Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 25598 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 25598 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/03/2025
SENTENZA
sul ricorso presentato da Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso l’ordinanza della Corte di appello di Napoli del 16/04/2024 nel procedimento per la riparazione per l’ingiusta detenzione promosso da NOME COGNOME nato a Senafe (Eritrea) il 01/01/1990; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni rassegnate dal Procuratore generale ex art. 23, comma 8, d decreto legge n. 137 del 2020, con cui ha che ha invocato l’annullamento con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Roma;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 16 aprile 2024 la Corte di appello di Roma ha accolto parzialmente la domanda di riparazione per ingiusta detenzione presentata da NOME COGNOME e condannato, per l’effetto, il M.E.F. in persona del Ministro pro-tempore al pagamento della somma di centocinquantacinquemila euro in favore del richiedente; e, altresì, al pagamento delle spese in favore del richiedente, liquidate in complessivi duemilacinquecento euro oltre accessori di legge, se dovuti.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto, a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato, tempestivo ricorso, affidato ad un unico motivo ton cui denuncia violazione di legge, in relazione all’art. 314 cod.proc.pen., e correlato vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, per omessa valutazione di specifici arresti giurisprudenziali pregressi, insufficienza ed illogicità della motivazione.
2.1. La difesa premette la ricostruzione dei principali snodi procedimentali, rilevando che la primigenia istanza di ristoro per l’ingiusta detenzione patita dal 26 marzo 2016 al 20 novembre 2017, in assenza di condotte colpose concorrenti a determinarla, era stata proposta a seguito della custodia cautelare in carcere patita per un totale di 604 giorni, a seguito dell’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma per i reati di cui all’art. 81 cpv, 110 cod.pen., 12, comma 3, lett. a) e b) , commi 3-bis e 3-ter, lett b) d.lgs n. 286/286 e 4 L. 146/2008; nell’ordinanza de qua, confermata dal Tribunale del Riesame adito dalla difesa dell’indagato, era postulata l’esistenza di una “cellula romana” cui l’indagato era organico, operante nell’ambito di una ramificata rete internazionale in un arco temporale ricompreso tra il 2014 e il 2015.
Il giudizio di merito si concludeva con l’assoluzione.
L’istanza ex art. 314 cod.proc.pen. veniva, in prima battuta, respinta dalla Corte di appello romana con ordinanza (che riteneva integrato il requisito della colpa grave dell’allora istante, sostanziatasi sia nella condotta extraprocessuale che processuale) annullata con rinvio al merito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 26295/2023 (che riconosceva invece la parziale fondatezza della istanza di ristoro perché rilevava che tutti i soggetti con cui erano intercorse le plurime conversazioni intercettate ritenute fonti gravemente indiziarie erano stati definitivamente assolti con formula piena, e che non risultavano in atti ulteriori elementi idonei a connotare come negligente il comportamento del richiedente; spiegava la vaghezza delle dichiarazioni del COGNOME con le difficoltà linguistiche del prevenuto; evidenziava il già avvenuto riconoscimento del risarcimento per ingiusta detenzione ad altri due imputati del medesimo processo).
2.2. Assume, quindi, in fatto, che il quadro indiziario vagliato dalla Corte territoriale (costituito da intercettazioni telefoniche, transito di denaro con l’estero
correlato alla condizione esistenziale del prevenuto, senza fissa dimora in Italia e privo di leciti strumenti di sostentamento), sarebbe tutt’altro che insufficientemente circostanziato; in diritto che le condotte dell’istante mostrerebbero gravi imprudenze e negligenze quali l’attuazione di trasferimenti in denaro con l’estero e l’interlocuzione con soggetti coindagati o coimputati -dei quali dà sintetica contezza- costituenti indizi as’seritamente determinanti per il rigetto dell’istanza riparatoria, e invece sminuite valutandole ininfluenti contributi alla restrizione. Condotte, secondo il Ministero ricorrente, invece rientranti in quelle ipotesi di imprudenza o negligenza o colpa in genere che motivano l’intervento dell’Autorità Giudiziaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Nel provvedimento oggi impugnato la Corte d’Appello di Roma motiva in maniera ampia e circostanziata sui motivi dell’accoglimento.
L’art. 314 cod. pen., com’è noto, prevede al primo comma che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, costituisce causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, COGNOME, rv. 226004).
In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo precisato che, in tema di presupposti per la riparazione dell’ingiusta detenzione, deve intendersi dolosa – e ‘conseguentemente idonea ad escludere la sussistenza del diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – non solo la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma anche la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del procedimento riparatorio con il parametro dell “id quod plerumque accidit” secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo (Sez. Unite n. 43 del 13.12.1995 dep. il 9.2.1996, COGNOME ed altri, rv. 203637). Poiché inoltre, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen. quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile, ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso.
In altra successiva condivisibile pronuncia è stato affermato che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione non spetta se l’interessato ha tenuto consapevolmente e volontariamente una condotta tale da creare una situazione di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria o se ha tenuto una condotta che abbia posto in essere, per evidente negligenza, imprudenza o trascuratezza o inosservanza di leggi o regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un provvedimento restrittivo.della libertà personale o nella mancata revoca di uno già emesso (Sez. 4, n. 43302 del 23/10/2008, Maisano, Rv. 242034).
Ancora le Sezioni Unite, hanno -affermato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. Unite, n. 32383 del 27/5/2010, COGNOME, Rv. 247664). E, ancora, più recentemente, il Supremo Collegio ha ritenuto di dover precisare ulteriormente che in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, ai fini del riconoscimento dell’indennizzo può anche prescindersi dalla sussistenza di un “errore giudiziario”, venendo in considerazione soltanto l’antinomia “strutturale” tra custodia e assoluzione, o quella “funzionale” tra la durata della custodia ed eventuale misura della pena, con la conseguenza che, in tanto la privazione della libertà personale potrà considerarsi “ingiusta”, in quanto l’incolpato non vi abbia dato o concorso a darvi causa attraverso una condotta dolosa o gravemente colposa, giacché, altrimenti, l’indennizzo verrebbe a perdere ineluttabilmente la propria funzione riparatoria, dissolvendo la “ratio” solidaristica che è alla base
dell’istituto.(così Sez. Unite, n. 51779 del 28/11/2013, Nicosia, Rv. 25760 fattispecie in cui è stata ritenuta colpevole la condotta di un soggetto che av reso dichiarazioni ambigue in sede di intèrrogatorio di garanzia, omettendo d fornire spiegazioni sul contenuto delle conversazioni telefoniche intrattenute c persone coinvolte in un traffico di sostanze stupefacenti, alle quali, con espress “travisanti”, aveva sollecitato in orario notturno la urgente consegna di beni).
Il ricorso lamenta erronea applicazione di legge e vizio di motivazio dell’ordinanza impugnata, in relazione alla esistenza della ipotizzata colpa gr ostativa.
La custodia sarebbe stata riconosciuta come ingiustamente patita dalla Corte d appello impugnata con percorso logico-giuridico, e poi motivazionale, fallace, cos in relazione alla ricognizione delle basi fattuali delle riconosciute ragio risarcimento, come, soprattutto, in relazione alla loro significazione, asseritann svilita, di imprudenza e negligenza colpose, giustificative della misura applicat
In realtà questa Corte, con la sentenza rescindente n. 26295/23, nel ritene fondato il merito del ricorso dell’imputato, aveva ritenuto che l’affermazione requisito della colpa grave dell’allora istante COGNOME sostanziatasi -secondo Corte di appello che aveva negato l’indennizzo- nella di lui condot extraprocessuale e processuale, fosse stata solo genericamente motivata con le attestazioni della contiguità del ricorrente con soggetti risultati coi nell’attività illecita oggetto di indagine, soggetti non specificamente indicati non indicate erano state le modalità attraverso le quali detta vicinanza si sar esplicata e l’efficacia di siffatto elemento sull’adozione della misura cautela delle dichiarazioni dal medesimo ricorrente rese, spesso vaghe ed evasive i relazione alle contestazioni mossegli.
Ed aveva, su tali basi, e con mandato di approfondimento al proposito, rinviat per nuovo esame del merito.
La Corte di appello di Roma, col provvedimento impugnato, si è mossa nel pieno degli approdi ermeneutici in materia come sopra ribaditi.
Ha attestato, altresì, nel pieno rispetto del precetto di cui all’art. 627 cod.pr e, dunque, in applicazione del disposto della sentenza rescindente, nel rivalut l’intero compendio probatorio, l’assenza di consistenti elementi che derivano d condotte extraprocessuali colpose tali da concorrere, quanto meno, a dar causa all’applicazione di una misura cautelare una volta esclusi quelli già evidenziati n precedente ordinanza, a seguito del decisum della Cassazione.
Ha rilevato, quanto alla consistenza degli elementi già vagliati, ossi conversazioni intercettate, come le stesse fossero intercorse con soggetti t assolti con formula piena, così in via ulteriore validando l’assenza di profili ril quali condotte extraprocessuali colposamente valutabili.
Ed ha, quanto alle condotte processuali del COGNOME, offerto una giustificazio plausibile e non manifestamente illogica del carattere asseritamente vago e evasivo delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio di garanzia e di es dibattimentale, in quanto riconducibile alla sua scarsa padronanza della ling italiana e, dunque, privo di connotati di colpa.
Ha aggiunto, infine, che analoghi provvedimenti di accoglimento dell’invocato ristoro erano stati adottati in favore di ben quattro altri coimputati, due in s rinvio, due in sede di decisione da parte della Corte di appello a tal fine adit
5. A fronte di tanto il ricorso, ai limiti della ammissibilità per genericità, è in in quanto/ ha escluso, con motivazioni corrette in diritto, sulla scorta emergenze disponibili e con argomentazioni non manifestamente illogiche, la predicabilità di una situazione indubbia di grave colpa riconducibile a NOME foriera della ricostruzione di esistenza di gravi indizi a suo carico, ido rafforzare, o quanto meno a concorrere a confermare il valore indiziante degl elementi acquisiti a carico del prevenuto con valutazione ex ante nel corso delle investigazioni ed, in definitiva, di tutto il complessivo coacervo dimostrativo, p alla base della spedizione e della protrazione del titolo cautelare.
L’ordinanza impugnata si appalesa correttamente e logicamente motivata in ordine a tali elementi, la cui efficacia ostativa è stata esclusa.
La coerenza logica delle ragioni sottese alla decisione non è scalfita dalle generi e meramente contestative e reiterative censure mosse in ricorso.
6. In conclusione, stante l’infondatezza manifesta delle censure sollevate, il rico proposto deve essere rigettato, con onere per il ricorrente, ai sensi dell’ar cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Giova osservare che detta norma è applicabile anche ove il ricorrente sia Ministero dell’economia e delle finanze, dal momento che la giurisprudenza di questa Corte ha disatteso la tesi secondo cui un’amministrazione statale, in vi del principio della unicità della personalità giuridica dello Stato, non può es condannata alle spese processuali e alla sanzione pecuniaria (cfr. S.U. n. 345 del 15.10.2002, Min. Tesoro in proc. COGNOME, rv. 222265, che ha superato due sentenze della IV Sezione n. 979 del 14.9.1992, Min. Tesoro in proc. COGNOME, rv. 191847, e n. 131 del 19.3.1993, Min. Tesoro in proc. COGNOME, rv. 193385; conf Sez. 3, n. 48484 del 22/10/2003, COGNOME, Rv. 228442).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 marzo 2025
Il Presidente