Corte (Sez. 1, n. 10699 del 05/02/2013 , COGNOME, Rv. 255334; Sez. 5, n. 716285 del 16/3/2010, COGNOME, Rv 247265; Sez. 1, n. 40301 del 14/06/2012, COGNOME, Rv. 253842; Sez. 6, n. 14653 del 08/02/2007, Firenze, Rv. 236870), occupatesi del tema degli effetti vincolanti per i giudici di merito, nella valutazione del materiale probatorio di una precedente decisione di legittimità, intervenuta nel procedimento incidentale relativo a misura coercitiva in ordine a questioni di utilizzabilità di un mezzo di prova è prevalente l’orientamento che nega la sussistenza di un vincolo o di una preclusione. Si afferma, infatti, che il giudice del dibattimento è dotato del potere-dovere di un’autonoma e indipendente valutazione della prova, anche sotto il profilo della legittimità delle procedure acquisitive e s’indica giustificazione di tale assunto, la disposizione dettata dall’art. 627 cod. proc. pen., comma 3, che riguarda soltanto il giudice di rinvio e non le altre autorità giudiziarie che, seppur nell’ambito dello stesso processo, siano chiamate a trattare distinte fasi o gradi dello stesso e l’autonomia tra giudizio cautelare e giudizio principale, dipendente dalla sostanziale differente efficacia dimostrativa dei risultati probatori richiesti per la formulazione delle rispettive decisioni.
Aderendo a tale impostazione generale e preso atto che nel caso specifico non si pongono questioni d’inutilizzabilità degli elementi posti a fondamento del giudizio sulla sussistenza dei gravi indizi, quanto piuttosto di considerazione della loro capacità rappresentativa, che sarà eventualmente rimessa al libero e
autonomo vaglio del giudice del dibattimento, deve concludersi che COGNOME non presenta alcun interesse a impugnare la decisione del Tribunale che non esplica alcun effetto pregiudizievole sulla sua posizione processuale.
Ne discende la declaratoria di inammissibilità del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, per i profili di colpa insiti nella presentazione di siffatta impugnazione, anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e e della somma di euro 3.000,00 alla Cassa delle ammende. Così deciso, il 15 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente