Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10913 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10913 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a TRIGGIANO il 31/01/1996
avverso l’ordinanza del 04/11/2024 della CORTE APPELLO di BARI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 4 novembre 2024 la Corte d’appello di Bari ha rigettato la domanda formulata da COGNOME NOME per la liquidazione dell’equa riparazione dovuta ad ingiusta detenzione subita dal 21.9.2020 al 22.3.2021.
Lo stesso doveva essere avviato in una Rems ma, stante la carenza di disponibilità, il Tribunale di Bari lo aveva collocato in carcere nel periodo predetto ed all’esito ne aveva disposto il ricovero presso una CRAP nonostante l’ordine di scarcerazione immediato contenuto nella sentenza penale di primo grado, con la quale veniva prosciolto dal Tribunale di Bari per infermità di mente.
L’istanza di riparazione è stata proposta ritenendo ingiusta la detenzione in carcere subita nonostante l’Autorità giudiziaria avesse disposto l’esecuzione di una misura di sicurezza e revocato la custodia in carcere.
La Corte territoriale l’ha respinta osservando che la norma invocata dall’istante é applicabile ad altra tipologia di casi qualificati come di ingiusta detenzione ovvero casi di proscioglimento con sottoposizione a custodia cautelare in assenza dei requisiti di cui agli artt. 273 e 280 cod.proc.pen. e dei casi di proscioglimento per insussistenza del fatto o per non averlo commesso senza dolo o colpa. Concludendo che la norma invocata non copre i casi di detenzione in carcere per omesso trasferimento in una Rems per mancanza di disponibilità.
Per mezzo del proprio difensore, munito di procura speciale, COGNOME ha proposto ricorso contro l’ordinanza di rigetto articolando quattro motivi di ricorso.
Con il primo deduce l’illegittimità, l’illiceità, l’illegalità della detenzione in ca dal 21.9.2020 al 22.3.2021 per la mancanza di qualsiasi base legale della carcerazione nonché la violazione degli artt. 13 e 32 della Costituzione e degli artt. 3 e 5 della Convenzione europea. Si precisa che conforme é la recente sentenza della Corte Edu del 24.1.2022 (ricorso 11791-20, causa RAGIONE_SOCIALE c/Italia).
Rileva che la detenzione in carcere del ricorrente non è stata legittimata da alcun titolo legale tuttavia l’ordine di scarcerazione non è stato eseguito per oltre sei mesi, così di fatto procrastinando la custodia già in atto.
La misura di sicurezza provvisoria disposta dal Tribunale contestualmente alla sentenza non autorizza lo Stato italiano in mancanza di esecuzione di tale ordine di collocazione, al trattenimento del cittadino in custodia cautelare in carcere che peraltro non ha alcuna equivalenza con una Rems o una Crap ai fini della tutela del diritto alla salute.
Con il secondo motivo deduce la colpa esclusiva dello Stato italiano per le sue carenze organizzative. Rimedio esperito invano dalla difesa nonostante la sua non necessarietà.
Si assume che la responsabilità per l’illegale detenzione ricade in via esclusiva sullo Stato italiano e sul Ministero in quanto se lo Stato è inadempiente rispetto all’obbligo di creare strutture in numero sufficiente la soluzione non può essere il mantenimento illegale di un cittadino in carcere.
Con il terzo motivo deduce la obbligatorietà della riparazione mediante equo indennizzo secondo la procedura ex artt. 314 e 315 cod.proc.pen. anche per la impossibilità di compensare l’illecita carcerazione con la misura di sicurezza. In subordine incostituzionalità della normativa italiana.
Con il quarto motivo misura dell’indennizzo adeguatamente rapportata al gravissimo danno per la salute e l’incolumità (tentativo di suicidio). Totale di giorni 183 x 800 die=Euro 146.400 oltre spese legali in proporzione, secondo il principio della soccombenza e sulla base del relativo scaglione di valore della causa.
Si assume che al ricorrente spettava il riconoscimento dell’equo indennizzo nei termini indicati.
Nei termini di legge il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Per il Ministero dell’Economia e delle Finanze l’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, i cui motivi vanno valutati congiuntamente, è inammissibile perché volto ad ottenere l’applicazione dell’art. 314 cod. proc. pen. in un caso diverso da quelli cui questa norma si riferisce.
Questa Corte di legittimità ha già avuto modo di sottolineare (Sez. 4, n. 28369 del 23/06/2022, COGNOME , Rv. 283663, Sez. 4 n. 13087 dell’8.3.2023, n.m.) che la disposizione in esame riguarda casi in cui un soggetto subisce ingiusta privazione della libertà personale a causa di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria e non può trovare applicazione quando – come nel caso di specie – la dedotta “ingiustizia” della detenzione non è conseguenza di un provvedimento cautelare adottato in sede giurisdizionale, ma, piuttosto, della inottemperanza a quel provvedimento.
L’art. 314 cod. proc. pen. disciplina, infatti, il caso in cui si sia accertato decisione irrevocabile che le condizioni per l’adozione di una misura cautelare difettavano “ah initio” e il provvedimento applicativo che disponeva la misura era stato «emesso o mantenuto» senza che sussistessero le condizioni di
applicabilità previste dagli articoli 273 e 280 di talché non è possibile applicare tale norma in un caso nel quale l’autorità giudiziaria ha provveduto alla revoca della custodia in carcere e all’applicazione della misura di sicurezza detentiva.
In tale ipotesi, infatti, il pregiudizio lamentato dal ricorrente non è dipeso da “mantenimento” della misura cautelare da parte dell’Autorità giudiziaria, bensì dalla mancata esecuzione del provvedimento che disponeva il trasferimento in REMS, imputabile a ritardi burocratici o a problemi logistici e finanziari che non sono imputabili all’Autorità giudiziaria o al Ministero della Giustizia, e perciò eventuali conseguenze dannose di tali criticità e contraddizioni non possono essere poste a carico del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Ed infatti le misure di sicurezza, eseguite presso una REMS a seguito dell’entrata in vigore del d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito nella legge 17 febbraio 2012, n. 9, hanno natura detentiva e comportano una privazione della libertà personale e «il passaggio dallo stato detentivo presso il centro clinico di un istituto carcerario ad un analogo stato detentivo presso una REMS» non può essere ricondotto entro l’ambito applicativo dell’art. 314 cod. proc. pen.
La “ratio” della disposizione in esame, infatti, è quella di «fornire un’adeguata tutela ai casi in cui vi sia stata un’indebita privazione della libertà personale i via cautelare» e questa norma non è destinata ad operare quando il danno lamentato dall’istante, non deriva da una privazione della libertà personale che non avrebbe dovuto avvenire, bensì dalle modalità con le quali tale privazione della libertà personale è stata realizzata.
Va altresì rilevato che con la sentenza del 24 gennaio 2022 (ricorso n. 11791/20 «Causa RAGIONE_SOCIALE c./Italia») la Corte Europea ha riconosciuto (par. 128) «che la detenzione in ambiente penitenziario e il ricovero in REMS sono misure diverse per quanto riguarda le loro condizioni di applicazione, le loro modalità di esecuzione e lo scopo che esse perseguono» ma non ha contestato la natura detentiva delle due misure. Ha precisato che il ritardo nel passaggio da un istituto carcerario a una REMS deve essere contenuto nel tempo ed essere debitamente giustificato. Tali indicazioni impongono allo Stato italiano di adattare le proprie strutture in modo da evitare che casi come quello lamentato dall’odierno ricorrente possano verificarsi, ma non consentono di applicare l’art. 314 cod. proc pen. in ipotesi radicalmente diverse da quelle per le quali è stato introdotto.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di euro tremila in favore della C delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità. Lo stesso deve essere altresì condannato a rifondere le spes Ministero resistente.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ht GLYPH 77J Ammende nonché alla rifusione delle speséisostenute dal Ministero resistent che liquida in complessivi Euro 1000,00.
Così deciso il 21 gennaio 2025.