Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20217 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20217 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESAGNE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/10/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG il quale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di Appello di Lecce, con ordinanza in data 27 ottobre 2023, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata dall’odierno ricorrente COGNOME NOME in relazione alla detenzione sofferta in carcere dal maggio 2012 fino al 20/06/2013 in relazione a ipotesi di partecipazione ad associazione criminosa della RAGIONE_SOCIALE e ad un episodio di estorsione aggravata ai danni di un ristoratore pugliese, fatti per i quali il giudice di legittimità aveva annullato senza rinvio l’ordinanza del Tribunale del Riesame del Tribunale di Lecce e, nel giudizio di merito, lo stesso Tribunale di Lecce aveva assolto lo COGNOME dal delitto associativo e infine la Corte di Appello di Lecce aveva definitivamente assolto lo COGNOME anche dalla fattispecie estorsiva, dopo che i fatti erano stati riqualificati, dalla stessa Corte di appello, in truffa aggravato, all’esito di ulteriore annullamento con rinvio del giudice di legittimità.
2. La Corte di appello di Lecce, adita con la richiesta di riparazione per la ingiusta detenzione, rilevava che il ricorrente aveva concorso a dare causa alla detenzione in ragione di una condotta improntata ad imprudenza in quanto, pure assolto dai reati ascritti, aveva concorso a creare l’apparenza di una condotta estorsiva ai danni del ristoratore, sebbene quest’ultimo non avesse mai ammesso che il versamento della somma di denaro corrisposta allo COGNOME (mille euro). Nonostante le alterne vicende della fase cautelare e di quelle del giudizio di merito, che aveva infine condotto alla assoluzione dello COGNOME, il giudice distrettuale riconosceva una sostanziale contraddittorietà degli elementi indiziari i quali, al momento dell’adozione della misura, erano tali da fare apprezzare il carattere indebito RAGIONE_SOCIALE richieste patrimoniali rivolte dallo COGNOME all’amico ristoratore, mentre l’assoluzione per l’episodio contestato a titolo di estorsione aggravata, era dipesa da una valutazione di carattere processuale sulla veste assunta dall’accusatore COGNOME, quale soggetto estraneo alla vicenda processuale e quindi capace di testimoniare, ovvero quale imputato di reato connesso (il delitto associativo), le cui dichiarazioni andavano misurate con il metro di cui all’art.192, comma 3, cod.proc.pen. e quindi, a prescindere dal loro valore indiziante, necessitavano di riscontri ai fini di una pronuncia di condanna.
In tale situazione di incertezza riteneva che la condotta serbata dal ricorrente integrava gli estremi della colpa grave ostativa alla riparazione in quanto lo COGNOME, già condannato nell’anno 2002 per l’appartenenza ad una associazione per delinquere di stampo mafioso, si era rivolto ad un commerciante con modalità certamente poco amichevoli, per conseguire una somma di denaro, tenuto altresì conto che la versione della persona offesa, sul fatto che la dazione fosse riconducibile ad un prestito e che lo stesso era stato restituito, era risultata tardiva e poco attendibile.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, COGNOME NOME assumendo violazione di legge e vizio motivazionale per avere il provvedimento impugnato travalicato il perimetro valutativo assegnato al giudice della riparazione; in particolare lamenta che, al fine di escludere la riparazione, la Corte di appello aveva utilizzato argomenti indiziari, valorizzati dal giudice della cautela, senza considerare che i fatti, posti a fondamento della misura, erano stati esclusi dapprima in fase cautelare, successivamente nel giudizio di merito che, per quanto riguarda il delitto associativo, era risultato assolutorio mentre, in relazione al delitto di estorsione, il giudice della riparazione aveva omesso di considerare che fin dalla prima sentenza di annullamento da parte del giudice di legittimità, una volta svolte le indagini difensive mediante le informazioni assunte dalla asserita persona offesa, era stata evidenziata l’inosservanza del canone ermeneutico di cui all’art.192 comma 3 cod.proc.pen. e tale inosservanza aveva dapprima determinato la revoca della misura e la rimessione in libertà del prevenuto e, in sede di merito, l’assoluzione dello stesso. Le valutazioni operate pertanto dal giudice distrettuale non erano intervenute ex ante e in concreto, come richiesto per l’accertamento della ricorrenza di colpa grave ai sensi dell’art.314 comma 1 cod.proc.pen. al fine di escludere il diritto del cautelato ad ottenere la riparazione per ingiusta detenzione, ma attraverso una postuma rivisitazione del patrimonio indiziario esistente al momento dell’adozione della cautela, non considerando che gli elementi di fatto posti a fondamento del titolo cautelare erano risultati modificati, neutralizzati e ritenuti insussistenti nella fase del giudizio di merito.
Il Sostituto Procuratore generale ha concluso chiedendo pronunciarsi l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’inferenza del giudice della riparazione, che ha riconosciuto la ipotesi ostativa della colpa grave in capo al ricorrente, appare argomentata in termini talmente illogici e contraddittori rispetto agli argomenti posti a presidio dell’esito assolutorio del giudizio di merito da giustificare l’annullamento e il nuovo esame della pretesa indennitaria.
In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, al fine di stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, onde accertare – con valutazione necessariamente “ex ante” e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale .
2.1 Ai medesimi fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase RAGIONE_SOCIALE indagini, alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (cfr. sez. 4 n. 19180 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266808; n. 41396 del 15.9.2016, COGNOME, Rv.268238).
2.2 Quanto alla natura del comportamento ostativo, lo stesso può essere integrato anche dalla condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (cfr. sez. 4 n. 45418 del 25/11/2010, Rv. 249237; n. 37528 del 24/06/2008, Rv. 241218).
Tanto premesso, deve rilevarsi che il percorso argomentativo seguito dal giudice della riparazione non appare coerente con i principi di diritto testé richiamati). Invero, ai fini del riconoscimento della colpa grave ostativa al diritto alla riparazione il giudice distrettuale valorizza l’elemento della chiamata di correo da parte del COGNOME, in assenza di una adeguata contestualizzazione dello stesso con le originarie contestazioni mosse al prevenuto ed alle valutazioni operate dai giudizi di merito per escluderne la valenza indiziante.
Sotto un primo profilo il giudice della riparazione omette totalmente di considerare il dato, pure riconosciuto nella premessa in fatto della motivazione che, in relazione ad entrambe le contestazioni mosse allo COGNOME il giudice della cautela (a seguito di annullamento RAGIONE_SOCIALE relative statuizioni), ha escluso la gravità indiziaria di talchè il titolo cautelare era stato annullato.
Il giudice distrettuale ha pertanto omesso pertanto di valutare, alla stregua dei profili denunciati dal ricorrente, se la richiesta indennitaria sia stata avanzata soltanto per profili di ingiustizia sostanziale, ovvero anche in relazione a profili di ingiustizia formale, in ragione dell’annullamento dell’ordinanza dispositiva da parte del giudice di legittimità (annullamento senza rinvio) per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, onde verificare se, del caso, possa riconoscersi rilievo sinergico alla condotta serbata dal cautelato in quanto improntata a colpa, nei limiti in cui la pronuncia assolutoria sia intervenuta sulla base di una piattaforma probatoria ulteriore rispetto agli elementi già considerati nella fase incidentale cautelare (sul punto sez.4, n.28599 del 16/04/2009, Fortunato Rv.244686; sez.U, n.32383 del 27/05/2010, COGNOME Rv.247663; sez.4, n.26261 del 23/11/2016, RAGIONE_SOCIALE, Rv.270099; n.16175 del 22/04/2021, COGNOME, Rv.281038), che aveva escluso la gravità indiziaria.
3.1 Sotto un diverso profilo la Corte di Appello di Lecce omette totalmente di confrontarsi con l’esito del giudizio di merito, e pertanto, anche in relazione alla fattispecie estorsiva (e sempre che la cautela sia stata disposta anche per detto titolo), non risulta adeguatamente delineata né la materialità della condotta colposa riconosciuta allo COGNOME, né il rilievo causale che la stessa possa avere svolto ai fini dell’adozione e al mantenimento della custodia cautelare in carcere, laddove la Corte di appello non risulta avere separato i diversi piani di giudizio della ricorrenza di gravi indizi di reato ai fini della adozione della misura cautelare, piano del tutto estraneo al presente giudizio riparatorio, rispetto a quello di una condotta colposa riferibile allo COGNOME che avrebbe concorso sinergicamente alla adozione della misura. Nella valutazione del giudice distrettuale i due piani finiscono per coincidere, in presenza di un quadro indiziario che avrebbe giustificato l’adozione della misura. Invero il giudice della riparazione non può limitarsi a sostenere, come invece ha fatto, che la valutazione del comportamento del ricorrente, integrante la colpa grave ostativa alla liquidazione della indennità per la ingiusta detenzione, deve essere svolto ex ante e a prescindere dall’esito del giudizio di merito,
atteso che, se il giudizio riparatorio si limitasse a tale accertamento, si stempererebbe in una valutazione prognostica, assimilabile a quella del giudice del riesame, sulla ricorrenza dei gravi indizi di colpevolezza, e senza considerare che i fatti, già sottoposti alla valutazione del giudice della cautela, potrebbero risultare incompleti, erronei, contraddittori o anche falsi. Invero la valutazione riservata al giudice della riparazione non ha per oggetto né la sentenza assolutoria, che ha definito il giudice di merito, né la misura cautelare che ha disposto la privazione della libertà personale dell’indagato, bensì la condotta di quest’ultimo, antecedente oppure coeva all’adozione della cautela e alla luce RAGIONE_SOCIALE emergenze acquisite nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini, sempre che tali emergenze non siano state escluse o neutralizzate nel giudizio assolutorio, in quanto se così non fosse, verrebbe meno il presupposto ostativo e cioè una condotta riferibile all’indagato caratterizzata da grave imprudenza o da non trascurabile leggerezza non trascurabile. Invero il Supremo Collegio ha precisato che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla ricorrenza di un errore giudiziario, venendo in considerazione soltanto l’antinomia strutturale tra custodia ed assoluzione, ovvero quella funzionale tra la durata della custodia e la misura della pena, con la conseguenza che tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi ingiusta, in quanto l’incolpato non vi abbia dato causa o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacchè altrimenti l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che fonda l’istituto (S.U. n.51779 del 28.11.2013, Nicosia Rv 257606).
4. Il giudice della riparazione, nella specie, ha pertanto confuso il piano della cautela e RAGIONE_SOCIALE contestazioni di cui al capo di imputazione, rispetto a quello che è emerso all’esito RAGIONE_SOCIALE varie fasi del giudizio, ove tali accuse sono risultate progressivamente private del crisma della gravità indiziaria (il giudice di legittimità ha annullato senza rinvio le ordinanze del Tribunale del Riesame), per essere infine ritenute infondate all’esito del giudizio sulla responsabilità.
Ha inoltre fatto coincidere la colpa dell’indagato con lo stesso contenuto RAGIONE_SOCIALE contestazioni originariamente formulate, quantomeno in relazione alla ipotesi di estorsione, senza considerare che già nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini preliminari la persona offesa aveva sostanzialmente escluso la illiceità della condotta serbata dallo COGNOME, la quale pertanto andava valutata anche con la lente d’ingrandimento di tutte le circostanze del caso
concreto e della stessa sentenza assolutoria che poneva in rilievo i dubbi interpretativi sulla valenza probatoria RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del COGNOME.
4.1 Invero perché la condotta dell’imputato possa essere considerata ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, è indispensabile non solo che si tratti di una condotta scorretta o imprudente, ma che ricorra anche il rapporto sinergico di causa ed effetto tra condotta e detenzione, con conseguente obbligo di motivazione del giudice di merito ai riguardo sez. 4, n.1705 del 10/03/2000, Revello, Rv.216479; sez.4, n.43457 del 29/09/2015, COGNOME, Rv.264680). In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la condotta dolosa o gravemente colposa di cui all’art. 314 cod. proc. pen. costituisce una condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione solo qualora sussista un apprezzabile collegamento causale tra la condotta stessa e la custodia cautelare, in relazione sia al suo momento genetico sia al suo mantenimento, e non può essere desunta da semplici elementi di sospetto (sez.3, 45593 del 31 Gennaio 2017, COGNOME, Rv.271790; sez.4, n.10793 del 19/12/2019, COGNOME, Rv.NUMERO_DOCUMENTO).
L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata, con rinvio alla Corte territoriale per un nuovo esame che tenga conto dei principi di diritto sopra richiamati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte d’Appello di Lecce.
Così deciso in Roma il 13 Febbraio 2024
Il Consigliere estensore
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Il Preside te