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Interesse ad impugnare: quando il PM non può ricorrere

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un Pubblico Ministero contro un provvedimento abnorme del GIP. La decisione si fonda sulla mancanza di un concreto e attuale interesse ad impugnare, poiché l’appello mirava a correggere un mero errore formale senza che vi fosse un reale pregiudizio per l’accusa. La Corte sottolinea che l’interesse a ricorrere deve essere utilitaristico e non basato sulla sola esigenza di ripristinare la corretta applicazione della legge processuale.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Interesse ad impugnare: quando il ricorso del PM è solo teorico

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37410/2025, chiarisce i confini del cosiddetto interesse ad impugnare per il Pubblico Ministero. Anche quando un provvedimento del giudice è palesemente errato o abnorme, il ricorso è inammissibile se non si dimostra un pregiudizio concreto e attuale per l’accusa. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I fatti del caso: un GIP contraddittorio

Il caso ha origine da un procedimento penale a carico di un minore per il reato di tentata rapina. Il Pubblico Ministero aveva richiesto e ottenuto dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale per i Minorenni un decreto di giudizio immediato, con tanto di data per l’udienza dibattimentale già fissata.

In un secondo momento, però, lo stesso GIP, con una nuova ordinanza, ha rigettato la medesima richiesta di giudizio immediato che aveva già accolto. Di fronte a questo provvedimento contraddittorio e processualmente anomalo, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso per cassazione, sostenendone l’abnormità. Secondo l’accusa, il giudice, una volta emesso il decreto, aveva esaurito il suo potere di controllo sull’ammissibilità del rito speciale, e il secondo provvedimento era quindi illegittimo.

Il principio dell’interesse ad impugnare concreto e attuale

La Corte di Cassazione, pur riconoscendo l’irregolarità del secondo provvedimento del GIP, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella nozione di interesse ad impugnare, un requisito fondamentale per qualsiasi tipo di impugnazione nel processo penale.

Secondo gli Ermellini, non è sufficiente lamentare una semplice violazione di legge. Chi impugna, sia esso una parte privata o il Pubblico Ministero, deve dimostrare di avere un interesse:

* Concreto: l’impugnazione deve mirare a rimuovere un effetto pregiudizievole reale.
* Attuale: il pregiudizio deve esistere al momento della proposizione del ricorso.
* Utilitaristico: deve portare a una decisione più vantaggiosa per il ricorrente.

In sintesi, non basta un interesse astratto alla corretta applicazione della legge processuale. Serve un vantaggio pratico.

La mancanza di un pregiudizio effettivo nel caso di specie

La Corte ha osservato che, nel caso in esame, il Pubblico Ministero non ha saputo indicare quale fosse il danno concreto derivante dal secondo provvedimento del GIP. Sebbene l’atto fosse abnorme e da considerarsi tamquam non esset (come se non esistesse), di fatto non aveva prodotto conseguenze negative per l’accusa:

1. Il GIP non aveva disposto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero, cosa che avrebbe causato una regressione del procedimento.
2. Non era stata revocata l’udienza dibattimentale già fissata.

In sostanza, il processo poteva proseguire verso il suo esito naturale. Il ricorso del PM si risolveva quindi in una mera e formale allegazione di una violazione di legge, senza che a questa corrispondesse un reale ostacolo all’esercizio dell’azione penale. Mancava, quindi, quel vantaggio pratico che giustifica l’impugnazione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione richiamando la propria giurisprudenza consolidata. Ha ribadito che l’interesse ad impugnare nel sistema processuale penale non si fonda sul concetto di soccombenza, tipico del processo civile, ma su una prospettiva utilitaristica. L’impugnazione deve essere lo strumento per ottenere un’utilità, ovvero una decisione più favorevole, e non solo per censurare un errore teorico.

Nel caso specifico, il provvedimento impugnato, pur essendo il frutto di un errore del giudice, non aveva bloccato il procedimento. Il GIP, una volta emesso il decreto di giudizio immediato, consuma il suo potere di controllo. Qualsiasi atto successivo di segno contrario è privo di effetti. Di conseguenza, il primo decreto restava valido e l’udienza fissata doveva celebrarsi. Poiché il Pubblico Ministero non ha fornito prove che ciò non stesse accadendo, il suo ricorso è stato ritenuto privo di un interesse concreto e attuale, e quindi dichiarato inammissibile.

Le conclusioni

Questa sentenza offre un importante monito: l’impugnazione non è uno strumento per la pura affermazione di principi astratti di diritto processuale. Per poter accedere al giudizio di legittimità, è indispensabile che il ricorrente, inclusa la parte pubblica, dimostri in modo specifico quale sia il danno subito e quale vantaggio pratico otterrebbe da una riforma della decisione. In assenza di un pregiudizio tangibile, il ricorso, anche se fondato su una palese violazione di legge, è destinato all’inammissibilità per carenza di interesse.

Quando un ricorso del Pubblico Ministero è inammissibile per mancanza di interesse?
Un ricorso del Pubblico Ministero è inammissibile quando non è sorretto da un interesse concreto, specifico e attuale. Non è sufficiente denunciare una mera violazione formale della legge processuale se da questa non deriva un pregiudizio effettivo per l’accusa o una stasi del procedimento.

Cosa succede se un giudice emette un provvedimento che contraddice uno precedente nello stesso procedimento?
Secondo la Corte, se un giudice, dopo aver emesso un provvedimento (come un decreto di giudizio immediato), ne emette un secondo di segno opposto, il secondo atto è da considerarsi abnorme e ‘tamquam non esset’ (come se non esistesse), in quanto il giudice ha già consumato il suo potere decisionale su quella specifica questione.

L’interesse alla corretta applicazione della legge è sufficiente per impugnare una decisione?
No. La sentenza chiarisce che l’interesse puramente teorico alla corretta applicazione della legge non basta a fondare l’interesse ad impugnare. L’impugnazione deve perseguire un risultato pratico e favorevole per il ricorrente, eliminando uno svantaggio processuale concreto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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