Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37530 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37530 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/11/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Bologna il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/05/2025 della Corte di appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 27 maggio 2025, depositata il 25 giugno 2025, la Corte di appello di Milano – decidendo in sede di rinvio a seguito dell’annullamento disposto da Sez. 4, n. 13411 del 27/02/2024 di precedente ordinanza del 7 luglio 2023 che aveva parzialmente accolto, non avendo riconosciuto l’ulteriore indennizzo per i danni patrimoniali, la domanda di riparazione per ingiusta detenzione patita dal ricorrente in regime di custodia cautelare carceraria dal 17 dicembre 2016 al 23 dicembre 2016 e quindi agli arresti domiciliari dal 23 dicembre 2016 al 30 dicembre 2016 in forza dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza disposta in relazione ai reati di riciclaggio e di associazione a delinquere, per i quali il tribunale del riesame aveva
annullato l’ordinanza cautelare e il giudice per le indagini preliminari aveva disposto l’archiviazione del procedimento – ha nuovamente rigettato la richiesta di ulteriore indennizzo per i danni patrimoniali.
2 Ricorre avverso l’ordinanza indicata il difensore dell’istante, affidandosi ad un unico motivo con il quale lamenta vizio di motivazione per il travisamento delle prove e contraddittorietà ed illogicità della motivazione.
2.1 Deduce il ricorrente che la Corte di appello – tenuta a valutare, in esito all’annullamento con rinvio disposto dalla Quarta Sezione di questa Corte la consulenza medico-legale a firma del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO COGNOME ai fini del riconoscimento dell’indennizzo per i danni patrimoniali subiti – ha espresso una valutazione tecnica delle modalità e dei contenuti della consulenza stessa ben al di fuori delle proprie competenze e senza il supporto di un perito.
Si evidenzia che la relazione del medico (denominata “valutazione clinica e medico-legale relativa alle conseguenze psichiche degli eventi traumatici subiti…») si suddivide in una premessa, che riassume la vicenda relativa alla detenzione del ricorrente, in una parte che evidenzia quanto emerso dall’analisi condotta dallo specialista in merito alla esperienza traumatica vissuta ed alle successive conseguenze – necessariamente basata sul racconto reso dal medesimo, ed infine sulle considerazioni conclusive, in cui vengono riportati i relativi danni, che lo specialista individua in danno biologico di natura psichica e danno esistenziale.
Il primo – ossia il danno biologico di natura psichica – viene quantificato con una riduzione delle capacità socio-lavorative attorno all’8-12% del totale e ad esso si affianca il secondo danno, ossia quello esistenziale.
Questi elementi, non riconoscendo il danno patrimoniale, sono stati travisati dalla Corte di appello che è partita da presupposti e valutazioni di partenza errati, che hanno finito con il confermare (indirettamente) quanto già liquidato con la prima ordinanza (sul punto non cassata) che ha riconosciuto un indennizzo contenuti in parametri standard.
Citando giurisprudenza in tema di ingiusta detenzione, si chiede l’annullamento dell’impugnata ordinanza.
3 Ha presentato requisitoria scritta il Sost. Procuratore generale che ha chiesto il rigetto del ricorso.
3.1 Richiamando Sez. 4, n. 10690 del 25/02/2010, Rv. 246424 – 01 si rappresenta che il controllo sulla congruità della somma liquidata a titolo di riparazione è sottratto al giudice di legittimità che può solo verificare se il giudi di merito abbia logicamente motivato il suo convincimento e che nel caso di specie la Corte territoriale, a seguito dell’annullamento disposto da questa Corte, ha con ampia motivazione, esente da vizi logici, ritenuto non sussistente l’invocato danno
alla salute, per cui risulta correttamente applicato il principio enunciato da Sez. 4, n. 30578 del 07/06/2016, Rv. 267543 – 01.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In via preliminare ed assorbente va rilevato che il ricorso proposto è tardivo.
1.1 II termine per la proposizione del ricorso per cassazione, avverso l’ordinanza che decide sulla domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione è, ai sensi dell’art. 585, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., di quindici giorni, ch decorrono dalla notifica della predetta ordinanza conclusiva del procedimento, al quale, ancorché concernente l’esistenza di una obbligazione pecuniaria nei confronti del soggetto colpito da custodia cautelare, si applicano le norme del codice di rito penale. (Sez. 3, n. 26370 del 25/03/2014, COGNOME, Rv. 259187 – 01).
1.2 Nel caso che occupa, l’ordinanza della Corte di appello di Milano, a scioglimento della riserva assunta nella camera di consiglio del 27 maggio 2025, è stata depositata in Cancelleria il 25 giugno 2025 e in quella stessa data è stata regolarmente notificata a mezzo PEC al difensore di fiducia e all’imputato, elettivamente domiciliato presso il primo, per cui è da tale data che deve farsi decorrere il termine di quindici giorni per la proposizione del ricorso, che quindi scadeva il 10 luglio 2025.
1.3 A fronte della scadenza del termine al 10 luglio 2025, il difensore ha proposto ricorso per cassazione il 11 luglio 2025, come risulta dal timbro apposto dalla Cancelleria della Corte di appello di Milano sulla prima pagina del ricorso, in cui si dà atto del pervenimento dell’atto in quella data, nonché nella nota di trasmissione.
1.4 Ne deriva che il ricorso in esame deve ritenersi proposto tardivamente, essendo il termine già scaduto il giorno precedente rispetto a quello in cui l’atto di impugnazione risulta depositato, con conseguente inammissibilità del ricorso.
In ogni caso il ricorso è manifestamente infondato e dunque inammissibile anche per le ragioni di seguito esplicitate.
2.1 Posto che, in ossequio a quanto affermato da questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, deve escludersi che tra le conseguenze ulteriori indennizzabili possa essere ricompresa una voce a titolo di danno esistenziale, perché il pregiudizio che con questa tipologia di danno non patrimoniale viene evidenziato non è diverso ed autonomo da quello conseguente alla stessa privazione della libertà personale, di per sè idonea, da sola, a sconvolgere per un periodo consistente le abitudini di vita della persona (Sez. 4, n. 6913 del 12/02/2021, NOME, Rv. 280545 – 01), va tenuto presente che è del
tutto irrilevante, ai fini della quantificazione dell’indennizzo, il disagio che la pa abbia subito in conseguenza della vicenda giudiziaria e dei tempi del procedimento penale, e ciò in quanto la somma dovuta dallo Stato in base all’art. 314 cod. proc. pen. deve essere commisurata alla durata della ingiusta detenzione e non a quella della vicenda processuale (in questo senso, Sez. 4, n. 30578 del 07/06/2016, Lombardo, Rv. 267543 – 01).
2.2 Nel caso in esame, non si può muovere alcuna censura ai giudici della Corte di appello di Milano che hanno escluso, con motivazione immune da vizi logici oltre che adeguata e conforme alle norme in tema, la maggiorazione dell’indennizzo per i danni non patrimoniali, considerando attentamente la consulenza a firma del AVV_NOTAIO COGNOME, in ossequio a quanto stabilito in sede rescindente (che aveva annullato la precedente ordinanza nella parte relativa ai soli danni non patrimoniali, che erano stati tout court esclusi, omettendo tuttavia di valutare la relazione tecnica) e rilevando che i danni psicologici e quelli più in generale alla salute erano stati solo riferiti ma giammai documentati da qualche certificazione medica (cfr pag 3 penultimo periodo) che potesse darne riscontro, e che tutti i racconti riportati nella consulenza (anch’essi solo riferit quali la paura di essere perseguitato dalla giustizia, l’ansia per la pendenza giudiziaria, il timore di poter essere di nuovo indagato, attenevano tutti alla pendenza del procedimento (che si è concluso con richiesta di archiviazione) e non all’ingiusta detenzione patita (per un periodo di circa quindici giorni).
Tale motivazione, rispetto alla quale la parte non si confronta efficacemente, continuando ad insistere nella propria richiesta di liquidazione, fa corretta applicazione dei principi di diritto sopra esposti, con conseguente inammissibilità, anche sotto questo profilo, del ricorso proposto.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere per il ricorrente del pagamento delle spese del procedimento nonché, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 05/11/2025