Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1870 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1870 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/04/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, con le quali si è chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Torino, decidendo su un’istanza di riconoscimento di un indennizzo per la detenzione ingiustamente subita da COGNOME NOME con riferimento a un titolo cautelare emesso per reati in materia di stupefacenti (spaccio di cocaina acquistata da COGNOME NOME e COGNOME NOME che si riteneva poi rivenduta dal COGNOME a COGNOME NOME), dai quali era stato assolto dal Tribunale per insussistenza del fatto, ha rigettato la domanda ritenendo un comportamento ostativo del COGNOME, consistito nell’avere costui intrattenuto dei dialoghi a contenuto criptico che si erano prestati, pur nell’errore dell’A.G., ad essere interpretati in chiave accusatoria. Nella specie, la Corte della riparazione ha osservato che il giudice dell’ordinanza cautelare aveva ritenuto gravi elementi indiziari a suo carico, ricavandoli da alcune intercettazioni tra il COGNOME e il COGNOME. In particolare, nel dialogo n. 2939 del 14/9/2011, i due si erano dati appuntamento e COGNOME aveva detto al suo interlocutore di portare 10 euro con riferimento a “quella che ho lasciata ieri sera là”, ripetendo di prendere anche “due… se è porti 20 euro”; nel dialogo del 14/10 n. 6232, invece, il primo aveva chiesto al secondo se lo stesse prendendo in giro, accusandolo di non rispondergli e intimandogli di raggiungerlo; in sede di interrogatorio, COGNOME, con riferimento a tale ultima conversazione non aveva negato di essere l’interlocutore, ma n3e aveva spiegato il significato in termini leciti (richiesta di restituzione di un prestito laddove, quanto alla prima, non era stato in grado di spiegare il significato delle frasi scambiate. Anche con riferimento aule telefonate successive del mese di ottobre, il COGNOME non aveva negato di essere l’interlocutore, spiegandone il significato in termini leciti, relativi ai sol che il COGNOME gli doveva per le spese relative all’abitazione. Ciò posto, quel giudice ha ritenuto la valenza incriminante del dialogo per il quale l’istante non aveva saputo fornire spiegazione in termini leciti, considerando tale cripticità idonea a creare una situazione di apparenza del suo coinvolgimento in traffici illeciti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore, formulando un unico motivo, con il quale ha dedotto vizio della motivazione richiamando l’art. 606 lett. c), cod. proc. pen., ritenendo di dover concludere in senso difforme dalla Corte . della riparazione. La difesa ha rilevato che il
ricorrente aveva spiegato quei dialoghi sia con riferimento al credito vantato nei confronti del COGNOME (per il godimento dell’immobile presso il quale lo aveva ospitato), che in ordine al rapporto di conoscenza con NOME (al quale aveva dato disponibilità ad ospitare la madre che doveva essere operata in Italia). Egli però aveva sempre negato di essere soprannominato “LABI” o “NESTI”, cosicché del tutto irrilevante era la annotazione trovata sul taccuino rinvenuto nell’appartamento di NOME riportante il nome “LABI” con accanto annotata la cifra di euro 3.900,00.
Sotto altro profilo, la difesa ha osservato che la Corte della riparazione, censurando la mancata spiegazione del dialogo criptico, avrebbe sostanzialmente valorizzato il silenzio dell’interessato, non più valutabile a seguito della modifica dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOMECOGNOME COGNOME rassegnato proprie conclusioni, chiedndo il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso va rigettato.
La Corte territoriale ha sostanzialmente valorizzato la circostanza che uno dei dialoghi intercettati avesse un contenuto tale da poter esser interpretato in chiave incriminante, considerato che lo stesso COGNOME non aveva disconosciuto di essere stato uno degli interiocutori.
Orbene, la valutazione circa l’esistenza di un comportamento gravemente negligente dell’interessato sinergicamente collegato alla restrizione della libertà personale costituisce giudizio di merito che, ove sorretto da un ragionamento congruo, logico e non contraddittorio, non censurabile è in questa sede.
Ai fini del riconoscimento dell’indennizzo, inoltre, può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la ratio solidaristica che è alla base dell’istituto (Sez. U, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 257606). Sotto altro profilo, il giudice della
riparazione per l’ingiusta detenzione, per stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (sez. 4 n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, Maltese, Rv. 259082). Nello svolgere detta verifica, peraltro, non viene in rilievo la valutazione del compendio probatorio ai fini della responsabilità penale, ma solo la verifica dell’esistenza di un comportamento del ricorrente che abbia contribuito a configurare, pur nell’errore dell’autorità procedente, quel grave quadro indiziante un suo coinvolgimento negli illeciti oggetto d’indagine. Ai medesimi fini, il giudice deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (sez. 4 n. 27458 del 05/02/2019, Hosni, Rv. 276458).
In altri termini, il giudice di merito, per stabilire se chi l’ha patita vi abb dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (sez. 4, n. 3359 del 22/09/2016, dep. 2017, La Fornara, Rv. 268952; n. 3895 del 14/12/2017, dep. 2018, P., Rv. 271739), essendovi completa autonomia tra il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione e quello di cognizione, poiché essi impegnano piani di indagine diversi che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, il che, tuttavia, non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (sez. 4 n. 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, Patanella, Rv. 262957).
Fatta tale premessa in diritto, deve ritenersi del tutto legittimo l’individuato collegamento tra la situazione ambigua, ricavabile dal contenuto del dialogo richiamato dalla Corte territoriale e l’apparenza di un quadro che collocava il COGNOME nel contesto dell’attività illecita altrui, valutazione rispetto alla quale può elidersi ogni rilievo assegnato alla circostanza che il COGNOME non aveva saputo spiegare il contenuto di quel dialogo, rilevanza oggi certamente esclusa dal legislatore (art 314, comma 1, cod. proc pen. come modificato dall’art. 4,comma 1, lett. b), d. Igs. n. 188 del 2021), trattandosi di argomento che non incrina il complessivo ragionamento svolto, alla stregua del quale ciò che è apparso imprudente è l’avere conversato in quei termini con soggetti sospettati di svolgere attività illecita in materia di traffico di droga.
Al rigetto segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Deciso il 13 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
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7 –
Il Presidente