Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2774 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2774 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/07/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Procuratore generale, che ha concluso per il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Genova, con l’ordinanza in epigrafe, ha respinto l’istanza con la quale NOME COGNOME aveva chiesto l’integrazione e la modifica del provvedimento adottato il 18/12/2017, con il quale la medesima Corte territoriale aveva accolto il ricorso per riparazione di errore giudiziario in relazione alla detenzione sofferta dal 14 febbraio 2009 al 31 marzo 2010 in stato di custodia cautelare e dal 24 luglio 2012 al 15 novembre 2014 in esecuzione di sentenza definitiva della Corte d’appello di Firenze del 9/03/2011, successivamente riformata con sentenza di revisione del 9/05/2016, divenuta irrevocabile il 24/06/2016.
NOME COGNOME censura l’ordinanza deducendo, con unico motivo, violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. La difesa ritiene che la modifica normativa intervenuta con riferimento all’art. 314 cod. proc. pen. ad opera del d. Igs. 8 novembre 2021, n. 188, che stabilisce che l’esercizio del diritto di non rispondere all’interrogatorio non incide sul diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, avrebbe dovuto indurre la Corte di appello a riconoscere la riparazione relativa alla carcerazione subita in stato di custodia cautelare in precedenza negata proprio sul presupposto che il COGNOME si fosse avvalso in sede di interrogatorio del 17 febbraio 2009 della facoltà di non rispondere.
Essendo stati dedotti elementi nuovi, segnatamente lo ius superveniens, cronologicamente sopravvenuti alla decisione, nessuna preclusione del giudicato si sarebbe potuta opporre al richiedente, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità con sentenze Sez.1 n.40647 del 12/06/2014, COGNOME, Rv. 260542; Sez.1, n.7877 del 21/01/2015, COGNOME, Rv.262596 e Sez. U, n.18288 del 21/01/2010, COGNOME, Rv. 246651.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La Corte territoriale ha rigettato la domanda evidenziando come, nel precedente provvedimento, l’essersi avvalso il richiedente della facoltà di non rispondere non fosse stato valutato tenendo conto del fatto che in tema di errore giudiziario la condotta ostativa deve essere causa esclusiva dell’errore; nel caso
concreto l’errore giudiziario era consistito nell’errata valutazione di un atto di polizia relativo a un controllo subito dall’imputato, senza alcuna incidenza dell’essersi avvalso il COGNOME della facoltà di non rispondere, mentre in merito al quantum si era escluso il periodo successivo all’interrogatorio, in cui COGNOME si era avvalso della facoltà di non rispondere, prima che venisse commesso l’errore giudiziario in pendenza della misura cautelare della custodia in carcere, valutando il danno con i medesimi criteri utilizzati per la riparazione dell’ingiusta detenzione.
2.1. Si era, in altre parole, ritenuto, per quella parte di limitazione della libertà personale non attinta dall’errore giudiziario, che la scelta difensiva di non rispondere fosse idonea a integrare la condotta gravemente colposa in rapporto al protrarsi della custodia cautelare valutando, dunque, la posizione di diritto vantata alla stregua, per tale parte, di un’istanza di riparazione per ingiusta detenzione.
2.2. In ogni caso, considerato che il provvedimento con cui si era parzialmente riconosciuto il diritto alla riparazione era divenuto esecutivo il 3/01/2018, la Corte territoriale ha escluso che tale provvedimento irrevocabile potesse essere modificato sulla base della normativa sopravvenuta, disponendo l’art. 314 cod. proc. pen. per il futuro in assenza di norma transitoria che lo rendesse applicabile ai procedimenti per i quali era decorso il termine biennale per la proposizione del ricorso e a maggior ragione ai procedimenti per i quali la richiesta era stata formulata e respinta con provvedimento irrevocabile, trattandosi peraltro di contenzioso di natura risarcitoria – per il quale non è consentito fare riferimento al criterio della legge più favorevole.
La difesa cita, a sostegno del preteso superamento della preclusione del giudicato formatosi sulla pronuncia emessa all’esito di istanza di riparazione dell’errore giudiziario, la sentenza COGNOME (Sez.1 n.40647 del 12/06/2014, COGNOME, Rv. 260542), concernente la possibilità di valutazione dei nova da parte del giudice dell’esecuzione della sentenza penale ai fini della revoca dell’indulto, la sentenza COGNOME (Sez.1, n.7877 del 21/01/2015, COGNOME, Rv.262596), in cui si è affermato, sempre in tema di indulto, che la preclusione del giudicato esecutivo è inoperante a condizione che vengano dedotti fatti non presi in considerazione, neppure implicitamente, dal giudice della cognizione, e la sentenza delle Sezioni Unite COGNOME (Sez. U, n.18288 del 21/01/2010, COGNOME, Rv. 246651), in cui si è affermato che «Il mutamento di giurisprudenza, intervenuto con decisione delle Sezioni unite della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione, integrando un nuovo elemento di diritto, rende ammissibile la riproposizione, in sede esecutiva, della richiesta di applicazione dell’indulto in precedenza rigettata. (La Corte ha precisato che tale
soluzione è imposta dalla necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona in linea con i principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il cui art. 7, come interpretato dalle Corti europee, include nel concetto di legalità sia il diritto di produzione legislativa che quello di derivazione giu risprudenzia le)».
4. La censura è manifestamente infondata.
4.1. La giurisprudenza indicata quale precedente idoneo a sostenere le ragioni del ricorrente non ha attinenza al caso in esame in quanto concerne questioni interpretative che si sono poste in relazione al potere del giudice dell’esecuzione di incidere sul decisum penale di condanna qualora si debba applicare l’indulto, ai sensi dell’art.672 cod. proc. pen.
4.2. Più in generale, è bene sottolineare che tra i poteri riconosciuti al giudice dell’esecuzione, disciplinati nel Libro X, Titolo III, Capo I del codice di procedura penale, si possono annoverare tassative ipotesi di modifica di provvedimenti divenuti irrevocabili, come nell’ipotesi in cui il condannato o il pubblico ministero chiedano l’applicazione della disciplina del reato continuato (art.671 cod. proc. pen.) o nell’ipotesi di revoca della sentenza o del decreto penale di condanna in caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice (art.673 cod. proc. pen.), o anche nel caso in cui il giudice della cognizione abbia trascurato di revocare la sospensione condizionale della pena (art.674 cod. proc. pen.).
Con specifico riguardo al provvedimento emesso nella forma dell’ordinanza, quando il provvedimento non decide su questioni contingenti o temporanee, sia di rito, sia di merito, ma statuisce su determinate situazioni giuridiche con carattere di definitività ed è soggetto a impugnazione, deve ritenersi, al pari delle sentenze, irrevocabile, con la conseguenza che, essendosi esaurita con la sua emanazione la potestà decisoria, è sottratta, immediatamente o successivamente, all’organo della giurisdizione la possibilità di tornare sulla decisione assunta, salva la possibilità che la questione venga riproposta sulla base di elementi nuovi (Sez. 1, n. 5099 del 22/09/1999, Papurello, Rv. 214695 – 01).
5.1. Irrevocabile è, dunque, l’ordinanza che decide sull’istanza di riparazione, ove non impugnata o esauriti i mezzi di impugnazione: il divieto di un secondo giudizio previsto dall’art. 649 cod. proc. pen., espressione del principio del ne bis in idem, opera anche quando il precedente giudizio sul medesimo fatto si sia concluso non con sentenza bensì con ordinanza, purché questa abbia contenuto decisorio definitivo assimilabile a quello proprio della
sentenza (Sez. 4, n. 24222 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 263719 – 01, che in motivazione spiega che il provvedimento adottato ha un contenuto decisorio definitivo e non è, come le ordinarie ordinanze, revocabile e modificabile, salva la possibilità del ricorso per cassazione).
5.2. Fuori dai casi espressamente previsti dalla legge, i provvedimenti penali divenuti irrevocabili ai sensi dell’art.648 cod. proc. pen. non sono modificabili; sono, in altre parole, intangibili. Il principio di intangibilità del giudicat riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte Costituzionale: la prima, infatti, nella sentenza del 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, ha escluso l’applicabilità della disposizione più favorevole intervenuta dopo la pronuncia di sentenza definitiva; la seconda, con le sentenze n. 230 del 5 luglio 2011 e n. 210 del 24 aprile 2013, nel richiamare la pronuncia della Corte EDU citata, ha formalmente riaffermato il principio di intangibilità della res iudicata, espressivo dell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici esauriti. Le sole eccezioni all’intangibilità del giudicato sono costituite dalla sopravvenuta dichiarazione d’illegittimità costituzionale della norma incriminatrice (è prevista, ma sempre con riferimento a provvedimenti tassativamente indicati dall’art.629 cod. proc. pen. e ricorrendo le ipotesi disciplinate dall’art.630 cod. proc. pen., in caso di accoglimento dell’istanza di revisione di sentenze di condanna, sentenze emesse ai sensi dell’art.444, comma 2, cod. proc. pen., decreti penali di condanna, sentenze di appello dichiarative di estinzione del reato per prescrizione o amnistia (Sez. U, n. 6141 del 25/10/2018, dep. 2019, Milanesi, Rv. 274627 – 01).
Deve, inoltre, considerarsi che, a norma dell’art. 2, comma 4, cod. pen., le disposizioni più favorevoli al reo non sono operative qualora sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (Sez. 1, n. 1375 del 01/07/1983, COGNOME, Rv 160030). L’applicazione della sopravvenuta legge penale più favorevole, che attiene alla vigenza normativa, trova dunque un limite invalicabile nell’irrevocabilità del provvedimento.
6.1. Nel processo penale, il principio d’intangibilità del giudicato ha subao un processo di erosione (Sez.U, n.42858 del 29/05/2014, Gatto, in cui le Sezioni Unite offrono un’analitica disamina di tale processo). Lo stesso legislatore ha previsto istituti revocatori volti a porre rimedio a patologie intervenute nel processo conclusosi con sentenza irrevocabile (artt. 629-647 cod. proc. pen.: revisione; art. 625 bis cod. proc. pen.: ricorso straordinario per errore materiale o di fatto; art. 625 ter cod. proc. pen.: rescissione del giudicato) ovvero a consentire l’esercizio di poteri da parte del giudice dell’esecuzione anche incidenti sul giudicato (artt. 667-668 cod. proc. pen. relativamente al dubbio sull’identità
fisica della persona detenuta o a persona condannata per errore di nome; art. 669 cod. proc. pen. per l’ipotesi di pluralità di sentenze per il medesimo fatto contro la stessa persona).
6.2. Ma, come chiarito dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 210 del 2013, «nell’ambito del diritto penale sostanziale, è proprio l’ordinamento interno a reputare recessivo il valore del giudicato, in presenza di alcune sopravvenienze relative alla punibilità e al trattamento punitivo del condannato». L’ordinamento nazionale, infatti, «conosce ipotesi di flessione dell’intangibilità del giudicato, che la legge prevede nei casi in cui sul valore costituzionale ad esso intrinseco si debbano ritenere prevalenti opposti valori, ugualmente di dignità costituzionale, ai quali il legislatore intende assicurare un primato. Tra questi, non vi è dubbio che possa essere annoverata la tutela della libertà personale, laddove essa venga ristretta sulla base di una norma incriminatrice successivamente abrogata oppure modificata in favore del reo».
6.3. Per altro verso, deve ritenersi limitato alla irrevocabilità della pronuncia di condanna penale e al correlato trattamento sanzionatorio il tema del superamento del principio di intangibilità del giudicato per la eventuale lesione del principio pattizio della applicazione retroattiva della legge più favorevole al reo, sancito dall’art. 7 della Convenzione per la salvaguarda dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali siccome interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, dep. 2014, Ercolano, Rv. 258651 – 01).
6.4. Se ne desume che ogni argomentazione tendente a contrastare il principio d’intangibilità del provvedimento di riparazione dell’errore giudiziario o per ingiusta detenzione non più soggetto a ricorso per cassazione, quale unico rimedio impugnatorio previsto dall’art.646, comma 3, cod. proc. pen. (richiamato dall’art.315, comma 3, cod. proc. pen.), risulta pertanto preclusa tanto dal tenore letterale della normativa in tema di revisione quanto dal circoscritto perimetro entro il quale la giurisprudenza di legittimità e il giudice delle leggi hanno ammesso la modifica del giudicato.
Secondo quanto già affermato in altre pronunce della Sezione quarta penale, non può, d’altronde, dubitarsi dell’applicazione anche alle ordinanze pregresse del principio fondante la modifica dell’art.314 cod. proc. pen., che costituisce adeguazione della normativa nazionale 2 alle disposizioni della Direttiva (UE) 2016/ 343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, con specifico riguardo, i d per quanto di rilievo nel caso in disamina, all’emanazione di norme comuni sulla
protezione dei diritti procedurali di indagati e imputati; con il limite, tuttavia, ch per le ordinanze emanate in epoca antecedente alla modifica dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen., la res iudicanda sia ancora sub iudice (ex plurimis, Sez.4, n.17625 del 18/01/2023, Ermal, n.m.).
Anche se la fattispecie venisse esaminata alla luce dei principi propri del giudizio civile, in ragione della ibrida natura dell’istituto e del suo procedimento (Sez. 4, n.18828 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 276261 – 01; Sez. 4, n. 23630 del 02/04/2004, COGNOME, Rv. 229074 – 01), non sussistono ragioni di deroga al principio secondo il quale lo ius superveniens trova ostacolo nell’intangibilità del giudicato, non esistendo nel giudizio civile o amministrativo una figura analoga al giudice dell’esecuzione penale, avente la funzione di valutare gli incidenti processuali successivi al giudicato, e non potendosi utilizzare a tal fine lo GLYPH strumento GLYPH della GLYPH revocazione GLYPH della GLYPH sentenza GLYPH (Sez. 2 civile, n. 4521 del 11/02/2022, Rv. 663829 – 04).
Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deciso il 12 dicembre 2023
gli GLYPH estensore
Il Prelidente