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Interesse a impugnare: quando il PM non può appellare

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che estendeva un sequestro preventivo a nuovi reati, accogliendo il ricorso degli imputati. Il motivo è la mancanza di interesse a impugnare da parte del Pubblico Ministero, il quale, avendo già ottenuto il sequestro per l’intera somma richiesta, non avrebbe conseguito alcun vantaggio pratico e concreto dall’appello, ma solo una validazione teorica della sua ipotesi accusatoria.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Interesse a Impugnare: l’Appello del PM Deve Avere un Vantaggio Concreto

Nel processo penale, ogni azione deve avere uno scopo. Questo principio si applica anche al diritto di impugnare una decisione, che non può essere esercitato per una mera questione di principio. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza questo concetto, chiarendo quando sussiste l’interesse a impugnare per il Pubblico Ministero in materia di sequestri. La Corte ha stabilito che un appello è inammissibile se non mira a ottenere un vantaggio pratico e concreto, ma si limita a una richiesta di validazione teorica dell’ipotesi accusatoria.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un’indagine per reati di estorsione aggravata e truffa aggravata a carico di una società di costruzioni e dei suoi rappresentanti. Il Giudice per le Indagini Preliminari (G.i.p.) aveva disposto un sequestro preventivo per una somma di oltre 137.000 euro, ma solo in relazione ai reati di truffa.

Insoddisfatto, il Pubblico Ministero aveva proposto appello al Tribunale, chiedendo che il medesimo sequestro, per lo stesso importo, fosse esteso anche ai reati di estorsione. Il Tribunale accoglieva l’appello, ampliando così la base giuridica del vincolo reale. Contro questa decisione, la società e gli indagati hanno presentato ricorso in Cassazione.

La Questione dell’Interesse a Impugnare del Pubblico Ministero

Il punto centrale del ricorso verteva sull’ammissibilità stessa dell’appello del PM. La difesa ha sostenuto che mancasse un requisito fondamentale: l’interesse a impugnare. Secondo i ricorrenti, il PM aveva già ottenuto tutto ciò che aveva chiesto in termini patrimoniali: il sequestro dell’intera somma. L’appello non mirava a ottenere il sequestro di altri beni o di una somma maggiore, ma solo a far sì che il vincolo già esistente fosse giustificato anche da altri capi di imputazione.

In sostanza, la difesa ha evidenziato come l’azione del PM non fosse diretta a rimuovere un pregiudizio concreto o a conseguire un’utilità pratica, bensì a ottenere una sorta di ‘certificazione’ giudiziaria sulla fondatezza della sua ipotesi accusatoria anche per i reati di estorsione. Questo, secondo i ricorrenti, non costituisce un interesse giuridicamente rilevante che possa legittimare un’impugnazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando senza rinvio l’ordinanza del Tribunale. La decisione si fonda interamente sulla carenza dell’interesse a impugnare da parte del Pubblico Ministero.

Le Motivazioni

La Corte ha richiamato la sua consolidata giurisprudenza, secondo cui l’interesse a impugnare deve essere concreto, attuale e non può risolversi nella mera pretesa all’astratta osservanza della legge. Per essere ammissibile, l’impugnazione deve essere idonea a produrre una situazione pratica più vantaggiosa per chi la propone.

Nel caso specifico, il PM aveva già ottenuto un vincolo reale per l’intero importo richiesto. L’ampliamento della motivazione del sequestro ai reati di estorsione non avrebbe comportato alcun beneficio aggiuntivo: né un aumento della somma sequestrata, né l’apposizione del vincolo su beni diversi. L’utilità perseguita era, quindi, meramente teorica e futura, legata a eventuali dinamiche processuali successive, ma priva di quella concretezza e attualità che la legge richiede. L’appello si configurava, come correttamente evidenziato dalla difesa, come una mera ‘richiesta di validazione dell’ipotesi accusatoria’, fine per il quale l’istituto dell’impugnazione non è previsto.

Le Conclusioni

La sentenza stabilisce un principio fondamentale per l’economia processuale e la corretta amministrazione della giustizia. L’impugnazione non è uno strumento per dibattiti accademici o per ottenere conferme teoriche, ma un rimedio concreto a un pregiudizio reale. Il Pubblico Ministero, al pari di ogni altra parte processuale, può appellare una decisione solo se da tale appello può derivare un risultato pratico e migliorativo rispetto alla situazione esistente. Quando il risultato pratico è già stato pienamente raggiunto, come nel caso di un sequestro ottenuto per l’intero importo richiesto, l’interesse a impugnare viene meno, anche se la motivazione del provvedimento non coincide pienamente con tutte le richieste dell’accusa.

Quando sussiste l’interesse a impugnare per una parte processuale?
Sussiste quando l’impugnazione è finalizzata a rimuovere un pregiudizio concreto e a conseguire un’utilità pratica e attuale, creando una situazione più vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente. Non è sufficiente una mera pretesa all’astratta osservanza della legge.

Perché l’appello del Pubblico Ministero è stato ritenuto inammissibile in questo caso?
Perché il Pubblico Ministero aveva già ottenuto il sequestro preventivo per l’intera somma richiesta. Il suo appello, volto a estendere la giustificazione del sequestro anche ad altri reati senza modificare l’importo o i beni vincolati, non avrebbe portato alcun vantaggio pratico e concreto, risolvendosi in una mera richiesta di validazione della sua ipotesi accusatoria.

Qual è stata la conseguenza pratica dell’annullamento della sentenza del Tribunale?
La conseguenza è stata la rimozione del vincolo reale sui beni per quanto riguarda i capi d’imputazione relativi alle estorsioni. Tuttavia, la Corte ha specificato che si tratta di una restituzione ‘meramente nominale’, poiché gli stessi beni rimangono comunque assoggettati a sequestro in base al decreto originario del G.i.p. per i reati di truffa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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