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Interesse ad impugnare: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver ottenuto la restituzione nel termine per impugnare due sentenze di condanna emesse in sua assenza, lamentava la mancata declaratoria di non esecutività delle stesse. La Corte ha stabilito la carenza di un concreto interesse ad impugnare, poiché la concessione della restituzione nel termine ha già rimosso il giudicato e paralizzato l’esecuzione, garantendo all’imputato il risultato pratico desiderato.

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Pubblicato il 18 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Interesse ad Impugnare: Inutile Ricorrere se il Risultato è Già Ottenuto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20545 del 2024, ha ribadito un principio fondamentale del diritto processuale penale: per presentare un ricorso è necessario avere un interesse ad impugnare che sia concreto, attuale e immediato. Il caso esaminato chiarisce che se un imputato ha già ottenuto il principale beneficio richiesto, un’ulteriore impugnazione per una questione accessoria e ormai superata dai fatti risulta inammissibile.

I fatti del caso

Un soggetto, condannato con due sentenze emesse in sua assenza (contumacia), si rivolgeva al Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, chiedendo due cose: in via principale, la declaratoria di non esecutività delle sentenze e, in subordine, la restituzione nel termine per poterle impugnare. Il Tribunale accoglieva la seconda richiesta, concedendogli di fatto la possibilità di riaprire i processi d’appello.

Tuttavia, l’imputato non era soddisfatto. Decideva di ricorrere in Cassazione lamentando che il giudice non si fosse pronunciato sulla sua richiesta principale, ovvero la declaratoria di non esecutività. Sosteneva, inoltre, che il giudice avesse agito senza attivare il contraddittorio e che la motivazione fosse contraddittoria.

La valutazione sull’interesse ad impugnare della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per una ragione dirimente: la totale mancanza di un interesse ad impugnare. Gli Ermellini hanno spiegato che l’interesse a ricorrere deve tradursi nella possibilità di ottenere un risultato pratico più vantaggioso rispetto a quello già conseguito con la decisione impugnata.

Nel caso specifico, l’imputato aveva già ottenuto ciò che contava di più: la “restituzione nel termine”. Questo istituto, infatti, rimuove gli effetti del giudicato e consente di celebrare un nuovo giudizio di impugnazione. Di conseguenza, come previsto dall’art. 175, comma 7, del codice di procedura penale, l’esecuzione della pena viene automaticamente sospesa. Pertanto, l’obiettivo di paralizzare l’esecuzione, che si sarebbe ottenuto anche con la declaratoria di non esecutività, era già stato raggiunto.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha sottolineato che la richiesta di declaratoria di non esecutività (ai sensi dell’art. 670 c.p.p.) e la restituzione nel termine sono strumenti che, in questo contesto, mirano allo stesso risultato pratico: consentire l’impugnazione e bloccare l’esecuzione della pena. Avendo il giudice concesso la restituzione nel termine, la richiesta di non esecutività diventava superflua, in quanto funzionale a un obiettivo già garantito.

Insistere per ottenere anche la declaratoria di non esecutività non avrebbe portato alcun beneficio aggiuntivo al ricorrente. La Cassazione ha chiarito che non si può impugnare una decisione solo per ottenere una diversa formula giuridica se il risultato sostanziale è identico. L’interesse del ricorrente era, secondo la Corte, meramente astratto e non giustificava l’attivazione del giudizio di legittimità.

Anche l’argomentazione relativa alla prescrizione è stata respinta. Il ricorrente temeva che la restituzione nel termine potesse “sterilizzare” i tempi di prescrizione. La Corte ha risposto che tale questione, qualora si ponesse in concreto, potrebbe essere sollevata e decisa nei futuri giudizi di impugnazione, dove si potrà verificare la ritualità delle notifiche originarie.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio di economia processuale e di concretezza. Non è ammissibile un ricorso basato su un interesse puramente teorico o volto a ottenere una pronuncia formalmente diversa ma sostanzialmente identica nei suoi effetti pratici a quella già ottenuta. L’interesse ad impugnare deve essere legato a un vantaggio reale e non a una mera disquisizione accademica. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Quando manca l’interesse ad impugnare un provvedimento giudiziale?
Manca l’interesse ad impugnare quando il ricorso non è volto a rimuovere una situazione di svantaggio processuale concreto o a conseguire un’utilità reale e più vantaggiosa rispetto a quella già ottenuta con la decisione impugnata.

La restituzione nel termine per impugnare una sentenza rende inutile chiederne anche la declaratoria di non esecutività?
Sì, secondo questa sentenza, ottenere la restituzione nel termine per impugnare una sentenza contumaciale rende superfluo chiedere anche la declaratoria di non esecutività, poiché la restituzione stessa è già funzionale a paralizzare l’esecuzione e a consentire l’impugnazione, raggiungendo lo stesso risultato pratico.

Cosa succede all’esecuzione di una pena se viene concessa la restituzione nel termine per impugnare?
Secondo l’art. 175, comma 7, del codice di procedura penale, la richiesta di restituzione nel termine sospende l’esecuzione della sentenza. Se la richiesta viene accolta, l’esecuzione eventualmente intrapresa cessa immediatamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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