Interesse a impugnare: quando il ricorso è inammissibile
L’interesse a impugnare è una colonna portante del nostro sistema processuale penale, un principio che garantisce l’efficienza della giustizia evitando ricorsi pretestuosi o inutili. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire questo concetto, chiarendo quando un’impugnazione, anche se fondata su un’apparente anomalia giuridica, debba essere dichiarata inammissibile per carenza di un vantaggio concreto per il ricorrente.
I Fatti del Caso
Un imputato presentava ricorso in Cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello. Le sue lamentele, o doglianze, si concentravano su due punti principali. In primo luogo, lamentava la mancata pronuncia da parte del giudice d’appello su uno specifico reato che gli era stato contestato, con la conseguente mancata applicazione della relativa pena. In secondo luogo, contestava il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la mancata concessione di una sanzione sostitutiva.
La Carenza di Interesse a Impugnare
La Corte di Cassazione ha stroncato sul nascere il primo motivo di ricorso, dichiarandolo inammissibile per una ragione tanto semplice quanto ferrea: la mancanza di interesse a impugnare. I giudici hanno spiegato che, ai sensi dell’art. 568 del codice di procedura penale, l’interesse sussiste solo se l’impugnazione può concretamente portare a una situazione più favorevole per chi la propone.
Nel caso specifico, la mancata condanna per un reato contestato non costituiva un danno per l’imputato, ma, al contrario, un evidente vantaggio. Annullare la sentenza su quel punto per ottenere una pronuncia sul reato “dimenticato” non avrebbe portato alcun beneficio pratico al ricorrente, anzi, avrebbe potuto peggiorare la sua posizione. La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’interesse ad impugnare non coincide con la mera aspirazione alla “esattezza tecnico-giuridica” di una sentenza, ma deve tradursi nella possibilità di ottenere un risultato pratico più vantaggioso.
I Limiti del Sindacato di Legittimità
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alle attenuanti generiche e alle sanzioni sostitutive, è stato respinto. La Corte ha osservato che le censure mosse dall’imputato non evidenziavano reali violazioni di legge o manifeste illogicità nella motivazione della Corte d’Appello. Piuttosto, rappresentavano un tentativo di sollecitare un nuovo giudizio di merito, reiterando argomenti già valutati e respinti dal giudice precedente.
Su questo punto, la Cassazione ha ricordato il proprio ruolo: quello di giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è sovrapporre la propria valutazione a quella dei tribunali inferiori, ma verificare la coerenza logica e la correttezza giuridica del percorso motivazionale seguito nella sentenza impugnata. Poiché la Corte d’Appello aveva fornito una motivazione adeguata e lineare, basata sulle risultanze processuali, non vi era spazio per un intervento della Cassazione.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su due pilastri del diritto processuale. Il primo è il principio dell’interesse ad agire, traslato nel contesto delle impugnazioni. Un processo non può essere attivato per risolvere questioni puramente teoriche. L’annullamento o la riforma di un provvedimento deve portare a un “vantaggio concreto”. La mancata pronuncia su un capo d’imputazione si traduce in un effetto favorevole per l’imputato, pertanto egli non ha alcun interesse a veder sanata tale omissione. Il secondo pilastro è la netta distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Le valutazioni circa la concessione delle attenuanti generiche rientrano nella discrezionalità del giudice di merito e possono essere censurate in Cassazione solo se la motivazione è assente, manifestamente illogica o contraddittoria, cosa che non è avvenuta nel caso di specie.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame è un importante promemoria sulle condizioni di ammissibilità delle impugnazioni. Insegna che prima di intraprendere un percorso giudiziario è fondamentale chiedersi quale sia il risultato pratico che si intende raggiungere. Un ricorso basato su cavilli procedurali che non incidono sulla sostanza della posizione del ricorrente è destinato all’inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come puntualmente avvenuto nel caso deciso dalla Corte.
Quando sussiste l’interesse a impugnare una sentenza penale?
L’interesse a impugnare sussiste solo quando l’esito dell’impugnazione può condurre a una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella attuale, attraverso l’eliminazione di un provvedimento per lui pregiudizievole.
È possibile impugnare una sentenza solo per ottenere una decisione giuridicamente più corretta, anche senza un vantaggio pratico?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che l’interesse ad impugnare non deriva dalla mera aspirazione a una teorica esattezza giuridica della motivazione, ma dalla necessità di conseguire un vantaggio concreto, come una riduzione di pena o un’assoluzione.
Cosa accade se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34863 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34863 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
AUTIERO GENNARO nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/01/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME, considerato che il primo motivo di ricorso è inammissibile per carenza d’interesse. Invero, l’interesse a impugnare, così come richiamato dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen. quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se l’impugnazione sia idonea a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente; id est sussiste un interesse concreto solo ove dalla denunciata violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole (cfr. Sez. U, Sentenza n. 42 del 13/12/1995, COGNOME, Rv. 203093 – 01 seguita da moltissime conformi, fino alla più recente Sez. 3 -, Sentenza n. 30547 del 06/03/2019, COGNOME, Rv. 276274 – 01). In altre parole, l’interesse ad impugnare non è costituito dalla mera aspirazione della parte all’esattezza tecnico-giuridica della motivazione del provvedimento, ma dall’interesse a conseguire -dalla riforma o dall’annullamento del provvedimento impugnato- un vantaggio concreto. Nel caso di specie, la mancata pronuncia su un reato contestato e la mancata applicazione della relativa pena si riverbera come effetto favorevole per il ricorrente. Tanto vale a dire che il ricorrente non sortirebbe nessun effetto pratico più favorevole dall’annullamento sul punto del provvedimento impugnato. Da qui l’inammissibilità del motivo di ricorso in esame, per carenza d’interesse.
Considerato che i motivi relativi alle circostanze attenuanti generiche e alla possibilità di irrogare una sanzione sostitutiva sono state adeguatamente motivate dalla Corte di appello. A fronte di una motivazione adeguata, le doglianze articolate nel ricorso non sono volte a evidenziare violazioni di legge o mancanze argomentative e manifeste illogicità della sentenza impugnata, ma mirano a sollecitare un improponibile sindacato sulle scelte valutative della Corte di appello e reiterano in gran parte le censure già sollevate dinanzi a quel Giudice, che le ha ritenute infondate sulla base di una lineare e adeguata motivazione, strettamente ancorata a una completa e approfondita disamina delle risultanze processuali, nel rispetto dei principi di diritto vigenti in materia;
ribadito che, in tema di controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione
mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno, dovendo piuttosto verificare la coerenza strutturale della sentenza alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260);
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2024.