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Ingiusta detenzione: quando la condotta la esclude

La Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione di un uomo, assolto dall’accusa di rapina aggravata dopo 257 giorni di carcere. La decisione si fonda sulla condotta dell’indagato, che durante l’interrogatorio ha fornito una ricostruzione dei fatti confusa, illogica e smentita dai video. Secondo la Corte, tale comportamento mendace e gravemente colposo ha contribuito a indurre in errore l’autorità giudiziaria, escludendo così il diritto al risarcimento.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ingiusta detenzione e condotta dell’imputato: quando si perde il diritto al risarcimento?

Il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione rappresenta un pilastro di civiltà giuridica, volto a compensare chi ha subito una privazione della libertà personale rivelatasi poi infondata. Tuttavia, questo diritto non è assoluto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce che la condotta dell’indagato, se dolosa o gravemente colposa, può precludere l’accesso a tale risarcimento. Analizziamo il caso per comprendere meglio i confini di questo importante istituto.

I Fatti del Caso

Un uomo veniva sottoposto a custodia cautelare in carcere per 257 giorni con le accuse di rapina aggravata e lesioni aggravate. Il procedimento si concludeva con una sentenza di assoluzione per il reato di rapina “perché il fatto non sussiste” e con la trasmissione degli atti al pubblico ministero per valutare il diverso reato di rissa aggravata, emerso nel corso del dibattimento. A seguito dell’assoluzione, l’interessato presentava istanza per ottenere la riparazione per l’ingiusta detenzione subita. La Corte d’Appello, tuttavia, rigettava la richiesta, decisione contro cui l’uomo proponeva ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello. La richiesta di risarcimento è stata respinta perché, secondo i giudici, il comportamento tenuto dall’indagato ha contribuito in modo determinante a creare e mantenere i presupposti per la misura cautelare. Nonostante l’assoluzione finale, la sua condotta è stata ritenuta ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione.

Le Motivazioni: la condotta che esclude la riparazione per ingiusta detenzione

Il cuore della sentenza risiede nell’analisi della condotta dell’indagato, sia prima che durante il procedimento (la cosiddetta condotta endo-processuale). La Corte ha sottolineato che, per escludere il diritto alla riparazione, non è necessario che il comportamento dell’interessato integri un reato. È sufficiente che tale condotta sia dolosa o caratterizzata da colpa grave e abbia avuto l’effetto di indurre in errore l’autorità giudiziaria.

Nel caso specifico, l’indagato non si era limitato a esercitare il suo diritto al silenzio. Al contrario, durante l’interrogatorio di convalida, aveva fornito una ricostruzione dei fatti descritta dai giudici come “confusa, illogica, piena di contraddizioni e sovrapposizione di episodi”. Questa versione, inoltre, era stata palesemente smentita dai filmati delle telecamere di sicurezza, che mostravano la sua partecipazione attiva a una colluttazione.

La Cassazione ha chiarito che tenere una “condotta non silente ma mendace” integra quella colpa grave che preclude il risarcimento. L’indagato, con le sue dichiarazioni false e fuorvianti, ha dato colposamente adito al sospetto del suo coinvolgimento nei gravi reati contestati, contribuendo così alla decisione di applicare e mantenere la custodia cautelare. Il suo comportamento non è stato quindi neutro, ma ha attivamente inquinato il quadro probatorio a disposizione degli inquirenti.

Le Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale in materia di ingiusta detenzione: il diritto alla riparazione è subordinato a una condotta processualmente corretta da parte dell’indagato. Chi, con dolo o colpa grave, fornisce versioni dei fatti false o contraddittorie che inducono in errore il giudice, non può poi pretendere un risarcimento per una detenzione che egli stesso ha contribuito a causare. La sentenza distingue nettamente tra il legittimo esercizio del diritto di difesa, che include la facoltà di non rispondere, e un comportamento attivamente ingannevole, che fa venir meno i presupposti per la tutela riparatoria.

Avere una condotta mendace durante l’interrogatorio può far perdere il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, fornire dichiarazioni false, confuse e contraddittorie (condotta mendace) durante il procedimento costituisce un comportamento gravemente colposo che può escludere il diritto al risarcimento, in quanto induce in errore l’autorità giudiziaria.

Il diritto a non rispondere (restare in silenzio) è equiparabile a rilasciare dichiarazioni false ai fini della riparazione per ingiusta detenzione?
No. La sentenza distingue chiaramente tra una condotta silente, che è un diritto dell’indagato, e una condotta mendace. È quest’ultima, ossia il fornire attivamente informazioni false, che può precludere il diritto alla riparazione, non il semplice avvalersi della facoltà di non rispondere.

Per negare la riparazione per ingiusta detenzione, la condotta dell’indagato deve costituire un reato?
No, non è necessario. La Corte ha specificato che per escludere il diritto alla riparazione sono rilevanti anche comportamenti che, pur non costituendo reato, siano dolosi o gravemente colposi e abbiano indotto in errore l’autorità giudiziaria sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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