Interesse a impugnare: la Cassazione chiarisce quando un ricorso è solo teorico
Nel sistema processuale penale, non basta avere ragione in astratto per poter contestare una decisione del giudice. È necessario dimostrare di avere un interesse a impugnare che sia concreto, attuale e che porti a un vantaggio pratico. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ribadisce questo principio fondamentale, dichiarando inammissibile il ricorso di un detenuto che, pur avendo già ottenuto ciò che chiedeva, insisteva per ottenere una pronuncia di principio valida per il futuro.
I fatti del caso: la richiesta di consegna dei CD
La vicenda ha origine dalla richiesta di un detenuto, sottoposto a regime differenziato, di ricevere alcuni compact disc contenenti atti processuali. Il Magistrato di sorveglianza, anziché disporre la consegna diretta, trasmetteva gli atti al Direttore della casa circondariale. Il detenuto, ritenendo leso il suo diritto a ricevere la documentazione senza ritardi e senza controlli, proponeva reclamo.
Nelle more del procedimento, tuttavia, i CD venivano effettivamente consegnati. Di conseguenza, il Tribunale di Sorveglianza dichiarava non luogo a provvedere, data la sopravvenuta carenza di interesse, dal momento che la richiesta originaria era stata soddisfatta.
Le ragioni del ricorso e la mancanza di un interesse a impugnare
Nonostante l’avvenuta consegna, la difesa del detenuto decideva di ricorrere in Cassazione. I motivi non miravano più a ottenere i CD, ma a far stabilire un principio giuridico per il futuro: come l’amministrazione penitenziaria avrebbe dovuto gestire richieste analoghe, contestando la procedura seguita e invocando la violazione di diverse norme, tra cui quelle sulla corrispondenza tra difensore e assistito.
La difesa, in sostanza, chiedeva alla Corte una pronuncia ‘per il futuro’, senza però indicare quale fosse l’effetto favorevole e concreto che sarebbe derivato al detenuto dall’accoglimento del ricorso in quel preciso momento. È proprio su questo punto che la Cassazione ha fondato la sua decisione di inammissibilità, sottolineando la natura eminentemente utilitaristica che deve caratterizzare l’interesse a impugnare.
Le motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha richiamato il suo consolidato orientamento (ius receptum), secondo cui l’interesse ad impugnare non può coincidere con il mero interesse al rispetto astratto della legge. Per poter accedere a un giudizio di impugnazione, la parte deve perseguire una finalità concreta: la rimozione di una situazione svantaggiosa derivante dalla decisione impugnata e il conseguimento di un provvedimento più favorevole.
Nel caso specifico, il ricorrente aveva già ottenuto il bene della vita a cui aspirava, ovvero i compact disc. Il suo ricorso era quindi privo di un interesse attuale e concreto. Le doglianze erano dirette a ottenere ‘enunciati di principio’ per regolare casi futuri, un obiettivo che esula dalla funzione del processo di impugnazione, che è chiamato a risolvere controversie reali e attuali, non a fornire pareri o a stabilire regole astratte.
Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, ravvisando una colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, ossia nell’aver proposto un ricorso privo dei requisiti essenziali previsti dalla legge.
Le conclusioni
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: un’azione legale, e in particolare un’impugnazione, deve sempre essere supportata da un interesse tangibile. Non si può adire un giudice per una ‘battaglia di principio’ se da questa non deriva un’utilità pratica e immediata per la propria posizione giuridica. La giustizia è uno strumento per risolvere conflitti concreti, non un’accademia per la discussione di questioni teoriche. Pertanto, prima di intraprendere un’azione legale, è fondamentale valutare non solo la fondatezza delle proprie ragioni in diritto, ma anche e soprattutto il vantaggio effettivo che si intende perseguire.
Quando un ricorso viene considerato inammissibile per carenza di interesse?
Un ricorso è inammissibile per carenza di interesse quando chi lo propone non mira a ottenere un vantaggio concreto e attuale dalla modifica della decisione impugnata, ma persegue soltanto un’affermazione di principio o la regolamentazione di situazioni future.
È sufficiente l’interesse al corretto rispetto della legge per poter impugnare una decisione?
No. Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, non è sufficiente un mero interesse teorico alla corretta applicazione di una norma. L’interesse a impugnare deve avere una natura ‘utilitaristica’, ovvero deve essere finalizzato a ottenere un provvedimento più vantaggioso rispetto a quello contestato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver attivato inutilmente il sistema giudiziario.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31009 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31009 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il 04/10/1984
avverso l’ordinanza del 16/01/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di PERUGIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che, con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, ha dichiarato non luogo a provvedere per sopravvenuta carenza di interesse in relazione al reclamo, proposto da NOME COGNOME detenuto in regime differenziato, avverso il provvedimento con il quale il Magistrato di sorveglianza di Spoleto, in data 19 ottobre 2023, ha trasmesso gli atti al Direttore della Casa circondariale di Spoleto sulla richiesta di consegna, senza ritardo e senza controllo, di compact disc contenenti atti processuali.
Considerato che i motivi proposti dalla difesa, avv. NOME COGNOME (violazione degli artt. 35-bis, 69 Ord. pen., 3 Cost., 6 CEDU, 105 cod. proc. pen., 35 disp. att. cod. proc. pen., vizio di motivazione, violazione della procedura di trattenimento della corrispondenza tra difensore e detenuto) sono inammissibili in quanto carenti di interesse, perché diretti a ottenere enunciati di principio, senza illustrazione puntuale di un sostanziale effetto favorevole per il detenuto.
Rilevato, infatti, che i compact disc di cui si chiedeva la trasmissione, sono indicati come consegnati al detenuto in data 10 gennaio 2023 e che la difesa insiste per ottenere una pronuncia che disciplini, per il futuro, le modalità di consegna da parte della Casa circondariale, senza procedere a ispezione, con immediata evasione della richiesta, contestando la procedura seguita dall’Istituto di pena, nonché invocando la non operatività del visto di censura sulla corrispondenza informatica, tra detenuto e difensore, eccependo la violazione degli artt. 103 cod. proc. pen. e 35 disp. att. cod. proc. pen., in caso di visione degli atti da consegnare da parte della Polizia penitenziaria.
Considerato che costituisce ius receptum della giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, nel sistema processuale penale, la nozione di interesse a impugnare non può essere identificata nel mero interesse al rispetto di una norma di legge da parte dell’ordinamento giuridico (cfr. Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, Marinaj, Rv. 251693), dovendo piuttosto individuarsi l’interesse a impugnare, in una prospettiva giurisdizionale di natura eminentemente utilitaristica, consistente nelle finalità concretamente perseguita dal soggetto impugnante, tendente a rimuovere una situazione derivante da una decisione giudiziale, cui si collega il conseguimento di un’utilità, costituita da un provvedimento più vantaggioso rispetto a quello impugnato (tra le varie, Sez. 2, n. 37876 del 12/09/2023, Rv. 285026 – 01; Sez. 6, n. 12722 del 12/02/2009, Rv. 243242 – 01; Sez. 5, n. 43983 del 15/07/2009, D’Ingeo, Rv. 245100 – 01 in tema di impugnazione della parte pubblica).
Ritenuto, che segue l’inammissibilità del ricorso e la condanna al pagamento delle spese processuali, nonché (cfr. Corte Cost. n. 186 del 13 giugno 2000), valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. l’onere del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, determinata equitativamente nella misura di cui al dispositivo, considerati i motivi devoluti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 19 giugno 2025
Il Consigliere estensore
Prekidente