Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13173 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13173 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PLATI’ il 11/05/1975
Ministero dell’economia e delle finanze
avverso l’ordinanza del 15/11/2024 della Corte d’appello di Milano;
udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria depositata dalla Procura Generale, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata;
letta la memoria depositata dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 15 novembre – 6 dicembre 2024, la Corte di appello di Milano ha respinto l’istanza proposta da NOME COGNOME volta ad ottenere la liquidazione di un equo indennizzo per la privazione della libertà personale sofferta dal 6 luglio 2020 al 12 gennaio 2021, in relazione al processo subito a seguito della contestazione del reato di partecipazione a una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti ex art. 74 d.P.R. n. 309/1990 aggravata ex art. 416 bis 1 cod.pen.
Da questa accusa NOME COGNOME è stato assolto dal GIP del Tribunale di Milano, con sentenza del 12 gennaio 2021, con formula perché il fatto non sussiste, ai sensi del comma 2 dell’art. 530 cod.proc.pen., sentenza confermata dalla Corte di appello di Milano, con sentenza del 25 marzo 2022, passata in giudicato in data 8 settembre 2022.
La Corte di appello, dopo aver riassunto gli orientamenti della Corte di cassazione riguardo all’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, con riferimento al rapporto tra il giudizio di riparazione e i contenuti delle sentenze d proscioglimento considerate quali presupposto del beneficio di cui all’art. 314 cod.proc.pen., ha ricostruito i fatti rilevanti per il giudizio sulla riparazione median la tecnica della evidenziazione testuale con l’uso dei caratteri in grassetto, delle circostanze affiorate nel giudizio di merito e ritenute manifestazione delle condotte gravemente colpose, se non addirittura intenzionali, tenute dall’istante e che si erano caratterizzate quali fonti sinergiche dell’adozione della misura cautelare.
I giudici della riparazione hanno sottolineato che la stessa sentenza di assoluzione emessa dal GIP di Milano aveva accertato che il COGNOME si era reso responsabile di una serie di comportamenti che suggerivano una contiguità consapevole con ambienti criminali, che neanche lui aveva negato.
Sulla base di tali considerazioni, i giudici della riparazione hanno ritenuto che NOME COGNOME avesse dato causa con dolo o colpa grave alla privazione della libertà personale e che ciò ostasse all’accoglimento dell’istanza.
NOME COGNOME a mezzo del difensore, ha proposto tempestivo ricorso contro l’ordinanza di rigetto, deducendo due motivi di ricorso.
Con il primo motivo, è denunciata violazione di legge, con riferimento all’accertata sussistenza della colpa grave, pur in assenza delle condizioni ostative al riconoscimento dell’equo indennizzo. La difesa osserva che non sarebbe convincente l’assunto dell’ordinanza impugnata, basato su affermati atteggiamenti di contiguità con soggetti provenienti da Platì, quando invece si era trattato solo di
comportamenti meramente passivi. Le sentenze di merito avevano escluso tanto la contiguità, quanto la convivenza tra COGNOME e persone detentrici di rilevanti quantità di stupefacenti.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’inconferenza dell’affermazione di contiguità ad associazione ex art. 416 bis cod. pen., in un procedimento avente ad oggetto l’associazione di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990. Si sostiene il viz motivazionale costituito dall’aver accolto la tesi della Corte d’appello, secondo la quale lo stesso ricorrente sarebbe stato affiliato di ‘ndrangheta sin dal 2008 e che in passato sarebbe stato coinvolto in una cessione di stupefacenti, per attribuire valore ostativo alla frequentazione del COGNOME e dei cugini NOME e NOME COGNOME con altri soggetti di Platì, quali NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. L’ordinanza non aveva considerato che la custodia cautelare subita ingiustamente era riferita alla ipotesi di reato relativa all’art. 74 d.P.R. n. 309/19 per procedimento iniziato nell’anno 2020. Inoltre, nessuno di tali soggetti era stato indagato nel procedimento qui di interesse, per cui sarebbe priva di fondamento la tesi della condotta contigua a soggetti coinvolti nel reato posto a fondamento della sofferta misura cautelare.
5. La Procura Generale, nella persona della Sostituta Procuratrice NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. L’Avvocatura generale dello Stato, con la memoria depositata nell’interesse del Ministero Dell’Economia e delle Finanze, ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Va premesso che all’istante era stato contestato il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n 309/1990 aggravato dal metodo mafioso, quale affiliato della ‘ndrangheta.
I giudici della cognizione, pur assolvendo l’imputato per l’insufficienza delle condotte accertate al fine di configurare il delitto oggetto di contestazione, hanno riconosciuto l’accadimento dei fatti che l’ordinanza impugnata ha evidenziato graficamente, ritenendoli elementi probanti della natura sinergica, rispetto all’adozione della misura cautelare sofferta, delle condotte tenute consapevolmente dall’odierno ricorrente.
In particolare, è stato rilevato che, a seguito delle dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia NOME COGNOME parente dell’istante, erano state disposte intercettazioni ambientali e, tra queste, quella disposta nei riguardi di
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NOME COGNOME Da tale fonte era emerso che l’istante si era stabilito in Lombardia a seguito dell’utile collocamento in graduatoria quale collaboratore scolastico supplente presso un liceo di Corsico, dal 3 ottobre 2018. In ragione delle intercettazioni effettuate sull’utenza telefonica dello stesso COGNOME, nonché nell’appartamento di INDIRIZZO in Milano, in uso all’istante, gli inquirentì, in data 14 dicembre 2018, avevano registrato colloqui nel corso dei quali i presenti facevano riferimento a esponenti della criminalità organizzata calabrese coinvolti in attività attinente al traffico di stupefacenti. Al COGNOME, poi, era s consegnata una somma di danaro, pari a circa euro 20.000, in data 18 dicembre 2018, considerata di sicura provenienza illecita inviatagli dalla Calabria. Ancora, in altra occasione, il 19 febbraio 2019, era emerso che NOME, cugino del COGNOME, gli aveva consegnato un telefono cellulare non intercettabile e che l’incontro fosse da ricondurre nell’ambito del traffico degli stupefacenti. Il primo aveva anche procurato, oltre all’appartamento di INDIRIZZO, anche le autovetture utilizzate dal COGNOME e da COGNOME NOME. Era emerso anche un contatto con NOME COGNOME, noto esponente di ‘ndrangheta, il 25 gennaio 2019, e costui aveva invitato l’istante a prendere “il pane”, espressione criptica che il COGNOME però rifiutava, spiegando che poi avrebbe spiegato le ragioni. Inoltre, il COGNOME e NOME COGNOME si erano offerti con tono riverente, di ospitare temporaneamente il cognato di NOME NOME, appena scarcerato e gravato da precedenti per favoreggiamento personale, indicato quale picciotto del noto NOME COGNOME, affiliato alla ‘ndrina di Platì.
2. Si è affermato, nella consolidata giurisprudenza di legittimità, che in tema di riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo la sussistenza di un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a darvi luogo con dolo o colpa grave. La condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiusta carcerazione, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della cognizione, di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione) o processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi), in ordine alla cui attribuzione all’interessato e incidenza sulla determinazione della detenzione il giudice è tenuto a motivare specificamente (Sez. 4, n.3 4656 del 3/6/2010, COGNOME, RV. 248074; Sez. 4, n. 4372 del 21/10/2014, dep. 2015, COGNOME, RV. 263197; Sez. 3, n. 28012 del 5/7/2022, COGNOME, RV. 283411); in particolare, il giudice di merito, per stabilire se chi ha patito la detenzione vi abbia dato o abbia
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concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un ite logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez. 4, n. 3359 del 22/9/2016, dep. 2017, COGNOME, RV. 268952), con particolare riferimento alla commissione di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti (Sez. 4, n. 27548 del 5/02/2019, COGNOME, RV. 276458).
Inoltre, sulla base dell’arresto espresso da Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, RV. 203638, si è affermato che è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un iter logicomotivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di esaminare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione; derivandone, in diretta conseguenza di tale principio, quello ulteriore in base al quale il giudice del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione può rivalutare fatti emersi nel processo penale, ivi accertati o non esclusi, ma ciò al solo fine di decidere sulla sussistenza del diritto alla riparazione (Sez. 4, n. 27397 del 10/06/2010, COGNOME, RV. 247867; Sez. 4, n. 3895 del 14/12/2017, dep. 2018, P., RV. 271739); con il solo limite di non potere ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice della cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E principio utilmente richiamabile nel caso di specie, quello secondo cui il diritto all’indennizzo spetta a chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile di assoluzione con una delle formule indicate nella prima parte dell’art. 314 cod. proc.
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pen. e a tal riguardo non ha rilievo se a tale formula il giudice penale sia pervenuto per la accertata prova positiva di non colpevolezza, ovvero per la insufficienza o contraddittorietà della prova (Sez. 4, n. 22924 del 30/03/2004, COGNOME, Rv. 228791).
4. Nel caso di specie la prevista condotta ostativa è stata dettagliatamente esaminata e ravvisata dal giudice della riparazione, in linea con il principi interpretativo secondo il quale la frequentazione ambigua di soggetti coinvolti in traffici illeciti si presta oggettivamente ad essere interpretata come indizio complicità e può, dunque, integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazion (Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 26243601; Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25861001; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 25908201; Sez. 4, n. 51722 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 25787801); specie qualora la detenzione cautelare sia disposta nei confronti di persone indagate quali partecipi di associazioni per delinquere, in un ambito investigativo in cui gli intrecci, gli interessi e le connivenze tra sodali assumo valore altamente indiziario proprio in rapporto ai tratti tipici del delitto associati
Al giudice della riparazione spetta, dunque, il compito di rilevare il tipo e qualità di dette frequentazioni, con lo scopo di evidenziare l’incidenza del comportamento tenuto sulla determinazione della detenzione (Sez. 3, n. 39199 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 26039701; Sez. 4, n. 34656 del 03/06/2010, COGNOME, Rv. 24807401; Sez. 4, n. 8163 del 12/12/2001, COGNOME, Rv. 22098401).
Il ricorso, neanche confrontandosi con la dovuta specificità con la motivazione del provvedimento impugnato, si limita ad invocare principi espressi dalla giurisprudenza in tema di reati diversi da quelli associativi, sebbene connotati dall’utilizzo del metodo mafioso.
La Corte territoriale, nel caso di specie, sullo sfondo di una continuativa vicenda di coabitazione dell’istante in ambiente caratterizzato dalla costante presenza di affiliati alla ‘ndrangheta, ha provveduto a un’analitica individuazione degli elementi indiziari non esclusi dai giudici della cognizione che, per il loro specifico ril (vicinanza con persone dedite ad attività centrali nell’organizzazione mafiosa, ricezione di cospicue somme di denaro non idoneamente giustificate, uso di linguaggio criptico), pur se insufficienti a dimostrare la colpevolezza dell’imputato attestano comunque la sussistenza di un comportamento gravemente colposo e tale da indurre negli inquirenti la convinzione che l’istante fosse coinvolto nel reat ascritto.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Nulla per le spese è dovuto in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze, posto che la memoria depositata si limita a riportare principi giurisprudenziali in materia di riparazione per ingiusta detenzione senza confrontarsi con i motivi di ricorso, sicché non può dirsi che l’Avvocatura dello Stato abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta contrastare la pretesa del ricorrente (sull’argomento, con riferimento alle spese sostenute nel giudizio di legittimità dalla parte civile, da ultimo, Sez. U, n. 877 de 14/07/2022 dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886; Sez. U, n. 5466, del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716; Sez.4, n. 36535 del 15/09/2021, A., Rv. 281923; Sez.3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla sulle spese in favore del Ministero resistente.
Così deciso il 26 marzo 2025.