Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 42857 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 42857 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CERIGNOLA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/05/2024 del TRIBUNALE di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso con ogni conseguente statuizione.
RITENUTO IN FATTO
La Sesta sezione penale di questa Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza n. 334 del 2023 del Tribunale di Bari, con la quale era stato respinto l’appello proposto da COGNOME NOME, appuntato scelto dell’Arma RAGIONE_SOCIALE presso la stazione di San Nicola di Menfi, avverso il provvedimento del 06/03/2023 con il quale il G.i.p. dello stesso Tribunale aveva applicato la misura interdittiva della sospensione temporanea dalle funzioni in relazione all’accusa provvisoria di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (319, 321 cod.pen.).
In particolare, la Sesta sezione ha ritenuto che dovesse essere adeguatamente verificata la sussistenza o meno di una connessione qualificata tra i fatti di reato per cui era stata avviata l’indagine in materia di stupefacenti e quelli ascritti al ricorrente (con diversa oggettività legata ad attività di furto di autovetture e riciclaggio delle stesse) al fine di ritenere l’utilizzabilità o meno delle captazioni che avevano fondato la considerazione di gravità indiziaria a carico del ricorrente.
Il Tribunale di Bari, in sede di rinvio, in data 27/05/2024 ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da COGNOME NOME, in data 28/03/2023, attesa l’intervenuta revoca della misura interdittiva da parte del Tribunale di Foggia ai sensi dell’art. 399 cod.pen., in epoca successiva all’annullamento con rinvio della Corte di cassazione, con conseguente carenza di interesse al ricorso.
Avverso il provvedimento del Tribunale di Bari ha proposto ricorso COGNOME NOME, per mezzo del proprio difensore, deducendo con un unico articolato motivo di ricorso la nullità del provvedimento impugnato per violazione di legge, in presenza di una erronea applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 568, 591, 125, 273, 274, 266 e 270 cod. proc. pen.; è stata dedotta la ricorrenza di motivazione apparente, omessa e manifestamente illogica, oltre alla violazione di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità. Nella prospettazione della difesa la giurisprudenza citata dal Tribunale si doveva ritenere non coerente con il caso concreto, atteso che, a prescindere dalla revoca della misura, permaneva un evidente interesse alla verifica relativa alla ricorrenza della connessione al fine di verificare l’utilizzabilità o meno delle captazioni sulla base delle quali era stata emessa la misura interdittiva, ciò perché il ricorrente aveva subito gravi conseguenze
disciplinari, che avevano portato al suo licenziamento e che avrebbero potuto essere elise in considerazione della inutilizzabilità delle captazioni disposte a mezzo trojan e utilizzate nei suoi confronti. La difesa ha anche evidenziato come l’imputato avesse impugnato il provvedimento di cessazione permanente dall’incarico, ma in assenza di un valido provvedimento che stabilisca se l’ordinanza applicativa della misura sia legittima o meno (sulla base delle captazioni) non potrà avere alcuna chances di eliminare gli effetti pregiudizievoli del licenziamento.
Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivo manifestamente infondato.
Il Tribunale di Bari ha difatti adeguatamente affrontato il tema devoluto dal ricorrente con motivazione del tutto immune di logicità, violazione di legge o apparenza della motivazione, in considerazione dell’intervenuta revoca della misura interdittiva da parte del Tribunale di Foggia, adito ex art. 299 cod. proc. pen., in data 29/02/2024. Non ricorre, dunque, il vizio denunciato, sia con riferimento alla violazione di legge, che quanto alla asserita ricorrenza di violazione di norme processuali ed alla presenza di una motivazione del tutto illogica (ma non omessa secondo la prospettazione del motivo).
In tal senso, occorre evidenziare come questa Corte abbia già affermato, con principio che qui si intende ribadire, che in tema di impugnazioni, l’interesse del ricorrente ad ottenere un provvedimento “de libertate” non è ravvisabile in caso di avvenuta cessazione della misura cautelare, anche se l’impugnazione tenda esclusivamente ad evitare conseguenze extrapenali sfavorevoli. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso l’interesse al riesame di misura cautelare, successivamente revocata dal AVV_NOTAIO, a seguito della quale l’imputato era stato sottoposto a procedimento disciplinare)(Sez. 3, n. 7917 del 02/10/2014,dep. 23/02/2015,COGNOME,Rv. 262515-01; Sez. 6, n. 26318 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 270283-01). Sul punto si deve osservare che la autonomia delle distinte valutazioni che debbono essere svolte in sede penale ed in sede disciplinare escludono, tanto più in sede ancora cautelare come nel caso in esame, l’esistenza di un rapporto di effettiva pregiudizialità rispetto alle decisioni, aventi precisa natura di provvedimento amministrativo, eventualmente assunte dagli organi
disciplinari dell’ente presso il quale il ricorrente prestava la sua attività lavorativa. Ne consegue che tale situazione rende non accoglibile la pretesa avente ad oggetto la persistenza, sotto il profilo dedotto, di un attuale interesse alla decisione del ricorso da cui è originato il presente giudizio (interesse che sarebbe stato dedotto a verbale in sede di riesame).
Dunque, il venir meno dell’interesse del ricorrente al ricorso, che non può essere individuato nelle conseguenze amministrativo-disciplinari determinatesi a suo carico, né rispetto ad evenienze pertinenti ad altre fasi processuali, non direttamente correlate allo status libertatis, che in alcun modo sono vincolate a quella cautelare ormai definita, determina la inammissibilità del ricorso proposto, con piena consapevolezza della intervenuta revoca già dinnanzi al Tribunale del riesame.
Occorre considerare che il tema relativo alla sussistenza dell’interesse a dolersi, in cassazione, dell’applicazione di una misura interdittiva che non sia più in esecuzione al momento della decisione del giudice di legittimità è questione già affrontata da questa Corte e risolta in termini negativi. Si è sostenuto, in modo condivisibile, che, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 405, comma 1-bis, cod.proc.pen., non permane l’interesse dell’indagato a ricorrere per l’annullamento di provvedimenti applicativi di misure cautelari interdittive che medio tempore siano stati revocati o siano divenuti inefficaci, in quanto alle misure interdittive non si estende l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, la cui sola prospettiva giustifica la persistenza di uno specifico e concreto interesse all’impugnazione in caso di cessazione dell’operatività della misura (Sez. 5, n. 42839 del 16/05/2014, COGNOME, Rv. 260761-01; Sez. 6, n. 9479 del 10/11/2009, dep. 2010, Barnabà, Rv. 246523-01; in termini, più di recente, Sez. 6, n. 46995 del 04/11/2021, COGNOME, Rv. 282392-01, nonché Sez. 5, n. 51491 del 21/11/2023, COGNOME, n.m.).
Deve essere, in tal senso, ribadito che l’interesse richiesto dall’art. 568, comma 4, cod.proc.pen., quale condizione di ammissibilità dell’impugnazione, deve contraddistinguere anche quella cautelare e deve essere connotato dai requisiti della concretezza e dell’attualità, oltre che sussistere non soltanto all’atto della proposizione dell’impugnazione, ma anche fino al momento della decisione, perché questa possa potenzialmente avere «una effettiva incidenza di vantaggio sulla situazione giuridica devoluta
alla verifica del giudice dell’impugnazione». (Sez. 5, n. 51491 del 21/11/2023, COGNOME, n.m. che in tal senso esplicitamente richiamato Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, Marinaj, Rv. 251694-01). Ed è proprio questa definizione l’elemento risolutivo per giungere alla compiuta identificazione del concetto di interesse; ne consegue che è da escludere che possano essere utilmente perseguiti interessi extrapenali, ontologicamente estranei alla situazione giuridica sottoposta al giudice dell’impugnazione.
In tal senso le Sez. U Marinaj hanno sottolineato che «L’interesse ad impugnare deve essere colto nella finalità, perseguita dal soggetto legittimato, di rimuovere lo svantaggio processuale e, quindi, il pregiudizio derivante da una decisione giudiziale.. deve essere individuato – il che non muta il risultato – facendo leva sul concetto positivo di utilità che la parte mira a conseguire attraverso l’esercizio del diritto di impugnazione e in coerenza logicamente con il sistema legislativo. Sono questi gli elementi qualificanti dell’interesse ad impugnare, e il criterio di misurazione dello stesso, visto sia in negativo (rimozione di un pregiudizio) che in positivo (conseguimento di una utilità), è un criterio comparativo tra dati processuali concretamente individuabili: il provvedimento impugnato e quello che il giudice ad quem potrebbe emanare in accoglimento dell’impugnazione». L’interesse della parte, quindi, non può muoversi al di là della corrispondenza tra provvedimento impugnato e provvedimento cui l’impugnante ambisce, corrispondenza che ne costituisce il limite, il che esclude qualsiasi interpretazione che espanda il concetto di interesse fino a ricomprendervi finalità estranee al procedimento penale in cui si innesta lo strumento impugnatorio specificamente prescelto, evitando, così, possibili strumentalizzazioni dei rimedi impugnatori per scopi diversi da quello della riforma del provvedimento impugnato e degli effetti penalistici che ne conseguono. Non può essere quindi condiviso il diverso orientamento, noto al Collegio, a carattere minoritario, citato dalla difesa e relativo a diversa fase processuale, ovvero alla fase dibattimentale e non alla fase cautelare come nel caso in esame (Sez.6, n. 35989 del 01/07/2015, COGNOME, Rv. 265604-01, in senso contrario di recente anche Sez. 5, n. 51490 del 21/11/2023, COGNOME; Sez.3, n. 2757 del 11/05/2023, COGNOME; Sez.2, n. 7830 del 09/11/2021, COGNOME; Sez.6, n. 35887 del 22/05/2019, COGNOME; Sez.6, n. 11166 del 22/02/2019, COGNOME). Il Tribunale ha dunque correttamente riscontrato nel caso in esame una carenza di interesse del ricorrente alla impugnazione, già in quella fase, con motivazione logica, argomentata, che non si presta ad alcuna censura in questa sede.
Il ricorso deve in conclusione essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 26 settembre 2024.