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Insolvenza fraudolenta: quando il reato non sussiste

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società fornitrice contro l’assoluzione di un amministratore dal reato di insolvenza fraudolenta. La Suprema Corte ha chiarito che il reato non sussiste se, nel periodo temporale specificato nell’imputazione, l’imputato non ha contratto nuove obbligazioni ma si è limitato a sollecitare l’esecuzione di ordini pregressi, pur dissimulando lo stato di crisi della propria azienda.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Insolvenza Fraudolenta: La Cassazione Chiarisce i Limiti Temporali del Reato

Con la recente sentenza n. 34627/2024, la Corte di Cassazione è intervenuta su un caso di insolvenza fraudolenta, offrendo un’importante precisazione sui requisiti necessari per la configurazione del reato. La decisione sottolinea come la condotta illecita debba essere circoscritta a un preciso perimetro temporale, escludendo la responsabilità penale se, in quel frangente, non vengono assunte nuove obbligazioni.

I Fatti del Processo: Dalla Condanna all’Assoluzione

Il caso trae origine da un rapporto commerciale tra due società. L’amministratore di una di esse veniva accusato di insolvenza fraudolenta per aver, secondo l’accusa, contratto obbligazioni con una società fornitrice dissimulando lo stato di crisi della propria azienda, con il proposito di non adempiere. Il periodo contestato era molto specifico: dal 26 luglio al 6 agosto 2019, data in cui la società dell’imputato aveva formalizzato la richiesta di ammissione al concordato preventivo.

In primo grado, il Tribunale aveva condannato l’amministratore. Tuttavia, la Corte d’Appello, riformando la decisione, lo aveva assolto, revocando anche le statuizioni civili a favore della società creditrice. La Corte territoriale aveva infatti rilevato che, nel periodo di tempo indicato nell’imputazione, non erano stati effettuati nuovi ordini di merce né assunte nuove obbligazioni.

Il Ricorso in Cassazione della Parte Civile

La società fornitrice, costituitasi parte civile, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente due vizi della sentenza d’appello:

1. Contraddittorietà della motivazione: Secondo la ricorrente, lo stato di insolvenza era palese, tanto da essere stato comunicato dallo stesso imputato con una lettera che annunciava il deposito dell’istanza di concordato.
2. Errata applicazione della legge penale: La parte civile sosteneva che, anche in assenza di nuovi ordini formali, le continue richieste di evasione urgente di commesse già in corso, unite al silenzio sulle difficoltà finanziarie, integrassero la condotta di dissimulazione richiesta per il reato.

La Delimitazione Temporale dell’Insolvenza Fraudolenta

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile e confermando l’assoluzione. Il punto centrale della decisione risiede nella rigorosa interpretazione dell’art. 641 del codice penale e, soprattutto, nella sua applicazione rispetto al perimetro temporale definito dall’accusa.

Perché si configuri il reato di insolvenza fraudolenta, sono necessari tre elementi contestuali:

* La dissimulazione del proprio stato di insolvenza.
* L’assunzione di una nuova obbligazione.
* Il proposito originario di non adempierla.

Il fulcro del ragionamento della Suprema Corte è che tutti questi elementi devono coesistere. In particolare, è indispensabile che l’agente contrattenga un nuovo negozio giuridico bilaterale nel momento in cui nasconde la propria situazione di crisi.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di una constatazione fattuale, non contestata nemmeno dalla parte ricorrente: gli ultimi ordini commerciali tra le due società risalivano al 28 giugno e al 12 luglio 2019, date antecedenti al periodo temporale (26 luglio – 6 agosto) contestato nell’imputazione. Le comunicazioni avvenute in quel lasso di tempo erano semplici sollecitazioni a evadere ordini pregressi.

Di conseguenza, mancava l’elemento costitutivo essenziale del reato: l’assunzione di una nuova obbligazione. Le richieste di dare seguito a contratti già stipulati in precedenza, per quanto commercialmente scorrette alla luce della situazione di sofferenza dell’impresa, non sono sufficienti a integrare la fattispecie di insolvenza fraudolenta. Il silenzio sulla crisi aziendale e l’inadempimento di fatture in scadenza, pur essendo indizi importanti, non possono proiettare i loro effetti incriminanti in un periodo in cui non è stato stipulato alcun nuovo atto negoziale.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale per operatori del diritto e imprese: la necessità di una rigorosa contestualizzazione temporale delle condotte penalmente rilevanti. Per accusare un amministratore di insolvenza fraudolenta, non è sufficiente dimostrare uno stato di crisi e il successivo inadempimento; è cruciale provare che, proprio mentre nascondeva tale stato, egli abbia contratto nuovi impegni con il proposito di non onorarli. La decisione funge da monito per la formulazione dei capi d’imputazione, che devono definire con precisione il perimetro della condotta illecita, e offre una linea guida chiara per distinguere un comportamento penalmente irrilevante (seppur commercialmente scorretto) dal reato previsto dall’art. 641 c.p.

Quando si configura il reato di insolvenza fraudolenta secondo questa sentenza?
Il reato si configura solo quando un soggetto, nascondendo il proprio stato di insolvenza, contrae una nuova obbligazione con l’intenzione preordinata di non adempierla. Tutti questi elementi devono essere presenti e contestuali.

Sollecitare l’adempimento di ordini già esistenti può integrare il reato di insolvenza fraudolenta?
No. Secondo la Corte, le richieste e le sollecitazioni per evadere ordini già stipulati in passato non costituiscono l’assunzione di una nuova obbligazione e, pertanto, non sono sufficienti a configurare il reato, anche se l’impresa si trova già in una situazione di sofferenza finanziaria.

Perché il ricorso della parte civile è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le prove documentali, e le stesse ammissioni della parte ricorrente, dimostravano che gli ultimi ordini erano stati effettuati in date precedenti al periodo temporale contestato nel capo d’imputazione. Mancando l’atto costitutivo del reato (la contrazione di una nuova obbligazione) in quel periodo, l’accusa era infondata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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