Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 8310 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 8310 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
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NOME nato a PALERMO il 29/05/1990
avverso l’ordinanza del 04/06/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, il quale ha chiesto l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato;
letta la memoria depositata dalla parte resistente, che ha concluso per il rigetto del ricorso,
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RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha parzialmente accolto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME in relazione alla misura cautelare degli arresti domiciliari applicata dal GIP presso il Tribunale di Palermo – per il delitto di estorsione aggravata dal fine di agevolazione di associazione mafiosa – nel periodo compreso tra il 23/06/2020 e il 16/05/2023 (per 1.057 giorni complessivi), data dalla quale gli effetti della misura stessa erano cessati a seguito della sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di appello di Palermo, con pronuncia divenuta irrevocabile.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha premesso – in punto di fatto – che, sulla base dell’originaria ipotesi accusatoria, il ricorrente era stato sottoposto a misura cautelare perché, operando quale intermediario e comunque quale soggetto a disposizione dei correi Liga e Taormina, aveva posto in essere atti di violenza e minaccia (manifestando la propria appartenenza all’associazione mafiosa denominata “Cosa Nostra”), costringendo l’imprenditore NOME COGNOME a consegnare una somma di denaro per una non meglio precisata “messa a posto” di un cantiere edile localizzato presso un residence sito in Palermo, INDIRIZZO; nello specifico, il giudice della cautela aveva ritenuto che l’Enea avesse fornito un contributo decisivo rispetto alla vicenda nella propria posizione di portiere dello stabile, ricadente nel mandamento mafioso di INDIRIZZO evidenziando che il ricorrente aveva concordato per conto del Taormina un appuntamento con il suddetto imprenditore; sottolineava che il GIP aveva specificamente valorizzato un’intercettazione ambientale del 29/12/2016, raccolta dopo l’incontro tra il COGNOME e un soggetto denominato “NOME” nei pressi dello stabile ove lavorava l’Enea, nella quale lo stesso COGNOME e il COGNOME avevano discusso in ordine al complesso dell’operazione estorsiva posta in essere nei confronti del suddetto imprenditore; evidenziando che, poco prima, il COGNOME avrebbe riferito allo stesso “NOME” i propositi di accaparramento dei lavori da parte di un certo “Messina” e che questi avrebbe assistito all’ordine dato al Taormina di convincere quest’ultimo a non ripresentarsi.
La Corte ha quindi esposto che, in sede di sentenza assolutoria, si era dato conto della mancanza di elementi decisivi per affermare che “NOME” si identificasse con l’NOME.
Ha quindi fatto riferimento all’accertata circostanza per la quale, il 09/01/2017, il Liga si era recato in INDIRIZZO alla ricerca del Puglisi
e che l’NOME aveva informato di tale fatto il Taormina, promettendogli di avvisarlo se l’imprenditore fosse giunto sui luoghi; circostanza in ordine all quale il giudice di appello aveva evidenziato che non potesse affermarsi con certezza che l’NOME avesse effettivamente interloquito in ordine all’operazione estorsiva.
Ha esposto che i giudici di appello avevano pure accertato che la telefonata dell’Enea, volta a comunicare l’arrivo in cantiere del Puglisi, e stata effettuata al Taormina il 14/01/2017; che, giunti sul luogo, il Liga e Taormina avevano appreso dall’Enea che il COGNOME era stato da lui ragguagliato sul fatto che i due lo stessero cercando e che, alla fine l’incontro era effettivamente avvenuto il 16/01/2017; ha esposto che, anche in relazione a tale interessamento, il giudice di appello aveva ritenuto non vi fosse prova in ordine alla consapevolezza dell’Enea in ordine all’intento estorsivo in capo al Liga e al Taormina.
Il Giudice della riparazione ha quindi ritenuto che, viste le considerazioni del giudice di merito in ordine al significato delle suddette comunicazioni, non potesse essere ascritto al ricorrente l’elemento ostativo del dolo o dell colpa grave.
Ha ritenuto, in riferimento alle argomentazioni della difesa erariale, che gli stretti e stabili rapporti con i mafiosi Liga e Taormina non potessero esser valutati nel senso suddetto, essendo emerso che i contatti già valorizzati da giudice della cautela potessero ragionevolmente essere ricondotti alle funzioni di portiere svolte dal ricorrente e, quindi, ritenuti al rango di me comunicazioni sulla assenza o presenza di terzi soggetti, in quanto tali non valutabili neanche sotto il profilo della colpa lieve.
In tema di liquidazione dell’indennizzo, la Corte ha valutato gli elementi rappresentati, da un lato, dal permanere dello stato di incensuratezza e, dall’altro, il patimento connesso alla perdita del posto di lavoro, ritenend quindi di quantificare il pregiudizio nella misura di € 135,00 per ogni giorno di restrizione, giungendo a una determinazione finale di € 142.695,00.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, articolando cinque motivi di impugnazione.
Con il primo motivo ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione dell’art.314 cod.proc.pen., determinat dall’erronea applicazione dei canoni di giudizio propri del processo penale in luogo di quelli civilistici in punto di accertamento dell’elemento ostativo dell colpa grave.
Ha dedotto che l’ordinanza impugnata – nel fare integrale rinvio alla pronuncia assolutoria – avrebbe ritenuto che l’infondatezza della prospettazione accusatoria avesse determinato, in base a un non consentito automatismo logico-giuridico, l’assenza di dolo o colpa grave in capo al ricorrente, facendo quindi applicazione indebita del criterio dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio”, anziché delle disposizioni processuali civilistiche.
Con il secondo motivo ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – l’omessa, contraddittoria e illogica motivazione in punto di applicazione degli artt. 314, 315 e 546 cod.proc.pen. in ordine alle condizioni che escludono la ricorrenza del dolo o della colpa grave.
Dichiarava di impugnare l’ordinanza nella stessa parte indicata nel motivo precedente, in quanto il provvedimento si era limitato a giustificare i presupposti per il riconoscimento dell’indennizzo sulla base dei medesimi elementi posti alla base della sentenza assolutoria, senza dare adeguatamente conto delle ragioni tali da escludere il dolo o la colpa grave.
Con il terzo motivo ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen. – il travisamento della prova per addizione o per commissione riguardo alla valutazione del comportamento dell’istante nel corso del procedimento penale.
Ha dedotto che la Corte avrebbe omesso di vagliare elementi decisivi nel senso della reiezione dell’istanza e aveva tratto dalla sentenza assolutoria un significato aggiuntivo e non desumibile dagli atti del processo.
Ha esposto che lo stesso giudice del merito aveva evidenziato gli stretti rapporti tra l’Enea con il Taormina e il Liga; che, anche nel giudizio di appello – pur non essendo stato ritenuto dimostrato un consapevole contributo dell’Enea rispetto all’estorsione – era stato accertato che questi aveva fissato un appuntamento tra i coimputati e la vittima, pur essendo consapevole della caratura mafiosa del Liga, già condannato per il reato previsto dall’art.416bis cod.pen.; ha dedotto che il giudice della riparazione aveva omesso di considerare che il ricorrente non avesse mai messo in dubbio la propria partecipazione rispetto alle conversazioni, elemento già posto alla base della misura cautelare.
Con il quarto motivo ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen. – la violazione degli artt. 314 cod.proc.pen. e 43 cod.pen., per erronea interpretazione del concetto di colpa grave.
Nel richiamare quanto già esposto nei precedenti motivi, ha censurato l’ordinanza nella parte in cui non aveva dato rilievo alla condotta connivente o contigua tenuta dall’istante, con specifico riferimento alla dimostrata
frequentazione ambigua con soggetti coinvolti in specifici procedimenti penali o coinvolti in traffici illeciti.
Con il quinto motivo ha dedotto – in relazione all’art.606, comma 1, lett.b) ed e), cod.proc.pen. – l’omessa motivazione in ordine alla riduzione dell’indennità per effetto di sussistenza di colpa lieve.
Ha dedotto che il giudice della riparazione non avrebbe motivato in ordine all’affermazione in base alla quale la condotta del ricorrente non sarebbe stata almeno sussumibile sotto l’ambito della colpa lieve, il tutt sulla base degli elementi di fatto già posti alla base dei precedenti motivi.
Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Il difensore dell’originario istante ha depositato memoria, nella quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo di ricorso, la difesa erariale ha sostenuto che il giudice della riparazione avrebbe indebitamente ricavato l’assenza del presupposto ostativo al riconoscimento dell’indennizzo, rappresentato dal dolo o dalla colpa grave dell’istante, sulla sola base del tenore del pronuncia di assoluzione; in tale modo, asseritamente, sovrapponendo la valutazione del predetto requisito ostativo alla sussistenza del ragionevole dubbio legittimante l’assoluzione in sede penale.
Il motivo è manifestamente infondato.
In punto di premessa, va ricordato che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, è tuttavia ispirato ai principi del processo civile, co conseguenza che l’istante ha l’onere di provare i fatti costitutivi de domanda (la custodia cautelare subita e la successiva assoluzione), mentre alla parte resistente incombe di provare il dolo o la colpa grave da part dell’istante medesimo quali causa o concausa del provvedimento restrittivo (Sez. 4, n. 18828 del 28/03/2019, COGNOME, Rv. 276261); e tutto ciò fermo restando che il giudice della riparazione, ai fini della valutazione del ricorrenza della colpa, ben può fare riferimento alla definizione generale contenuta nell’art.43 cod.pen., mancando nel codice civile una norma di
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tenore analogo, anche in riferimento ai criteri di gradazione dell’elemento soggettivo.
Deve quindi rilevarsi che il giudice della riparazione ha effettuato, sul piano concettuale, una ben chiara distinzione tra gli elementi fattuali post alla base della misura e la successiva valutazione operata della pronuncia assolutoria e ha ritenuto (specificamente alla pag.7) che tali presupposti, già costituenti fondamento della restrizione cautelare e per come valutati dal giudice del merito, non fossero idonei a concretizzare gli elementi ostativi del dolo o della colpa grave.
Così facendo, il giudice della riparazione ha tenuto ben distinto il piano della valutazione operata dal giudice del merito con quello proprio del procedimento di riconoscimento dell’indennizzo, non incorrendo quindi nella violazione di legge dedotta in sede di ricorso.
Dovendosi rammentare che i poteri di valutazione ex novo della vicenda cautelare da parte del giudice della riparazione incontrano il limite di no potere ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giud della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039).
La manifesta infondatezza del primo motivo induce a formulare analoga considerazione anche in riferimento al secondo motivo di ricorso, con il quale è stata lamentata – sulla base di coincidenti elementi di fatto – una dedott carenza motivazionale in punto di insussistenza del dolo o della colpa grave.
Rilevando che il giudice della riparazione ha dato specificamente atto (a pag.8 del provvedimento) degli elementi fattuali vagliati in sede di merito e proceduto alla loro espressa valutazione in ordine al giudizio imposto dall’art.314 cod.proc.pen..
Il terzo e il quarto motivo di ricorso possono essere congiuntamente esaminati, data la loro stretta connessione logica, avendo la difesa erarial assunto – nella narrativa sottesa a entrambe le censure – che il giudice dell riparazione non avrebbe, nello stretto merito, correttamente valutato la sussistenza del presupposto ostativo del dolo o della colpa grave, non valutando adeguatamente la comprovata frequentazione con soggetti coinvolti nella condotte illecite poste alla base dell’imputazione e, in og caso, la connivenza con i medesimi.
I motivi sono complessivamente infondati.
In ordine al primo profilo, questa Corte ha più volte ribadito che la frequentazione ambigua di soggetti coinvolti in traffici illeciti si pres
oggettivamente ad essere interpretata come indizio di complicità e può, dunque, integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione (Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, dep. 2022, COGNOME Rv. 282565; Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, Puro Rv. 274498; Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262436; Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258610; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259082; Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257878); rilevando che, nella maggior parte dei casi, si trattava di detenzione cautelare disposta nei confronti di persone indagate quali partecipi di associazioni per delinquere, in un ambito investigativo in cui gli intrecci, gli interessi e le connivenze tra sodali assumono valore altamente indiziario proprio in rapporto ai tratti tipici del delitto associativo.
Dall’esame delle pronunce in cui il principio è stato affermato deve peraltro anche trarsi il limite all’applicazione del medesimo; se, infatti, in linea astratta, la frequentazione di persone coinvolte in attività illecite è condotta idonea a concretare il comportamento ostativo al diritto alla riparazione, deve però anche chiarirsi che non tutte le frequentazioni sono tali da integrare la colpa ma solo quelle che (secondo il tenore letterale dell’art.314 cod. proc. pen., a mente del quale rileva il comportamento che, per dolo o colpa grave, abbia dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare subita) siano da porre in relazione, quanto meno, di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 1921 del 20/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25848601); al giudice della riparazione spetta, dunque, il compito di rilevare il tipo e la qualità di dette frequentazioni, con Io scopo di evidenziare l’incidenza del comportamento tenuto sulla determinazione della detenzione (Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280547; Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 260397; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, COGNOME, Rv. 248074; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, COGNOME, Rv. 2209840).
Operata tale premessa, deve quindi rilevarsi che la Corte territoriale ha specificamente dato atto – sia pure con sintetica motivazione – della circostanza per la quale i comportamenti accertati da parte dei giudici della cognizione, risolventisi nelle comunicazioni verbali e telefoniche tra l’Enea, il Liga e il Taormina intervenute tra il 09/01/2017 e il 14/01/2017, non potevano considerarsi indici di una frequentazione costante con i predetti soggetti ma solo espressione di comunicazioni legate alla semplice conoscenza con gli stessi e conseguenti alle mansioni di portierato svolte dall’Enea; in modo, sulla base della valutazione non palesemente illogica del giudice della riparazione e in conformità con i predetti principi, da non poter
essere posti in rapporto sinergico con la detenzione subìta quale espressione di dolo o colpa grave.
A tale proposito va precisato che, nell’ambito dell’esposizione del terzo motivo, la difesa erariale ha fatto riferimento al dato della sicura consapevolezza – in capo all’Enea – della caratura mafiosa del Liga, elemento di fatto peraltro meramente dedotto e non emergente dagli atti.
Le considerazioni che precedono inducono a una valutazione di infondatezza anche in riferimento ai rilievi attinenti alla dedotta omessa valutazione dell’elemento della connivenza rispetto ai coimputati.
Sulla relativa questione deve essere ricordato che – per giurisprudenza assolutamente consolidata di questa Corte – anche l’atteggiamento di mera connivenza (e pure se a questa sia attribuibile una connotazione meramente passiva) è idonea a escludere – in quanto comunque qualificabile come gravemente colposa – che sussista un diritto al riconoscimento dell’indennizzo quando, con presupposti tra loro non cumulativi ma alternativi, il comportamento: 1) sia indice del venir meno di elementari doveri di solidarietà sociale per impedire il verificarsi di gravi danni alle persone o alle cose; 2) si concretizzi non già in un mero comportamento passivo dell’agente riguardo alla consumazione del reato ma nel tollerare che tale reato sia consumato, sempreché l’agente sia in grado di impedire la consumazione o la prosecuzione dell’attività criminosa in ragione della sua posizione di garanzia; 3) risulti aver oggettivamente rafforzato la volontà criminosa dell’agente, benché il connivente non intendesse perseguire tale effetto e vi sia la prova positiva che egli fosse a conoscenza dell’attività criminosa dell’agente (Sez. 4, Sentenza n. 15745 del 19/02/2015, Di Spirito, Rv. 263139; Sez. 3, n. 22060 del 23/01/2019, COGNOME, Rv. 275970 – 02; Sez. 4, n. 4113 del 13/01/2021, Sanyang, Rv. 280391).
In relazione ai predetti presupposti, la motivazione della Corte ha quindi congruamente dato atto, con motivazione non palesemente illogica, del fondamentale presupposto negativo, accertato dal giudice della cognizione, dell’assenza di consapevolezza, in capo all’istante, della condotta estorsiva progettata e poi posta in essere nei confronti della persona offesa, elemento che esclude a priori che potesse essere ipotizzata una fattispecie di connivenza.
Infondato è, altresì, l’ulteriore rilievo formulato dal ricorrente e attinente al contegno processuale tenuto dall’istante, concretizzatosi nella omessa negazione della propria partecipazione ai dialoghi posti alla base dell’imputazione.
A tale proposito, questa Corte ha costantemente ritenuto che la condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, può sicuramente concretizzarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della cognizione, di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione) o processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi), in ordin alla cui attribuzione all’interessato e incidenza sulla determinazione dell detenzione il giudice è tenuto a motivare specificamente (Sez.4, 3/6/2010, n.34656, COGNOME, RV. 248074; Sez.4, 21/10/2014, n.4372/2015, COGNOME, RV. 263197; Sez.3, 5/7/2022, n.28012, COGNOME, RV. 283411).
Deve però escludersi, a seguito della modifica dell’art. 314 cod. proc. pen. ad opera dell’art. 4, comma 4, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, che il semplice silenzio serbato – come nel caso di specie – dall’imputato, nell’esercizio della facoltà difensiva prevista dall’art. 64, comma 3, lett. cod. proc. pen., possa essere valutato quale elemento perfezionativo del dolo o della colpa grave, costituendo lo stesso l’esercizio di una legittim facoltà processuale che, in quanto tale, non è neanche valutabile sotto il profilo della colpa lieve (Sez. 4, n. 48080 del 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285425).
Il quinto motivo, con il quale è stata dedotta l’omessa motivazione in ordine alla riduzione dell’indennizzo per il perfezionamento dell’ipotesi di colpa lieve, è inammissibile in quanto del tutto aspecifico.
Difatti – esclusa, come detto, la valutabilità in tale senso del contegn processuale tenuto dal ricorrente – il motivo non contiene alcuna effettiva ragione di censura al ragionamento seguito dal giudice della riparazione nella parte in cui, operata la autonoma valutazione del materiale già esaminato da parte del giudice della cognizione, ha escluso che i comportamenti del ricorrente, una volta valutati nel senso suddetto, potessero essere considerati come caratterizzati dalla colpa lieve.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, anche trattandosi di parte pubblica, al pagamento delle spese processuali (Sez. 4, n. 22810 del 13/04/2018, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Rv. 272994).
Nulla va disposto in ordine alle spese relative al rapporto processuale con l’originario ricorrente in quanto questi, pur avendo presentato memoria difensiva, non ha chiesto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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Così deciso il 30 gennaio 2025
Il Consigliere estensore