Ingiusta Detenzione: Il Risarcimento Va Oltre il Calcolo Matematico
L’ingiusta detenzione rappresenta una delle più gravi ferite che il sistema giudiziario possa infliggere a un cittadino. Essere privati della libertà per poi risultare innocenti è un’esperienza devastante, i cui danni non si limitano ai giorni trascorsi in cella. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 24106/2024) ribadisce un principio fondamentale: nel quantificare il risarcimento, il giudice non può limitarsi a un mero calcolo aritmetico, ma ha il dovere di esaminare tutte le prove che dimostrano i pregiudizi ulteriori subiti dalla persona.
I Fatti del Caso
Un individuo, dopo aver trascorso 53 giorni in custodia cautelare in carcere con la pesante accusa di associazione mafiosa, vedeva la sua posizione archiviata anni dopo. A seguito di ciò, presentava una domanda di equa riparazione per ingiusta detenzione. La Corte d’Appello competente accoglieva parzialmente la richiesta, liquidando un importo calcolato sulla base di una cifra giornaliera standard (€ 235,82) per i giorni di detenzione. Tuttavia, la Corte rigettava la richiesta di risarcimento per i danni ulteriori, quali quelli alla vita sociale, familiare e professionale, sostenendo che fossero stati enunciati in modo generico e senza prove a supporto.
Il Ricorso per Cassazione e l’onere della prova nell’ingiusta detenzione
L’interessato non si arrendeva e ricorreva in Cassazione, lamentando una violazione di legge e, soprattutto, una totale assenza di motivazione da parte dei giudici di merito. Contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello, la difesa aveva prodotto un cospicuo fascicolo di documenti per dimostrare l’ampiezza dei danni subiti, tra cui:
* Articoli di stampa nazionale: che testimoniavano l’ampia eco mediatica della notizia dell’arresto e il conseguente danno reputazionale.
* Consulenze e documentazione sanitaria: che attestavano le gravi conseguenze psicologiche patite a seguito dell’esperienza carceraria.
* Relazione tecnica: sull’andamento commerciale della società gestita dal ricorrente, che dimostrava il tracollo economico seguito alla privazione della sua libertà.
Il ricorrente sosteneva che la Corte d’Appello avesse completamente ignorato (in gergo tecnico, “pretermesso”) queste prove, limitandosi ad applicare il criterio aritmetico senza alcuna valutazione nel merito delle ulteriori richieste.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato, accogliendolo pienamente. Gli Ermellini hanno sottolineato che, in casi come questo, è consentito l’accesso diretto agli atti del processo, e da tale esame è emerso chiaramente come la documentazione prodotta dalla difesa fosse tutt’altro che generica. Le prove presentate erano specifiche e mirate a dimostrare i danni concreti e ulteriori rispetto alla semplice privazione della libertà.
La decisione della Corte territoriale è stata censurata per la sua “totale pretermissione di ogni valutazione”. I giudici di merito, infatti, non avevano speso una sola parola per analizzare, e neppure per confutare, le prove documentali fornite. Questo vizio di motivazione, che si traduce in una violazione del diritto di difesa, ha reso la sentenza illegittima.
Le Conclusioni
La Suprema Corte ha quindi annullato l’ordinanza impugnata, ma limitatamente alla quantificazione dell’indennizzo. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello, in diversa composizione, che dovrà procedere a un nuovo giudizio sul punto. Questa volta, i giudici dovranno obbligatoriamente prendere in esame tutta la documentazione prodotta per determinare un risarcimento che sia veramente “equo” e che tenga conto di tutti i pregiudizi sofferti dal ricorrente.
Questa sentenza è un monito importante: chi chiede un’equa riparazione per ingiusta detenzione ha l’onere di provare tutti i danni subiti, ma il giudice, a sua volta, ha il dovere di valutare attentamente ogni singola prova, motivando adeguatamente la propria decisione. Il risarcimento non può essere ridotto a una fredda operazione matematica, ma deve riflettere la reale portata della sofferenza e dei danni inflitti a un innocente.
Come si ottiene un risarcimento per ingiusta detenzione che vada oltre l’indennizzo giornaliero standard?
Per ottenere un risarcimento che copra anche i danni ulteriori (psicologici, reputazionali, economici), è necessario fornire prove concrete e specifiche. La sentenza evidenzia l’importanza di produrre documentazione come articoli di stampa, perizie medico-legali e relazioni tecniche sull’impatto economico dell’arresto.
Può un giudice ignorare le prove documentali presentate a sostegno di una richiesta di risarcimento?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la totale pretermissione, ovvero l’omessa valutazione delle prove fornite dalla parte, costituisce un vizio di motivazione che rende illegittima la decisione. Il giudice ha l’obbligo di esaminare tutte le prove e di motivare le ragioni per cui le ritiene rilevanti o meno.
Cosa accade se la Corte di Cassazione annulla una sentenza per mancata valutazione delle prove?
La Corte di Cassazione annulla la decisione e rinvia il caso a un’altra sezione dello stesso giudice che ha emesso la sentenza (in questo caso, la Corte d’Appello). Quest’ultima dovrà riesaminare il punto specifico (la quantificazione del danno) tenendo conto dei principi stabiliti dalla Cassazione e, quindi, valutando tutte le prove che erano state precedentemente ignorate.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24106 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24106 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BELVEDERE MARITTIMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/06/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sulle conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Catanzaro con ordinanza del 26 giugno – 5 dicembre 2023, in parziale accoglimento della richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata nell’interesse di NOME COGNOME, il quale è stato ristretto in custodia cautelare in carcere complessivamente dal 12 luglio al 2 settembre 2003, in relazione all’accusa di partecipazione ad associazione mafiosa ed altro, accusa archiviata con decreto del 25 ottobre 2017, ha liquidato allo stesso l’importo complessivo di 12.498,46 euro, calcolati moltiplicando la somma di 235,82 euro per ogni giorno di carcere per i 53 giorni trascorsi in cella, mentre ha rigettato ogni altra richiesta ritenendo che «Non possono essere considerati ulteriori pregiudizi alla vita sociale e familiare dell’istante in quant genericamente enunciati nella richiesta di liquidazione e sforniti di alcuna prova» (così alla p. 3 del provvedimento impugnato).
Ricorre per la cassazione dell’ordinanza NOME COGNOME, tramite Difensore di fiducia, affidandosi ad un unico motivo con il quale denunzia violazione di legge (artt. 314-315 cod. proc. pen.) per avere la Corte territoriale accolto solo parzialmente la domanda di equa riparazione, anche sotto il profilo della totale assenza di motivazione circa gli ulteriori pregiudizi allegati nella originaria richiesta (pp. 4-6) e comprovati da numerosi allegati documentali già materialmente prodotti nel giudizio di merito e richiamati anche in apposita memoria a suo tempo depositata. Si tratta di plurimi articoli di stampa nazionale relativi alla diffusione che ha avuto la notizia dell’arresto, di consulente tecniche e di documentazione sanitaria circa le gravi conseguenze psicologiche patite dall’indagato e di relazione tecnica sull’andamento commerciale della società dallo stesso in precedenza gestita, tutti comprovanti ulteriori danni patiti dal ricorrente per effetto della ingiusta carcerazione.
Essendosi l’ordinanza limitata ad applicare il criterio aritmetico senza considerare, neppure per confutarle, le cospicue produzioni documentali della Difesa, del tutto ignorate, si chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Il P.G. della Corte di cassazione nella requisitoria scritta ex art. 611 cod. proc. pen. in data 20 gennaio 2024 ha chiesto annullarsi con rinvio il provvedimento impugnato, nei limiti di quanto chiesto nel ricorso.
L’Avvocatura erariale non risulta avere svolto difese nel giudizio di legittimità, mentre nel grado di merito non si era opposta alla liquidazione secondo equità (se ne dà atto alla p. 2 dell’ordinanza impugnata).
IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato e deve essere accolto, per le seguenti ragioni.
In effetti, dall’accesso diretto agli atti (consentito, lamentandosi vizio procedurale: ex plurimis, Sez. 1, n. 8521 del 09/01/2013, Chahid, Rv. 255304) emerge che nel grado di merito era stata illustrata e prodotta l’ampia documentazione che è nuovamente allegata al ricorso. Si tratta, come accennato nel “ritenuto in fatto” (sub n. 2): di numerosi articoli di stampa nazionale idonei a dimostrare la ampia diffusione che ha avuto la notizia dell’arresto di NOME COGNOME ed il conseguente nocumento all’immagine dello stesso; di consulenze di parte e di varia documentazione sanitaria utili a comprovare le gravi conseguenze psicologiche patite dall’indagato; e di una relazione tecnica redatta da professionista sull’andamento commerciale della società gestita dal ricorrente prima e dopo la privazione della libertà; tutti documenti idonei a comprovare, in tesi di parte ricorrente, ulteriori danni patiti per effetto della ingius carcerazione.
La totale pretermissione di ogni valutazione da parte della Corte territoriale nel giudizio di merito, non essendovi al riguardo alcun cenno in motivazione, impone l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla quantificazione dell’indennizzo.
P.Q.M.
Annulla GLYPH l’ordinanza GLYPH impugnata GLYPH limitatamente GLYPH alla GLYPH quantificazione dell’indennizzo e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, alla Corte di appello di Catanzaro.
Così deciso il 22/02/2024.