Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 2783 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 2783 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a COGNOME il 10/09/1989
avverso l’ordinanza del 22/01/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del P.G. in persona del sostituto NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
1.Con ordinanza emessa il 22 gennaio 2024 la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato la richiesta di riparazione dell’ingiusta detenzione patita da NOME COGNOME dall’I. settembre 2013, data in cui veniva tratto i arresto dai Carabinieri della stazione di Cirò Marina per il reato di tentato omicidio in concorso, detenzione e porto di armi e sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, sostituita poi il 12 marzo 2015 con l’obbligo d presentazione alla P.G.
La Corte della riparazione ha respinto la richiesta avanzata dall’COGNOME, rilevando che il GIP non aveva errato nell’effettuare una prognosi negativa circa la concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena che è il frutto della riqualificazione del reato di tentato omicidio con armi originariamente contestato nel reato di lesioni oltre che del riconoscimento, solo in secondo grado delle circostanze attenuanti generiche e della riduzione operata per la scelta del rito abbreviato.
Avverso il provvedimento reiettivo è stato proposto ricorso nell’interesse dell’COGNOME affidandolo ad unico motivo con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. Secondo la difesa a fronte di indirizzi giurisprudenziali difformi, la decisione adottata s paleserebbe errata. Il ricorrente è stato giudicato con il rito abbreviato, pertanto, tutti gli elementi che erano nella disponibilità prima del GIP e poi del GUP sono identici a quelli che hanno indotto la Corte di appello a rideterminare la pena e concedere la sospensione condizionale della pena. Conseguentemente, non avere valutato l’aspetto previsto dall’art. 275 bis cod. proc. pen. costituisce errore del giudice della cautela prima e del giudice di merito di primo grado dopo ed ha comportato inevitabilmente una ingiusta detenzione.
Solo in tale ottica di interpretazione costituzionalmente orientata potrebbe avere spazio nella nostra legislazione l’art. 314 cod. proc. pen altrimenti sarebbe incostituzionale per violazione dell’art. 5 della Convenzione europea nella parte in cui non comprende tra gli eventi indennizzabili anche casi come quello in esame.
Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è manifestamente infondato.
2. Non è superfluo rammentare che il diritto alla riparazione viene riconosciuto, in via principale, nel comma 1 dell’art. 314 cod. proc. pen. con riferimento all’ipotesi di custodia cautelare la cui ingiustizia c.d. sostanziale derivi non da elementi che attengono al momento della sua applicazione ma dal dato postumo del definitivo proscioglimento del soggetto con formula ampia. Il riconoscimento del diritto è esplicitamente subordinato alla condizione della inesistenza di una condotta dolosa o gravemente colposa del soggetto, causativa o concausativa della custodia stessa. Ai sensi dell’art. 314 comma 2 cod. proc. pen. il diritto alla riparazione spetta anche al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia sottoposto a custodia cautelare quando con decisione irrevocabile risulti accertato che l’ordinanza genetica è stata emessa e mantenuta senza che sussistessero le condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 e 280 cod. proc. pen. Le disposizioni sopra citate si applicano anche a favore di coloro nei confronti dei quali sia stato pronunciato un provvedimento di archiviazione ovvero emessa sentenza di non luogo a procedere. Il secondo comma dell’art. 314 co.d proc. pen. riguarda pertanto i casi in cui a prescindere dall’esito del processo, dunque, anche in casi come questi in cui vi sia stata condanna, venga accertato con decisione irrevocabile che la custodia cautelare è stata applicata e mantenuta illegittimamente (ingiustizia formale della restrizione). In questo caso l’ingiustizia appartiene alla situazione cautelare; rilevano cioè i vizi della misura tipizzati dal legislatore e accertati con provvedimento irrevocabile, cioè nell’assenza delle condizioni di applicabilità previste dagli artt. 273 (gravi indizi di colpevolezza, cause di giustificazione e di non punibilità, cause di estinzione del reato) e 280 cod.proc.pen. (titolo del reato, ovvero nell’ipotesi del reato punito con pena edittale inferiore al limite quantitativo ivi indicato). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
E’ costante l’insegnamento di questa Corte secondo cui, in tema di ingiusta detenzione, con riferimento all’art. 314, comma secondo, cod. proc. pen. non sussiste il diritto alla riparazione quando nell’ambito del subprocedimento cautelare la prognosi sulla possibilità di una futura sospensione condizionale della pena sia stata negativa ma, all’esito del giudizio di cognizione, detto beneficio sia stato nondimeno concesso (Sez. 4 n. 1862 del 07/01/2016, Rv. 265582 -01; conf. n. 2509 del 2010, Rv. 246296 -01; n. 9211 del 2014, Rv. 259080 – 01; n. 24623 del 2014, Rv. 261563 – 01; n. 44830 del 2015, Rv. 264896 – 01).
Sul tema si registra una convergenza interpretativa, posto che è stato affermato che l’emissione del provvedimento applicativo di una misura custodiale non è consentita nei casi in cui già, a quel momento, sussistano le condizioni per dichiarare l’estinzione del reato o della pena ma non anche quando la declaratoria possa eventualmente aver luogo a seguito di valutazioni di merito affidate all’esclusivo apprezzamento del giudice del fatto (in termini, ex plurimis, Sez. 4, n. 22359 del 21/04/2011, Rv. 250314), sicché la riparazione non può essere concessa quando la sospensione condizionale della pena venga concessa per situazioni connesse alle dinamiche del processo o a seguito di valutazioni di merito affidate all’esclusivo apprezzamento del giudice del fatto.
Argomenti a sostegno di tale opzione interpretativa vengono anche dalle Sezioni Unite di questa Corte che in tema di giudizio prognostico funzionale all’applicazione e al mantenimento di una misura cautelare personale, hanno ribadito che la concedibilità dell’indulto per i reati per i quali si procede diviene elemento ostativo a condizione che detta causa estintiva della pena risulti oggettivamente applicabile in base ad elementi certi, che ne rendano probabile la futura concessione (Sez. Un., n. 1235 del 28/10/2010, in motivazione).
Diversamente opinando dovrebbe farsi riferimento all’art. 275, comma 2 bis, cod. proc. pen., per il quale non può essere disposta la custodia cautelare ove il giudice ritenga che con la sentenza possa essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena. Si tratta di un errore di prospettiva dato che l’art. 314 comma 2 cod proc. pen. non richiama l’art. 275 c.p.p., comma 2-bis ma l’art. 273 cod. proc. pen. (oltre che l’art. 280 cod. proc. pen.). In altri termini non la prognosi sulla concedibilità della sospensione condizionale della pena il presupposto del diritto alla riparazione ma l’esistenza al momento dell’emissione del provvedimento cautelare, o durante il tempo della sua esecuzione, di una causa di estinzione del reato; causa di estinzione che nel caso della sospensione condizionale della pena interviene solo dopo che l’esecuzione della misura è cessata, ossia con la sentenza di condanna a pena sospesa.
A quanto detto deve aggiungersi, quanto alla sospensione condizionale della pena quale causa di estinzione del reato, che la fattispecie estintiva non è rappresentata dalla mera sospensione della esecuzione della pena, essendo necessaria l’astensione del condannato dalla commissione di reati per l’intero periodo della sospensione, il che dimostra l’estraneità della sospensione condizionale della pena all’istituto della riparazione per ingiusta detenzione poiché essa non può “sussistere” al tempo della adozione o del mantenimento della misura restrittiva.
Osserva in primo luogo il Collegio come del tutto correttamente la Corte della riparazione, nel solco tracciato dai principi giurisprudenziali sopra richiamati, ha
ritenuto non più discutibile la circostanza dell’avvenuta adozione della misura cautelare restrittiva sofferta dal ricorrente in relazione al titolo di reato contestat non potendosi attribuire alcun rilievo alle prospettazioni dell’odierno ricorrente circa l’ipotetica incidenza delle valutazioni che avrebbero dovuto indurre il giudice della cautela a non adottare il provvedimento custodiale in concreto sofferto.
I giudici della riparazione hanno poi, con motivazione puntuale e lineare, immune da vizi logici o giuridici, espressamente sottolineato come il giudice della cautela avesse analiticamente valutato la gravità del fatto ascritto all’COGNOME i relazione all’imputazione di tentato omicidio mediante l’uso di un fucile provvedendo ad una specifica considerazione del titolo di reato ai fini della adozione della misura custodiale applicata, in tal senso fornendo adeguata motivazione.
La Corte di appello di Catanzaro, nel disattendere l’istanza riparatoria dell’COGNOME ha puntualmente rilevato che la concessione della sospensione condizionale della pena fosse stata conseguenza di una valutazione operata dai giudici della cognizione. Dunque il GIP non aveva errato nell’escludere la concedibilità del beneficio in relazione alla condotta contestata, dato che il contenimento della pena irrogata, nel limite dei due anni era la conseguenza di valutazioni del giudice del fatto che afferivano alla riqualificazione della condotta originarimente contestata nella fattispecie di lesioni aggravate dall’uso dell’arma oltre che dalla premeditazione e dai futili motivi. Vieppiù la determinazione della pena era conseguenza del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, riconosciute solo nel giudizio di appello nonché della scelta del rito abbreviato.
5. E’ pure infondato il profilo con il quale si evoca, invero genericamente, la possibile violazione dell’art. 5 della CEDU, per effetto della rilevanza ostativa della colpa grave in ordine al riconoscimento della riparazione, dovendosi richiamare l’orientamento di legittimità, cui si intende dare continuità, secondo il quale, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la previsione dell’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. – che esclude dall’equa riparazione colui che abbia dato causa, per colpa grave, alla custodia cautelare subita, in caso di detenzione preventiva formalmente legittima ma sostanzialmente ingiusta – non si pone in contrasto con l’art. 5 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché quest’ultima norma impone il riconoscimento dell’indennizzo soltanto per la detenzione preventiva formalmente illegittima (Sez. 4, n. 6903 del 02/02/2021, Rv. 280929 – 01; Sez. 4, n. 35689 del 09/07/2009, Rv. 245311 – 01).
6. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e non ricorrendo ipotesi di esonero
da responsabilità per colpa, al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende determinata come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso il 27 novembre 2024
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