Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13358 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13358 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Podestà NOME nato in Argentina il 08/12/1969
avverso l’ordinanza del 24/10/2024 della Corte d’appello di Roma.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del P.G.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, quale giudice della riparazione, con l’ordinanza impugnata ha respinto la domanda con la quale NOME COGNOME ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita nell’ambito di un procedimento penale in ordine al reato di rapina aggravata dal quale è stato definitivamente assolto.
Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso l’interessato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 cod. proc. pen., censurando le argomentazioni adottate dalla Corte territoriale in ordine al supposto comportamento gravemente colposo ostativo al risarcimento per ingiusta detenzione, avendo il giudice valorizzato, al fine della esclusione del diritto, quale condotta extraprocessuale connotata da colpa grave, un presunto tentativo di fuga, senza considerare che il ricorrente era solo il passeggero della motocicletta condotta da COGNOME NOME, il quale deteneva un’arma clandestina e che la presunta fuga sarebbe occorsa a distanza di 44 giorni dalla rapina ed in luogo diverso. Anche il fatto che l’abbigliamento fosse simile a quello dell’autore del delitto ovvero il verosimile riconoscimento fotografico sono elementi estranei alla condotta del Podestà, quindi non ostativi al riconosciento dell’indennizzo.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
In linea di principio, si deve osservare che il dolo o la colpa grave idonei ad escludere l’indennizzo per ingiusta detenzione devono sostanziarsi in comportamenti specifici che abbiano “dato causa” all’instaurazione dello stato privativo della libertà o abbiano “concorso a darvi causa”, sicché è ineludibile l’accertamento del rapporto causale, eziologico, tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà personale. Al riguardo, si deve innanzitutto rilevare che è sempre necessario che il giudice della riparazione pervenga alla sua decisione di escludere il diritto in questione in base a dati di fatto certi, cioè a elementi «accertati o non negati» (Sez. U n. 43 del 13/12/1995 – dep. 1996, COGNOME, Rv. 203636). Tale valutazione, quindi, non può essere operata sulla scorta di dati congetturali, non definitivamente comprovati non solo nella loro ontologica esistenza, ma anche nel rapporto eziologico tra la condotta tenuta e la sua idoneità a porsi come elemento determinativo dello stato di privazione della libertà, in riferimento alla fattispecie di reato per la quale il provvedimento restrittivo venne adottato (cfr., in motivazione, Sez. 4, n. 10684 del 26/01/2010, Morra, non mass.).
Tanto premesso, la motivazione dell’ordinanza impugnata è gravemente carente e illogica, in quanto evidenzia profili di colpa grave di cui non spiega l’incidenza causale rispetto all’adozione della misura detentiva.
In particolare, le ragioni poste a fondamento della reiezione dell’istanza appaiono incongrue ed erronee in diritto, in quanto la Corte della riparazione le individua in condotte asseritamente colpose tenute dal Podestà, consistenti in un presunto tentativo di fuga intercorso ben 44 giorni dopo il reato di rapina che qui rileva e nel supposto tentativo del medesimo di ostacolare la propria identificazione dopo il fermo; il tutto senza spiegare l’effettiva incidenza causale di tali condotte con l’emissione di una misura cautelare che, da quanto è dato desumere dalla stessa ordinanza impugnata, sotto il profilo indiziario era fondata essenzialmente sulla individuazione fotografica ad opera della persona offesa, la quale riconosceva nella foto del Podestà colui che “verosimilmente” era stato l’autore della rapina subita oltre un mese prima.
Peraltro, anche ammesso che il comportamento di fuga ad opera del richiedente, a fronte di un posto di blocco della polizia, possa costituire condotta oggettivamente “sospetta”, la stessa non sarebbe comunque collegata al reato cui si riferisce il titolo cautelare che qui rileva, ma semmai ad una successiva azione che l’ordinanza impugnata neppure connota da elementi di illiceità; e anche ammesso che tali elementi fossero configurabili (ad es. atti preparatori ad una ulteriore rapina), si tratterebbe di una condotta illecita diversa da quella fondante il titolo cautelare oggetto di riparazione, e la giurisprudenza di legittimità pacificamente esclude che la condotta ostativa possa essere ravvisata per condotte colpose che si riferiscono a reati diversi da quelli oggetto dell’istanza di ingiusta detenzione (cfr. Sez. 4, n. 10195 del 16/01/2020, COGNOME, Rv. 278645 – 01; Sez. 4, n. 2619 del 07/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 276253 – 01).
Difatti, se si tratta di illeciti “diversi” da quelli che hanno determinato la misura custodiale, viene a mancare un elemento fondante della condotta ostativa all’indennizzo, vale a dire la necessaria sussistenza di un nesso eziologico fra il comportamento dell’interessato e la sua privazione della libertà, conseguente ad un provvedimento del giudice determinato da un errore cui proprio quel comportamento ha dato (o contribuito a dare) causa.
Sotto questo profilo, le argomentazioni dell’ordinanza impugnata appaiono erronee in diritto, perché dimostrano di non avere compreso che il diritto all’indennizzo può essere escluso, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., solo in presenza di un comportamento doloso o colposo che abbia avuto un effetto sinergico rispetto alla specifica misura custodiale subita dall’interessato.
GLYPH I vizi logico-giuridici dianzi GLYPH indicati impongono l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’appello di Roma.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Roma.
Così deciso il 26 febbraio 2025
Il Consigrere estensore
GLYPH
Il Presidente