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Interesse ad agire: l’errore del Tribunale di Milano

La Cassazione annulla un’ordinanza del Tribunale di Milano, riconoscendo l’interesse ad agire del legale rappresentante di una società nel presentare ricorso contro un sequestro probatorio. Il Tribunale aveva erroneamente dichiarato inammissibile il ricorso, ritenendolo proposto solo nell’interesse della persona fisica e non della società, proprietaria dei beni sequestrati. La Suprema Corte ha chiarito che la procura speciale e il contesto accusatorio dimostravano che l’impugnazione era stata presentata anche per conto dell’ente.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Interesse ad Agire: Legale Rappresentante e Impugnazione del Sequestro

Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale ha riaffermato un principio fondamentale della procedura penale: la corretta identificazione dell’interesse ad agire nel contesto dei ricorsi contro misure cautelari reali, come il sequestro probatorio. Il caso in esame riguarda l’annullamento di un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Milano, che aveva dichiarato inammissibile un’impugnazione presentata dal legale rappresentante di una società, proprietaria dei beni sequestrati, per un presunto difetto di legittimazione.

Il Contesto: Sequestro Probatorio e Ricorso per Riesame

La vicenda ha origine da un decreto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Milano, eseguito esclusivamente su beni di proprietà di una società a responsabilità limitata. L’indagato, amministratore unico della società, tramite il suo difensore munito di procura speciale, proponeva ricorso per il riesame del provvedimento, contestandone la legittimità.

La Decisione del Tribunale e l’errata valutazione sull’interesse ad agire

Il Tribunale del Riesame di Milano dichiarava inammissibile il ricorso per carenza di interesse. Secondo il Tribunale, l’impugnazione era stata proposta dal difensore esclusivamente nell’interesse della persona fisica dell’indagato. Tuttavia, poiché i beni sequestrati appartenevano alla società, l’interesse a contestare il provvedimento era unicamente dell’ente e non della persona fisica che lo rappresentava. Questa interpretazione formalistica ha di fatto negato la possibilità di una difesa nel merito.

L’Analisi della Cassazione: la corretta interpretazione dell’interesse ad agire

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando senza rinvio l’ordinanza del Tribunale di Milano e disponendo la trasmissione degli atti per il giudizio. La Suprema Corte ha censurato l’interpretazione del giudice del riesame, ritenendola errata e basata su una lettura parziale degli atti.

Le motivazioni

La Corte ha sottolineato che una lettura unitaria e logica degli atti processuali avrebbe dovuto condurre a una conclusione opposta. In primo luogo, la procura speciale rilasciata dall’indagato al suo difensore faceva esplicito riferimento alla sua qualità di amministratore unico della società. In secondo luogo, la stessa ipotesi accusatoria riconduceva la presunta condotta illecita (detenzione di prodotti contraffatti) proprio al ruolo ricoperto dall’indagato all’interno dell’azienda. Era quindi evidente che il difensore, in qualità di procuratore speciale, avesse presentato la richiesta di riesame non solo per la persona fisica, ma anche e soprattutto nell’interesse della società titolare dei beni sequestrati. La richiesta del difensore, facendo riferimento alla ‘giusta dichiarazione di nomina in atti’, includeva implicitamente la procura speciale che specificava il ruolo di amministratore. Pertanto, l’impugnazione era stata validamente proposta per conto del soggetto che aveva l’effettivo e concreto interesse ad agire, ovvero la società.

Le conclusioni

Questa sentenza ribadisce che, nella valutazione dei presupposti processuali come l’interesse ad agire, non ci si può fermare a una visione formalistica che separi artificiosamente la figura dell’indagato dal suo ruolo di organo rappresentativo della società coinvolta. È necessario un esame sostanziale che tenga conto del contenuto della procura, della natura dell’accusa e della titolarità dei beni. La decisione della Cassazione restituisce il diritto alla difesa nel merito, imponendo al Tribunale del Riesame di valutare la fondatezza delle censure mosse contro il sequestro probatorio. Questo principio tutela le società da interpretazioni restrittive che potrebbero pregiudicare la loro capacità di difendersi in giudizio quando i loro beni sono oggetto di misure cautelari.

Può il legale rappresentante di una società impugnare personalmente un sequestro di beni aziendali?
Sì, quando agisce in virtù del suo ruolo e su mandato della società. La Cassazione ha chiarito che se la procura speciale conferita al difensore fa riferimento al ruolo di amministratore e l’accusa è legata a tale ruolo, l’impugnazione si intende proposta anche nell’interesse della società, che è la titolare del diritto a contestare il sequestro dei propri beni.

Cosa ha sbagliato il Tribunale del Riesame in questo caso?
Il Tribunale ha commesso un errore di valutazione interpretando la richiesta di riesame come se fosse stata presentata esclusivamente nell’interesse della persona fisica dell’indagato, ignorando che egli agiva nella sua qualità di legale rappresentante della società. Ha omesso di considerare il collegamento logico tra la procura speciale, il contenuto dell’impugnazione e l’ipotesi accusatoria.

Qual è il ruolo della procura speciale in casi come questo?
La procura speciale è un documento decisivo. Come evidenziato dalla Corte, il suo contenuto, letto unitamente agli altri atti del procedimento, è fondamentale per individuare correttamente chi è il soggetto che propone l’impugnazione e per conto di chi agisce. In questo caso, ha permesso di dimostrare che il difensore era stato incaricato di agire anche per conto della società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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