Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 25009 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 25009 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI PALERMO e MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE C/ COGNOME NOME nato a PALERMO il 03/12/1985
avverso l’ordinanza del 31/01/2025 della CORTE APPELLO di PALERMO
iette le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME Di udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Palermo, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha parzialmente accolto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta da NOME COGNOME condannando il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore dell’istante della somma di euro 300.000.
1.1. COGNOME era stato sottoposto a misura cautelare, con ordinanza del Gip del Tribunale di Palermo del 13 marzo 2017, in quanto gravemente indiziato, in concorso con altri, del delitto di omicidio pluriaggravato un danno dell’avv. NOME COGNOME.
1.2. La Corte di Assise di Palermo, con sentenza del 23 marzo 2020, lo aveva assolto ai sensi dell’art. 530 comma 2 cod. proc. pen. per non aver commesso il fatto, disponendo la sua immediata liberazione se non detenuto per altra causa. La Corte di Assise di appello di Palermo, su impugnazione del Pubblico Ministero, aveva confermato la sentenza assolutoria, divenuta irrevocabile I’l novembre 2023.
Avverso detta ordinanza hanno proposto ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo e il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
2.1. Il ricorso del Procuratore Generale si è articolato in due motivi.
2.1.1 Con il primo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza della condizione ostativa della colpa grave.
Il ricorrente censura:
(i) l’affermazione della ordinanza secondo cui neutro e irrilevante era il fatto, affermato dai giudici di merito, GLYPH che il Castronovo gravitasse nel medesimo contesto del coimputato condannato NOME COGNOME con il quale aveva praticato un pestaggio nei confronti di tal NOME COGNOME. Tale circostanza, ovvero il pestaggio a distanza di pochi mesi con modalità analoghe rispetto a quello per cui COGNOME era stato sottoposto a misura, aveva indotto i giudici della cautela ad applicare e mantenere la misura della custodia in carcere;
(ii) l’affermazione dell’ordinanza secondo cui irrilevante era il fatto, riferito dal collaboratore NOME COGNOME, che inizialmente COGNOME fosse stato incaricato di procurare una mazza da utilizzare per l’aggressione in danno dell’avv. COGNOME. Tale circostanza, secondo il ricorrente, valeva a confermare il coinvolgimento di COGNOME nella ideazione ed esecuzione di azioni violente;
(iii) l’affermazione dell’ordinanza secondo cui irrilevante era il fatto, riferito dal collaboratore NOME COGNOME, che COGNOME avesse partecipato, insieme a COGNOME, COGNOME e allo stesso COGNOME, dopo l’omicidio dell’avv. COGNOME ad un
GLYPH
sopralluogo sul luogo del delitto. Tale circostanza, secondo il ricorrente, valeva a provare relazioni a dir poco equivoche intrattenute da Castronovo.
La Corte della riparazione aveva omesso di motivare in ordine alle indicazioni relative alla partecipazione di Castronovo alla aggressione ai danni di COGNOME contenute nella memoria del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 13 settembre 2014, in cui si dava atto che tale vicenda era stata contestata a Castronovo 1’8 novembre 2017, nel corso dell’esame dibattimentale e che le risposte di Castronovo erano state inverosimili.
Infine, il dialogo intercettato il 21 novembre 2015, nel corso del quale Castronovo, parlando con la cugina, aveva affermato “me la sono scansata”, come ad indicare di essere riuscito ad eludere le investigazioni, se non valeva a documentare la confessione, configurava comunque millanterie criminali macroscopicamente imprudenti relative ad un delitto che aveva provocato gravissimo allarme sociale.
2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione e il travisamento della prova riguardo alle statuizioni in merito all’indennizzo riconosciuto al coimputato COGNOME a titolo di riparazione per ingiusta detenzione.
La Corte di appello aveva affermato che la posizione del coimputato COGNOME cui l’indennizzo era stato riconosciuto in via definitiva (a seguito dell dichiarazione di inammissibilità del ricorso della Procura Generale da parte della Corte di Cassazione), e quella di Castronovo erano coincidenti ed era incorsa così in un vero e proprio travisamento: in quella diversa sede processuale, infatti, non erano stati valutati elementi di prova ulteriori rispetto alle accuse formulate dal collaboratore NOME COGNOME e al contenuto di una singola conversazione fra COGNOME e la moglie. Nell’ordinanza della Corte di appello, relativa a quel giudizio di riparazione, non vi era alcun cenno all’appartenenza di C6cco allo stesso gruppo di Abbate e al sopralluogo effettuato sul luogo dell’agguato. L’affermazione secondo cui la statuizione ormai irrevocabile nel giudizio di riparazione del COGNOME fa stato nel presente procedimento, almeno in relazione alle ragioni sottese al riconoscimento dell’indennizzo, è, all’evidenza, infondata.
2.2 Il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze si è articolato in tre motivi.
2.2.1. Con il primo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza della condizione ostativa della colpa grave.
Secondo il Ministero ricorrente la Corte della riparazione, nell’affermare che tutti gli elementi posti a fondamento del titolo cautelare non avevano retto al vaglio dibattimentale, avrebbe sovrapposto il piano della responsabilità penale a quello della concausazione colposa dello stato di detenzione. La Corte, inoltre, nell’esaminare le singole condotte del Castronovo evidenziate dal Ministero nella
memoria di costituzione, avrebbe GLYPH omesso di operare una loro valutazione complessiva. Le censure del Ministero, nel dettaglio, sono incentrate sugli stessi passaggi dell’ordinanza impugnata già fatti oggetto delle doglianze su indicate di cui al primo motivo del ricorso del Procuratore Generale.
Infine, il dialogo intercettato il 21 novembre 2015, nel corso del quale Castronovo, parlando con la cugina, aveva affermato “me la sono scansata”, come ad indicare di essere riuscito ad eludere le investigazioni, se non valeva a documentare la confessione, configurava comunque millanterie criminali macroscopicamente imprudenti relative ad un delitto che aveva provocato gravissimo allarme sociale.
L’istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione si fonda necessariamente su motivi esclusivamente personali e non può essere accolta quando emergano condotte colpose e dolose dell’istante che abbiano concausato la restrizione della libertà.
2.2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge. Il Ministero rileva che la Corte della riparazione aveva affermato l’efficacia di giudicato, nel giudizio concernente il Castronovo delle statuizioni relative alla riparazione per l’ingiusta detenzione relative al computato COGNOME in assenza di qualsivoglia base normativa. Ai sensi dell’art. 2909 cod. civ., infatti l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto fra le parti, i loro eredi o aventi causa. Pertanto l’ordinanza con cui è stato riconosciuto l’indennizzo a COGNOME non può in alcun modo fare stato nel procedimento relativo a Castronovo, soggetto che non era parte di tale procedimento riparativo, né è suo erede o avente causa. Dal punto di vista oggettivo, appare evidente che la situazione giuridica sulla quale si è pronunciata la Corte d’appello relativamente a Cocco è diversa, anche per concreto petitum e causa petendí, da quella azionata da Castronovo. Né vale richiamare l’art. 587 cod. proc. pen., a norma del quale nel caso di concorso di più persone in uno stesso reato l’impugnazione proposta da uno degli imputati, purché non fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri imputati, in quanto l’effetto di estensione è stato previsto dal legislatore per le sole impugnazioni e non si attaglia allo speciale rimedio di cui all’art. 314 cod. proc. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2.3. Con il terzo motivo, ha dedotto il vizio di motivazione sull’efficacia di giudicato delle statuizioni in merito all’indennizzo riconosciuto al coimputato COGNOME a titolo di ingiusta detenzione. Il ricorrente ribadisce che la posizione d Castronovo era differente rispetto a quella di COGNOME: il primo, infatti, a differenza del secondo, apparteneva al medesimo contesto del coimputato, autore materiale dell’omicidio, NOME COGNOME e aveva partecipato unicamente al medesimo e a NOME COGNOME al pestaggio di COGNOME NOME nella sua dinamica molto simile
al pestaggio dell’avv. COGNOME inoltre, aveva preso parte alla già menzionata conversazione con la cugina nel corso della quale si era prodigato in millanteria criminali macroscopicamente imprudenti.
3.11 Procuratore generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
Il difensore di Castronovo, in data 20 giugno 2025, ha depositato memoria con cui ha chiesto l’inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso d Procuratore Generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere, nel complesso, rigettati.
La Corte di appello nell’ordinanza impugnata ha dato atto, in premessa, che l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti del richiedente la riparazione era stata fondata sul seguente compendio:
-dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME il quale aveva riferito che la sera dell’omicidio COGNOME, suo fraterno amico, si era recato a cena a casa sua con gli abiti intrisi di sangue e gli aveva confessato di aver partecipato, insieme a NOME COGNOME, ad un violento pestaggio dell’avv. COGNOME dal quale ne era derivata la morte;
dichiarazioni rese dalla moglie di COGNOME, NOME COGNOME la quale aveva confermato il fatto che Castronovo si era presentato nella loro abitazione con gli abiti intrisi di sangue;
conversazione ambientale del 21 novembre 2015 in cui Castronovo, parlando in macchina in movimento con la cugina NOME, aveva affermato “me la sono scansata”, come ad indicare che fosse riuscito ad eludere le investigazioni.
Tali elementi -ha osservato la Corte- non avevano retto al vaglio dibattimentale e in specie in esito alle dichiarazioni del coimputato NOME COGNOME il quale aveva accusato se stesso e NOME COGNOME dell’omicidio del professionista e, nel contempo, scagionato sia Castronovo, sia COGNOME. Le sentenze di merito avevano messo in dubbio la credibilità di COGNOME e avevano escluso che il contenuto della intercettazione ambientale valesse a dimostrare la responsabilità di Castronovo, non potendosi attribuire al frammento discorsivo, di incerta interpretazione, alcun univoco valore confessorio.
Secondo i giudici, dalle sentenze di merito non era possibile enucleare una condotta colposa di Castronovo sinergica rispetto all’adozione della misura e perciò ostativa al diritto alla riparazione, neppure in forma lieve.
In tale prospettiva dovevano essere considerate circostanze neutre sia il fatto che COGNOME gravitasse nel medesimo contesto criminoso del coimputato condannato NOME COGNOME come emerso dal pestaggio compiuto ai danni di tale COGNOME NOME ordito da COGNOME, sia il fatto che COGNOME, secondo le dichiarazioni di COGNOME, fosse stato inizialmente incaricato di procurare la mazza per l’aggressione all’avv. COGNOME che successivamente era stata reperita dallo stesso Siragusa; ad analoga conclusione doveva pervenirsi riguardo all’ulteriore rilievo che COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, secondo quanto riferito da quest’ultimo, dopo l’omicidio si erano recati sul luogo dell’ aggressione per verificare l’eventuale presenza di telecamere e alla giustificazione scarsamente convincente offerta dall’ imputato a proposito della frase pronunciata nella conversazione ambientale con la cugina.
La Corte, inoltre, come rilevato in entrambi i ricorsi, ha anche richiamato altra precedente ordinanza con cui al coimputato COGNOME era stata riconosciuto l’indennizzo per l’ingiusta detenzione subita, affermando che le posizioni dei due erano sostanzialmente coincidenti e che, dunque, la statuizione irrevocabile che aveva riguardato COGNOME non poteva che fare stato anche nel presente procedimento almeno in relazione al riconoscimento dell’indennizzo e all’assenza di qualsivoglia colpa sinergica in capo al ricorrente.
Così riassunta la motivazione, si osserva che la decisione impugnata non può essere censurata, pur dovendosi rettificare, in alcuni passaggi il percorso argomentativo adottato.
Colgono nel segno il secondo motivo del ricorso del Procuratore Generale e il secondo e il terzo motivo del ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, nel rilevare l’erroneità dell’affermazione secondo cui la precedente ordinanza della Corte, che aveva accordato l’indennizzo al coimputato nel medesimo reato NOME COGNOME avendo riguardo ad una posizione sovrapponibile a quella del Castronovo, doveva fare stato nel presente procedimento, vincolando, pertanto, ad adottare analoga statuizione.
Come ha osservato il Ministero ricorrente, l’ordinanza emessa nell’ambito del procedimento, di connotazione civilistica, di riparazione nei confronti di un soggetto, pur se coindagato per lo stesso reato, non può espletare alcuna efficacia di giudicato in altro procedimento attivato dalla domanda di un altro soggetto, né in ordine all’an della domanda, né in ordine al quantum. La asserita
vincolatività della precedente statuizione, invero, difetta di qualsiasi base normativa e, sul piano logico, è contraddetta dalla stessa natura dell’istituto della riparazione, come concepito dal legislatore. In tale senso è sufficiente ricordare che, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., colui che è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, sempre che non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave: l’accoglimento o meno della domanda dipende, dunque, da circostanze riconducibili alla persona del singolo richiedente senza che possa essere invocato alcun effetto estensivo.
A prescindere dal fatto che, nel caso di specie, la situazione dei due indagati non era sovrapponibile, in quanto l’adozione della misura cautelare nei loro confronti era stata fondata su elementi differenti, così come differenti erano state le risultanze dell’istruttoria, per le loro posizioni, nei processi di merito, in o caso dirimente è il principio generale per cui l’ ordinanza ex art. 314 cod. proc. pen. emessa nei confronti di un soggetto richiedente la riparazione non può esplicare efficacia di giudicato nel procedimento riguardante un diverso soggetto istante.
5. Pur a fronte di tali rilievi, a seguito della doverosa prova di resistenza, volta a verificare se gli ulteriori elementi valutati a fondamento dell’accoglimento della richiesta siano sufficienti a sostenere la decisione impugnata (in ordine alla legittimità della prova di resistenza in tema di riparazione per ingiusta detenzione si veda Sez. 4, n. 37200 del 14/06/2022, G. Rv. 283557 – 01), il collegio ritiene che il percorso argonnentativo della Corte resista alle censure di cui al primo motivo di entrambi i ricorsi, da ritenersi infondati.
5.1. Il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese Rv. 259082). Pertanto, in sede di verifica della sussistenza di un comportamento ostativo al riconoscimento del diritto alla riparazione, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma ‘solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare un grave quadro indiziario nei suoi confronti. Si tratta dì
una valutazione che ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo ed è volta a verificare: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv.247663). Ai medesimi fini, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purché i fatt essi desumibili non siano espressamente esclusi in dibattimento e apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti tali elementi, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, non è censurabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 27458 del 5/2/2019, NOME COGNOME, Rv. 276458). Ai fini della condizione ostativa possono essere valorizzate condotte extraprocessuali del richiedente, o condotte endoprocessuali, purchè, in entrambi i casi, sia accertata la c.d. efficacia sinergica di tali condotte. In altri termi giudice della riparazione, in forza del meccanismo causale che governa la condizione ostativa, deve verificare che la condotta del soggetto istante, creando l’apparenza del reato per cui si procede, sia stata causa o concausa dell’intervento dell’autorità giudiziaria. In relazione ad uno dei temi sollecitati dai ricors questa Corte ha affermato la rilevanza anche delle frequentazioni ambigue con i soggetti condannati nel medesimo procedimento o in procedimento diverso, purché il giudice della riparazione fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate come indizi di complicità, così da essere poste quanto meno in una relazione di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, COGNOME, Rv. 282565; Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, Puro, Rv. 274498). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
5.2. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione di tali principi. In primo luogo, con valutazione non manifestamente illogica, ha ritenuto di non poter valorizzare ai fini della condizione ostativa l’affermazione effettuata dal COGNOME, nel corso del colloquio in macchina con la cugina, argomentando, da un lato, che non era stato accertato, a causa del rumore di sottofondo, quali fossero le parole pronunciate e il contesto al quale si riferivano e, dall’altro, che, di per se sola, tale affermazione non poteva avere avuto efficacia anche solo concausale rispetto alla adozione del provvedimento restrittivo. A tale motivazione, i ricorrenti non contrappongono ragioni in fatto o in diritto tali da scardinarne la tenuta logica, ma solo censure avversative.
Inoltre la Corte, nel non dare rilievo, ai fini della condizione ostativa, agli ulteriori comportamenti, che secondo i ricorrenti avrebbero dovuto essere
considerati come connotati da dolo e colpa grave (la partecipazione al pestaggio nei confronti di altra persona offesa, la disponibilità a reperire un bastone, la
partecipazione al sopralluogo sul luogo del delitto dopo la sua commissione), ha puntualizzato che gli stessi non potevano avere avuto efficacia sinergica rispetto
all’adozione della misura ( pag. 12). La motivazione dell’ordinanza, sotto tale dirimente aspetto, è aderente alle risultanze richiamate e conforme ai principi
sopra richiamati. Sia la Corte di appello, sia gli stessi ricorrenti hanno dato atto, infatti, che le circostanze su indicate erano emerse solo a dibattimento, attraverso
le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME e non erano state, perciò, portate alla conoscenza del giudice della cautela. Questi, come detto, nell’adottare
la misura cautelare, si era basato su un compendio indiziario formato essenzialmente dalle accuse del coimputato COGNOME e della moglie di questi,
ritenute non attendibili dai giudici di merito, oltre che sulla conversazione ambientale richiamata, di incerto significato. Ne consegue che quei
comportamenti, ignoti al giudice della cautela, non potevano essere valorizzati ai fini della condizione ostativa alla riparazione, in quanto non avevano esercitato alcuna efficacia causale o anche solo concausale rispetto al provvedimento restrittivo adottato.
6.AI rigetto del ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta i ricorsi del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo e del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese processuali
Deciso il 24 giugno 2025