Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 19328 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 19328 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GENOVA il 02/10/1977
avverso l’ordinanza del 21/02/2025 del TRIB. RIESAME di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, nella persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza pronunciata, a norma dell’art. 310 cod. proc. pen., in data 21 febbraio 2025, il Tribunale del riesanne di Genova ha dichiarato inammissibile l’appello, proposto nell’interesse di GLYPH NOME COGNOME avverso il provvedimento del 13 febbraio 2025 con il quale il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Savona GLYPH aveva rigettato l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere (in atto nei suoi confronti in ordine a più reati di cui agli artt. 110 cod. pen. e 73 D.P.R. n. 309/90) con la misura degli arresti domiciliari presso l’abitazione della compagna convivente, per sopravvenuta carenza di interesse.
Il Tribunale GLYPH ha rilevato che era GLYPH venuto meno l’interesse a coltivare l’impugnazione in quanto il G.I.P., in data successiva al rigetto dalla prima istanza di sostituzione, il 20 febbraio 2025, aveva adottato un successivo provvedimento con cui, in accoglimento di altra istanza dell’indagato, aveva disposto la sostituzione della misura della custodia in carcere con la misura degli arresti domiciliari presso l’abitazione della madre.
2. Avverso l’ordinanza, l’imputato ha proposto ricorso, a mezzo di difensore, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione per avere ritenuto il Tribunale la carenza di interesse. COGNOME Il G.I.P., con il provvedimento impugnato ex art. 310 cod. proc. pen., COGNOME aveva respinto l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti donniciliari presso il domicilio famigliare a Cisano sul Neva (SV), in conformità del parere negativo del Pubblico Ministero, argomentando che il domicilio era inidoneo, in quanto la convivente era indagata in altro procedimento penale per un reato commesso in concorso con Costigliolo. Con successivo provvedimento, intervenuto prima dell’ udienza fissata per l’appello cautelare, il G.I.P. aveva accolto una seconda istanza del ricorrente di sostituzione della misura del carcere, disponendo nei suoi confronti la misura della arresti domiciliari presso l’abitazione della madre sita in Genova.
Stante la distanza geografica fra l’abitazione famigliare e l’abitazione della madre e tenuto conto, altresì, che presso l’abitazione famigliare viveva anche la figlia del ricorrente di soli 11 anni, privata del diritto al rapporto quotidiano continuativo con il genitore, il Tribunale – osserva il difensore- avrebbe errato nel dichiarare inammissibile l’appello, in quanto Costigliolo conservava l’interesse allo scrutinio da parte dei giudici di appello in ordine alla legittimità del provvedimento di rigetto della prima istanza di sostituzione della misura.
La presentazione di una successiva e diversa istanza al Giudice per la concessione degli arresti domiciliari in pendenza del giudizio di appello, proprio per I’ intrinseca differenza di contenuto non poteva, dunque, aver privato di efficacia I’ impugnazione cautelare.
Il Procuratore generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non supera il vaglio di annmissibilità, in quanto manifestamente infondato il motivo con cui si è sostenuta la permanenza dell’interesse ad una pronuncia sulla legittimità del provvedimento di rigetto della richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, nel caso in cui, nelle more della fissazione dell’udienza, la misura cautelare del carcere sia stata sostituita.
2. Il principio generale, dettato dall’art. 568, connnna 4, cod. proc. pen, è quello per cui per proporre impugnazione è necessario avervi interesse. Per evidenti ragioni di economia processuale il legislatore ha subordinato l’attivazione dello strumento di controllo all’esistenza in capo al soggetto legittimato di un concreto ed attuale interesse, inteso, nella elaborazione della giurisprudenza di legittimità, non già quale pretesa alla esattezza teorica della decisione, bensì come misura della utilità pratica derivante dalla impugnazione, sussistente ogniqualvolta dal raffronto fra la decisione oggetto di gravame e quella che potrebbe essere emessa, se il gravame fosse accolto, emerge per l’impugnante una situazione di vantaggio meritevole di tutela giuridica (in tal senso Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, COGNOME, Rv.202269, secondo cui la facoltà di attivare i procedimenti di gravame è «subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e l’eliminazione o la riforma della decisione gravata rende possibile il conseguimento di un risultato vantaggioso», e più di recente Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 275953 in tema di legittimazione della parte civile ad impugnare la sentenza di primo grado che abbia dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come nei confronti della sentenza di appello che tale decisione abbia confermato).
L’interesse deve sussistere non soltanto all’atto della proposizione dell’impugnazione, ma persistere fino al momento della decisione, perché questa possa potenzialmente avere una effettiva incidenza di vantaggio sulla situazione
giuridica devoluta (Sez. U, 7/09/1995, COGNOME; Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251694 – 01).
2.1.La questione dell’interesse ad impugnare assume un rilievo particolare in materia cautelare in ragione delle vicissitudini dei provvedimenti cautelari, tanto che si sono succeduti plurimi interventi della giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite.
Con riferimento specifico alla impugnazione cautelare, questa Corte ha già affermato che l’interesse del ricorrente ad ottenere un provvedimento “de libertate” non è ravvisabile in caso di avvenuta cessazione della misura cautelare, anche se l’impugnazione tenda esclusivamente ad evitare conseguenze extrapenali sfavorevoli (Sez. 3, n. 7917 del 02/10/2014,dep. 23/02/2015,COGNOME, Rv. 262515-01; Sez. 6, n. 26318 del 11/05/2017, Papa, Rv. 270283-01). Si è, invece, coerentemente sostenuto che l’interesse dell’indagato ad ottenere una pronuncia in sede di innpugnazione dell’ordinanza che impone la custodia cautelare permane anche nel caso in cui essa sia stata revocata nelle more del procedimento incidentale “de libertate”, sempre che la decisione di annullamento della misura possa costituire per l’interessato, ai sensi dell’art. 314, comnna 2, cod. proc. pen., presupposto del diritto ad un’equa riparazione per la custodia cautelare subita ingiustamente, essendo stato il provvedimento coercitivo emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 21 del 13/07/1998, COGNOME, Rv. 211194 – 01) ovvero in prospettata carenza di domanda cautelare. (Sez. U, n. 8388 del 22/01/2009, Novi, Rv. 242292 – 01).
Sempre in funzione dell’esistenza di un interesse giuridicamente riconosciuto si è chiarito che, una volta impugnato il provvedimento di proroga della custodia cautelare, l’imputato detenuto conserva interesse a farne valere l’illegittimità nel procedimento di impugnazione anche quando, prima della scadenza del termine prorogato, è intervenuto il decreto che dispone il giudizio, a seguito del quale divengono operanti ulteriori, autonomi e diversi termini di custodia giacché l’eventuale accoglimento delle ragioni di gravame, comportando la cessazione di efficacia della misura custodiale, ne determinerebbe la scarcerazione ora per l’allora (Sez. U, n. 33541 del 11/07/2001, Canavesi, Rv. 219395 – 01).
3.11 tema dell’interesse ad impugnare in materia di provvedimenti cautelari è, dunque, fondato sulla persistenza dell’oggetto della impugnazione. Salve le eccezioni su cui ci si è soffermati nel paragrafo precedente, l’interesse viene meno nei casi in cui medio tennpore, il provvedimento impugnato non sia più in essere.
3.1.L’interesse ad impugnare del soggetto istante, collegato alla persistenza del provvedimento impugnato, può leggersi, nella prospettiva dell’organo
decidente, come il necessario rispetto del perimetro della decisione demandatagli. In forza del principio devolutivo, nel caso di appello cautelare ex art. 310 cod. proc. pen. il perimetro della cognizione attribuita all’organo di secondo grado è dettato dai punti della decisione oggetto di impugnazione. In tal senso si sono espresse le Sez. U, n. 8 del 25/06/1997, Gibilras Rv. 208313 secondo cui “l’appello nel processo di merito e l’appello nel procedimento incidentale in materia di libertà personale partecipano della stessa natura, poiché integrano lo stesso strumento di verifica del provvedimento del primo giudice, e l’impugnazione motivata è, dunque, espressione del potere dispositivo della parte di circoscrivere l’ambito della doglianza e così “perimetrare” l’area della cognizione dell’organo deputato al riesame. Lo stesso principio è stato ribadito dalle Sez U, n. 18339 del 31/03/2004, COGNOME Rv. 227359 con cui si è ribadito che il thema decidendum viene identificato tramite la domanda di parte e la cognizione è limitata ai punti della decisione investiti dai motivi.
Ne consegue che il venir meno della situazione di fatto sottostante la decisione impugnata, fa sì che il Tribunale non possa pronunciarsi, tutte le volte in cui la situazione la cui legittimità era stato chiamato a vagliare, è stata superata da una nuova statuizione.
4. Il ricorrente, nel caso in esame, aveva impugnato davanti al Tribunale del Riesame il provvedimento di rigetto della richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari presso l’abitazione della compagna convivente. Nelle more della fissazione dell’appello cautelare, il ricorrente aveva formulato un’ ulteriore istanza di sostituzione della misura cautelare con quella degli arresti donniciliari presso l’abitazione della madre e tale richiesta era stata accolta dal G.I.P. procedente.
4.1.11 Tribunale del riesame, con l’ordinanza oggi impugnata, ha rilevato che, al momento della decisione, non persisteva un interesse all’impugnazione, in quanto, medio tempore, era intervenuta una modifica della situazione posta a fondamento della prima richiesta e, in accoglimento di una ulteriore istanza, era stata sostituita la originaria misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.
Il percorso argonnentativo impugnato non si presta a censure. Nel momento in cui il Tribunale, in sede di appello, si è pronunciato per l’inammissibilità dell’impugnazione, era venuto meno il provvedimento oggetto di censura, in quanto l’indagato non era più sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, ma si trovava agli arresti domiciliari, sia pure in un luogo diverso rispetto a quello indicato nella prima richiesta di sostituzione rigettata. Il Tribunale, dunque, era stato investito della questione della legittimità del provvedimento di
rigetto della richiesta di sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari: venuta meno tale condizione cautelare, non poteva
pronunciarsi in ordine ad una situazione di fatto, superata e non più esistente.
5. All’inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte
costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di
inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Roma, 29 aprii GLYPH 2025