Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 25973 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 25973 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Bari il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/01/2024 del Tribunale di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29/01/2024, il Tribunale di Bari rigettava l’appello che era stato proposto, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., dal pubblico ministero presso lo stesso Tribunale contro l’ordinanza del 05/04/2023 del G.i.p. del Tribunale di Bari con la quale era stata rigettata la richiesta del medesimo pubblico ministero di disporre, nei confronti di NOME COGNOME, la misura cautelare della custodia in carcere, per essere il COGNOME gravemente indiziato dei reati di usura continuata e pluriaggravata in concorso e di estorsione continuata e aggravata (dal cosiddetto metodo mafioso) in concorso ai danni di NOME COGNOME, e in relazione al pericolo che egli commettesse delitti della stessa specie di quelli per i quali si stava procedendo.
Come già il G.i.p., il Tribunale di Bari riteneva la sussistenza, in capo al COGNOME, dei gravi indizi di colpevolezza dei due reati sopra menzionati, ma reputava insussistenti le esigenze cautelari di cui alla lett. c) del comma 1 dell’art. 274 cod. proc. pen. che erano state rappresentate dal pubblico ministero nel proprio atto di appello.
Avverso tale ordinanza del 29/01/2024 del Tribunale di Bari, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 273 e 292 dello stesso codice, nonché degli artt. 81, 110 e 644, quinto comma, n. 3) e n. 4), cod. pen. e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza, «anche grafica», l’apparenza e la manifesta illogicità della motivazione, con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Bari si sarebbe limitato a una «pedissequa ripetizione dei fatti prospettati dalla pubblica accusa» e a «elencare la descrizione fatti alla luce delle dichiarazioni del collaborato , recependole in maniera passiva», omettendo di valutare in modo autonomo, in violazione degli obblighi che sono imposti al giudice dal combinato disposto degli artt. 273 e 292 cod. proc. pen., sia gli indizi che avrebbero giustificato in concreto la misura richiesta sia gli elementi che erano stati forniti dalla difesa nella memoria che essa aveva depositato nel corso dell’udienza del 29/01/2024. In tale atto difensivo, diversamente da quanto è affermato dal Tribunale di Bari a pag. 10 dell’ordinanza impugnata, era stato in particolare evidenziato come i dati oggettivi che emergevano dalla consulenza tecnica dello stesso consulente della pubblica accusa conducessero a una valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni della persona offesa e collaboratore di giustizia NOME COGNOME e smentissero la sussistenza di qualsiasi condotta usuraria o estorsiva.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 192 dello stesso codice, e degli artt. 81, 110, 416-bis.1 e 629 cod. pen. e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza, l’apparenza e la manifesta illogicità della motivazione, «in ordine ai riscontri esterni idonei a confermare l’attendibilità delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia», con riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi della circostanza aggravante del reato di usura del cosiddetto metodo mafioso.
Il ricorrente lamenta che il Tribunale di Bari avrebbe omesso di indicare qualsiasi elemento di riscontro alla dichiarazione della persona offesa e
collaboratore di giustizia NOME COGNOME secondo cui il COGNOME si sarebbe vantato di appartenere al clan “RAGIONE_SOCIALE“. E ob nonostante l’COGNOME si dovesse ritenere «portatore di un interesse fortissimo, in quanto veniva arrestato per reati di usura e solo in tale circostanza decideva di collaborare».
Secondo il COGNOME, la motivazione sarebbe anche contraddittoria in quanto lo stesso Tribunale di Bari, a pag. 23 dell’ordinanza impugnata, aveva dato atto che «non risulta accertata l’appartenenza di COGNOME NOME ad una associazione mafiosa, né risalente né attuale».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché non è sostenuto da alcun interesse (art. 568, comma 4, cod. proc. pen.), concreto e attuale, a conseguire una pronuncia di annullamento dell’ordinanza impugnata.
Si deve premettere che: a) la richiesta del pubblico ministero presso il Tribunale di Bari di disporre la misura cautelare (specificamente, la custodia cautelare in carcere) nei confronti del COGNOME era stata rigettata dal G.i.p. del Tribunale di Bari per carenza delle esigenze cautelari, avendo lo stesso G.i.p. ritenuto, ancorché con una motivazione che il Tribunale di Bari ha reputato del tutto anapodittica, la sussistenza della gravità indiziaria; b) il Tribunale di Bar adito a seguito dell’appello del pubblico ministero, ha ritenuto la sussistenza della gravità indiziaria, escludendo, tuttavia, anch’esso, la sussistenza delle esigenze cautelari.
Ciò premesso, si deve rammentare come la Corte di cassazione abbia affermato il principio che non sussiste l’interesse dell’indagato a impugnare il provvedimento del tribunale del riesame che abbia annullato l’ordinanza applicativa di una misura cautelare personale (nella specie, si trattava degli arresti domiciliari) per carenza delle esigenze cautelari qualora il ricorso si limiti a dedurre il vizio di motivazione in ordine al ritenuto quadro gravemente indiziario, atteso che detto provvedimento non pregiudica sotto alcun profilo processualmente rilevante la posizione del ricorrente (Sez. 5, n. 1119 del 09/09/2021, La COGNOME, Rv. 282534-01; Sez. 1, n. 45918 del 15/10/2019, COGNOME, Rv. 277331-01. Si veda anche la non massimata Sez. 5, n. 24657 del 08/04/2022, COGNOME).
Alla stessa conclusione si deve evidentemente pervenire anche nel caso in esame, nel quale si deve analogamente escludere che il provvedimento impugnato possa pregiudicare la posizione del ricorrente sotto alcun profilo processualmente rilevante.
Facendo tesoro delle condivise argomentazioni che sono contenute nei precedenti della Corte di cassazione che si sono sopra citati, si deve anzitutto dire, ancorché ciò risulti di assoluta evidenza, come nel caso in esame non sia
ipotizzabile alcun utilizzo della decisione cautelare al fine di attivare un giudizi per l’accertamento del diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, ai sensi ‘ dell’art. 314 cod. proc. pen., atteso che il COGNOME(hamai subito la custodia cautelare.
In secondo luogo, si deve rammentare che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 121 del 2009, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1bis dell’art. 405 cod. proc. pen., il quale comma imponeva al pubblico ministero, al temine delle indagini, di formulare richiesta di archiviazione qualora la Corte di cassazione si fosse pronunciata in ordine all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e non fossero stati acquisiti, successivamente, ulteriori elementi a carico della persona sottoposta alle indagini. L’esito del ricorso avverso il provvedimento cautelare non può pertanto più esplicare un effetto vincolante sulle decisioni che la pubblica accusa deve assumere ai fini dell’esercizio dell’azione penale, le quali restano condizionate dalla considerazione dell’esito delle indagini e dalla conducenza e capacità dimostrativa di esso.
Né l’esito del giudizio di legittimità in ordine al compendio indiziario può esplicare alcun effetto limitativo della libertà di assunzione delle decisioni rilevant da parte del giudice nel processo principale, atteso che un tale effetto non è previsto dalla vigente legge processuale. Infatti, qualora, nell’incidente cautelare di legittimità venga resa una pronuncia di annullamento con rinvio, tale statuizione, a norma dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., vincola unicamente il giudice della cautela che è chiamato a rendere il provvedimento rescissorio e non anche i giudici che siano chiamati a trattare distinte fasi o gradi del medesimo processo (Sez. 5, n. 24657 del 08/04/2022, COGNOME, cit; Sez. 5, n. 1119 del 09/09/2021, COGNOME, cit.). La considerazione della valenza probatoria degli elementi di prova sarà eventualmente rimessa al libero e autonomo vaglio del giudice del dibattimento.
Infine, il ricorrente non ha neppure addotto un possibile valore per sé pregiudicante della pronuncia impugnata rispetto ad altri procedimenti, già attivati o concretamente attivabili, di natura civile o amministrativa, sicché non risulta neppure invocato un interesse a evitare conseguenze negative di ordine extrapenale.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa de ammende.
Così deciso il 25/06/2024.