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Interesse ad impugnare: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore contro un’ordinanza del G.I.P. ritenuta abnorme. Il caso riguardava un sequestro preventivo di accessori per tabacco. La Suprema Corte ha stabilito che manca l’interesse ad impugnare quando l’annullamento dell’atto non porterebbe alcun vantaggio pratico al ricorrente, poiché il sequestro era stato comunque confermato da un altro provvedimento non impugnato. L’appello deve mirare a un risultato concreto, non alla mera correttezza teorica della procedura.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Interesse ad Impugnare: Non Basta l’Errore del Giudice per un Ricorso Valido

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36352/2025, ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: per poter contestare un provvedimento, non è sufficiente che esso sia errato o addirittura ‘abnorme’, ma è necessario avere un interesse ad impugnare concreto e attuale. Questo significa che l’eventuale annullamento dell’atto deve produrre un vantaggio pratico e tangibile per chi ricorre. Approfondiamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Un Sequestro Controverso

La vicenda ha origine con il sequestro preventivo di un ingente carico di accessori per il consumo di tabacco (cartine e filtri), disposto dal Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) del Tribunale di Bari. Il legale rappresentante della società destinataria della merce veniva indagato per aver introdotto i prodotti in Italia senza il codice identificativo previsto, sottraendoli così al pagamento dell’imposta di consumo e dell’IVA.

La difesa dell’indagato presentava un’istanza di revoca del sequestro, sostenendo la mancanza di fondamento dell’accusa. Il G.I.P., anziché decidere, trasmetteva gli atti all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli per una classificazione delle attività. Sorprendentemente, l’Agenzia rispondeva escludendo la sussistenza dei presupposti del reato. Nonostante ciò, il G.I.P., con una successiva ordinanza, insisteva nel richiedere ulteriori attività istruttorie.

È contro questa seconda ordinanza, ritenuta abnorme per l’esercizio di poteri investigativi non propri del giudice, che l’indagato proponeva ricorso per Cassazione.

L’Ordinanza e il Mancato Interesse ad Impugnare

La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile. Il punto centrale della decisione non è la valutazione sull’eventuale abnormità dell’atto del G.I.P., ma la totale assenza di un interesse ad impugnare da parte del ricorrente.

I giudici evidenziano un fatto decisivo: nel frattempo, il G.I.P. aveva emesso un’altra ordinanza con cui rigettava l’istanza di revoca del sequestro. Questo provvedimento, che di fatto manteneva in vita la misura cautelare, non era stato impugnato dall’indagato. Di conseguenza, anche se la Cassazione avesse annullato l’ordinanza ‘interlocutoria’ che richiedeva nuove indagini, il sequestro sarebbe rimasto comunque valido ed efficace. L’annullamento non avrebbe prodotto alcuna lesione diretta alla sfera giuridica del ricorrente né alcun risultato pratico favorevole.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione fonda la sua decisione su un principio consolidato, richiamando anche le Sezioni Unite. La facoltà di impugnare non è un diritto assoluto, ma è subordinata alla possibilità di ottenere un risultato vantaggioso. Non è ammesso un ricorso che miri alla sola ‘esattezza teorica’ di una decisione, senza che da essa derivi un beneficio concreto per la posizione giuridica del soggetto.

Questo principio vale anche quando si contesta un atto asseritamente abnorme. L’interesse ad agire deve essere sempre concreto, attuale e giuridicamente rilevante. Nel caso di specie, l’eventuale accertamento dell’illegittimità dell’iniziativa istruttoria del G.I.P. sarebbe stata una vittoria puramente teorica, incapace di incidere sulla misura cautelare che affliggeva il ricorrente. Poiché il provvedimento di rigetto della revoca del sequestro era diventato definitivo (perché non impugnato), l’interesse a contestare l’atto precedente era venuto meno.

Le Conclusioni

La sentenza n. 36352/2025 offre una lezione chiara sulla strategia processuale e sui requisiti di ammissibilità delle impugnazioni. Dimostra che, prima di intraprendere un’azione legale, è fondamentale valutare non solo la fondatezza delle proprie ragioni, ma anche e soprattutto il risultato pratico che si può ottenere. Un ricorso, anche se basato su un palese errore procedurale, è destinato all’inammissibilità se il suo accoglimento non è in grado di modificare in meglio la situazione sostanziale del ricorrente. L’interesse ad impugnare si conferma quindi come un pilastro imprescindibile del nostro sistema processuale, volto a evitare un inutile dispendio di attività giurisdizionale per questioni prive di concretezza.

Cos’è l’interesse ad impugnare e perché è fondamentale?
È il requisito che impone a chi impugna un provvedimento di dimostrare che dall’accoglimento del ricorso deriverebbe un vantaggio concreto, attuale e giuridicamente rilevante. Senza questo interesse, il ricorso è inammissibile perché il sistema giudiziario non si occupa di questioni puramente teoriche.

Si può impugnare un atto di un giudice solo perché si ritiene che sia processualmente scorretto o ‘abnorme’?
No. Secondo la Corte di Cassazione, anche in caso di un atto abnorme, l’impugnazione è ammissibile solo se il suo annullamento produce un effetto pratico favorevole per il ricorrente. L’obiettivo non può essere la mera affermazione della correttezza teorica della procedura.

Perché in questo caso specifico il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, anche se l’ordinanza impugnata (quella con cui il G.I.P. chiedeva ulteriori indagini) fosse stata annullata, il sequestro preventivo dei beni sarebbe rimasto comunque in vigore. Ciò in quanto il sequestro era stato confermato da un successivo provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca, che non era stato a sua volta impugnato dal ricorrente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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