Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 3725 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 3725 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 10/06/1978
avverso l’ordinanza del 19/09/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME impugna l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Catania all’udienza del 19/09/2024 con la quale è stata rigettata la domanda per l’indennizzo per ingiusta detenzione in relazione alla sottoposizione del ricorrente alla misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione all’accusa del delitto di estorsione aggravata lda cui è stato assolto per non aver commesso il fatto.
Dopo aver ricostruito le vicende del procedimento, cautelare e di cognizione, il ricorrente, con un unico motivo di ricorso, lamenta la violazione dell’art. 314 cod. proc. pen., non avendo avuto alcuna colpa nella genesi e nel mantenimento della misura. In particolare, la difesa del ricorrente ritiene che l’erronea applicazione dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. sia consistita, innanzitutto, per avere fondato la condotta presumibilmente colposa del ricorrente non su un fatto concreto e preciso ima su una mera supposizione senza motivare se la condotta con valutazione ex ante dello stesso ricorrente possa avere integrato gli estremi del reato.
Sostiene il ricorrente che la valutazione del giudice della cautela sia stata fondata sui medesimi elementi del giudice della cognizione che ha concluso per l’assoluzione. Con l’ordinanza impugnata la Corte di appello ha piuttosto favorito un giudizio accusatorio già discutibilmente sorretto da elementi che non legittimavano la custodia cautelare; inoltre, la Corte di appello ha omesso di valutare quel giudizio del Gip che aveva già in fase di indagine qualificato il fatto nella fattispecie prevista dall’art. 393 cod. pen. non applicando al ricorrente alcuna misura cautelare e che la misura non avrebbe dovuto essere adottata, in ragione della diversa qualificazione del fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Pertanto, ritiene la difesa che la motivazione dell’ordinanza sia palesemente apparente e che il provvedimento impugnato non spiega perché ci sarebbe stata la colpa ostativa grave, necessaria per giungere ad un giudizio di diniego dell’indennizzo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le considerazioni e i motivi di seguito esposti.
Innanzi tutto rileva il Collegio che i passi dell’unico motivo di ricorso con cui si intende criticare l’ordinanza di rigetto sono aspecifici perchè aggrediscono la motivazione impugnata senza confrontarsi con luoghi ;Vt
argomentativi ben individuabili della stessa motivazione, soprattutto laddove spiega analiticamente che la riparazione per l’ingiusta detenzione non è la conseguenza automatica dell’assoluzione (pag. 7 e ss.).
Il giudice della riparazione, per valutare se chi ha patito la restrizione della libertà personale vi abbia dato o concorso a darvi causa, con dolo o colpa grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263).
Come ben chiarisce la giurisprudenza di legittimità, bisogna considerare che va tenuta distinta l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione. Quest’ultimo deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento; ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (in tal senso, espressamente, Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, Rv. 203638).
Il ricorso, nella sintetica esposizione della critica al provvedimento impugnato (pag. 2) non solo sfugge all’indefettibile principio enunciato dalle Sezioni unite ma si limita a ripetere testualmente un passo della motivazione di rigetto, contrapponendo una mera asserzione circa la supposizione che fonderebbe l’ordinanza. Già sotto tale profile, il motivo di ricorso è generico, non spiegando e approfondendo alcun argomento effettivamente critico della motivazione impugnata.
Circa la valutazione della colpa grave del ricorrente, in particolare, a fronte dell’aspecificità del motivo di ricorso, il Collegio osserva che l’ordinanza impugnata ha puntualmente individuato gli elementi che, a giudizio della Corte territoriale, integrano quella colpa grave che esclude il diritto all’indennizzo, chiarendo come gli stessi abbiano potuto trarre in errore il giudice della cautela, attenendosi al principio per cui il giudice della riparazione, per decidere se l’imputato vi abbia dato causa per dolo o colpa grave, deve valutare il
comportamento dell’interessato alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione” (Sez. 4, n. 41396 del 15/09/2016, Piccolo, Rv. 268238; in senso conforme, v. Sez. 4, n. 19180 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266808).
Va rammentato che, nel procedimento di riparazione per ingiusta detenzione sono utilizzabili, per dimostrare la sussistenza del dolo o della colpa dell’istante ostativi alla riparazione, le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di sommarie informazioni testimoniali, anche nel caso in cui la stessa si sia successivamente sottratta all’esame dibattimentale, con conseguente inutilizzabilità ai sensi dell’art. 526, comma 2, cod. proc. pen., dovendo la condotta dell’indagato essere vagliata, ai fini della riparazione, tenendo conto degli elementi legittimamente considerati dal giudice della cautela (Sez. 4, n. 40281 del 23/05/2019, Rv. 278284).
Sicché, nel caso in esame, appare corretta anche la valutazione delle dichiarazioni predibattimentali della persona offesa, COGNOME che aveva riferito GLYPH richieste estorsive e delle intimidazioni subìte.
9. COGNOME Invero, l’intero apparato argomentativo della Corte territoriale ha fondato il rigetto anche sul tenore delle intercettazioni, sulle frequentazioni c.d. ambigue con il COGNOME – condannato per il reato di cui all’art. 393 cod. pen.-, e sulla valorizzazione delle dichiarazioni predibattimentali – successivamente non confermate – della persona offesa, COGNOME.
Si noti che l’ordinanza impugnata ha evidenziato, quale comportamento ostativo al riconoscimento dell’indennizzo, il comportamento extraprocessuale (quantomeno) gravemente colposo del ricorrente, che aveva pronunciato, nelle conversazioni con il Drago, frasi di inequivocabile coinvolgimento nella pretesa avanzata, con modalità prevaricatorie, alla persona COGNOME offesa COGNOME COGNOME, fornendo un confortante riscontro alle dichiarazioni rese in sede di indagini da quest’ultimo.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha sovente ribadito il principio secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, costituisce colpa grave, idonea a impedire il riconoscimento dell’equo indennizzo, l’utilizzo, nel corso di conversazioni telefoniche, da parte dell’indagato di frasi in “codice”, effettivamente destinate a occultare un’attività illecita, anche se diversa da quella oggetto dell’accusa e per la quale fu disposta la custodia cautelare (Sez. 4, n. 3374 del 20/10/2016, dep. 2017, Rv. 268954).
Inoltre, l’ordinanza ha fatto buon governo del principio secondo cui, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, le frequentazioni ambigue con
soggetti coinvolti nel medesimo procedimento possono integrare un comportamento gravemente colposo, ostativo al riconoscimento del diritto all’indennizzo, purché siano accompagnate dalla consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti e non siano assolutamente necessitate (Sez. 4, n. 29550 del 05/06/2019, COGNOME, Rv. 277475), e che integra gli estremi della colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto, la condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia tenuto, consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (Sez. 4, n. 7956 del 20/10/2020, dep. 2021, Abbruzzese, Rv. 280547).
Nella fattispecie, la motivazione dà conto in modo chiaro e convincente che la frequentazione con un soggetto poi condannato – COGNOME NOME appare, unitamente al tenore delle conversazioni intercettate, comportamento idoneo ad ingenerare l’apparenza di una sua responsabilità per il reato in primis ritenuto di estorsione aggravate, come esposto in motivazione ma non affrontato dal ricorso in modo compiuto e argomentato.
A fronte di tale solido e coerente apparato argonnentativo il Collegio ritiene la genericità del motivo di ricorso e dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 6 dicembre 2024
Il consigliere estensore