Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23736 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23736 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 03/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Offenbach (Germania) il 17/05/1981
avverso l’ordinanza del 07/01/2025 della Corte di appello di Catania;
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ho chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria depositata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME del foro di Ragusa, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 7 gennaio 2025 la Corte di appello di Catania ha rigettato la domanda formulata da NOME COGNOME per la riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione alla misura cautelare degli arresti domiciliari dal 18 maggio 2018 (data in cui fu tratto in arresto) al giorno 11 ottobre 2018 (data in cui la misura fu revocata) per poi essere definitivamente assolto dall’addebito con sentenza emessa dal Tribunale di Ragusa in data 16 maggio 2023 (irrev. 17 ottobre 2023).
La misura cautelare nei confronti di NOME COGNOME fu disposta in quanto gravemente indiziato di aver ceduto sostanza stupefacente del tipo marijuana in concorso con la sorella NOME COGNOMEcapo E) e con il suo compagno NOME COGNOMEcapo F).
1.1. Più in particolare, l’ordinanza impugnata ha ritenuto sussistente la colpa grave di cui all’art. 3.14, comma 1, cod. proc. pen., osservando che il ricorrente, assuntore di cocaina e marijuana, intrattenne conversazioni dal tenore criptico con la sorella NOME COGNOME e NOME COGNOME il cui coinvolgimento del traffico degli stupefacenti gli era noto; che questi ha ammesso, con riguardo ad un dialogo in cui si discute di “mattonelle”, di aver potuto usare un linguaggio “paludato nelle conversazioni, proprio perché non voleva fare esplicito riferimento allo stupefacente” (p. 4 ordinanza); che deponevano per la colpa ostativa anche le conversazioni in cui si discuteva dei “cento metri” richiesti da una signora e di “venti giorni” di lavoro richiesti al ricorrente dal Qantar: dialoghi la cui interpretazione in chiave lecita, da parte dei giudici della imputazione, è stata semplicemente affermata, senza spiegare le ragioni per cui sia stata ritenuta preferibile rispetto a quella formulata in sede cautelare.
I giudici della riparazione, infine, hanno valorizzato i dialoghi registrati subito dopo il rinvenimento, da parte dei carabinieri, dello stupefacente nei pressi dell’abitazione di NOME COGNOME dove si trovava il ricorrente, il quale contattò il Qantar, che gli disse di “accollarsi” la responsabilità per quel fatto.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., guanto segue.
2.1. Con un unico motivo deduce violazione di legge e vizio della motivazione.
Secondo il ricorrente i giudici della riparazione sono incorsi in errore nel procedere ad una non consentita reinterpretazione dei dialoghi intercettati,
attribuendogli una connotazione illecita invece esclusa dai giudici della imputazione.
D’altra parte, dall’analisi delle conversazioni emerge con chiarezza che i termini ritenuti criptici dai giudici della riparazione furono in realtà utilizzati dal Qantar, non dal Cullo
In ogni caso COGNOME aveva intrattenuto rapporti di sola natura lavorativa con iI Qantar.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1 Il ricorso è fondato.
2. Essendo stata dedotta una ipotesi di c.d. ingiustizia sostanziale, è compito del giudice della riparazione valutare se l’imputato, con una condotta gravemente negligente o imprudente, abbia tenuto una condotta dolosa o gravemente colposa, che abbia anche solo concorso ad indurre in inganno l’autorità giudiziaria in relazione alla sussistenza dei presupposti per l’adozione di una misura cautelare.
In tal modo la connotazione solidaristica dell’istituto viene quindi ad essere contemperata con il dovere di responsabilità gravante su tutti i consociati (cfr., Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, in motivazione; Sez. U, n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, in motivazione; Sez. 4, n. 18446 del 06/05/2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 6628 del 23/1/2009, COGNOME, non mass. sul punto).
2.1. Questa Corte, nella sua più autorevole composizione, ha più volte ribadito che il giudice della riparazione deve procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze processuali rispetto al giudice penale.
Ciò in quanto è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione” (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, COGNOME, Rv. 222263 – 01; Sez. U, COGNOME, cit.).
La valutazione deve essere effettuata ex ante, e ricalca quella eseguita al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo, ed è volta a verificare, seppur in presenza di un errore dell’autorità procedente: in primo luogo, se dal quadro indiziario a disposizione del giudice della cautela potesse desumersi l’apparenza della fondatezza delle accuse, pur successivamente smentita dall’esito
del giudizio; in secondo luogo, se a questa apparenza abbia contribuito il comportamento extraprocessuale e processuale tenuto dal ricorrente (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663).
Inoltre, il giudizio per la riparazione dell’ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio.
L’autonomia tra i due giudizi riguarda la valutazione dei fatti, ma non l’accertamento degli stessi, irrevocabilmente compiuto nel giudizio di cognizione.
Per tale ragione, la sussistenza del dolo o della colpa grave ostativi al riconoscimento del diritto all’indennizzo non può essere desunta da condotte che la sentenza di assoluzione abbia ritenuto non sussistenti o non sufficientemente provate (cfr., Sez. U n. 43 del 13/12/1995, dep. 1996, COGNOME, in motivazione, secondo cui il giudice dell’equa riparazione, deve valutare se certi comportamenti “accertati o non negati”, e pur sempre riferibili alla condotta cosciente e volontaria del soggetto, possano avere svolto un ruolo almeno sinergico nel trarre in errore l’autorità giudiziaria; Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350 01; Sez. 4, n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039 – 01; Sez. 4, n. 11150 del 19/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262957 – 01; Sez. 3, n. 19998 del 20/04/2011, COGNOME, Rv. 250385 – 01).
2.2. Nel caso in esame la Corte della riparazione ha ritenuto ostativo al riconoscimento dell’indennizzo il rapporto del ricorrente con persone imputate nel medesimo procedimento, con le quali intratteneva conversazioni caratterizzate dall’utilizzo simulato di alcuni termini propri dell’edilizia.
In tal modo ha inteso richiamare il principio, costantemente affermato, secondo il quale la condizione ostativa può essere integrata da comportamenti quali l’utilizzo da parte dell’indagato di frasi in “codice”, effettivamente destinate a occultare un’attività illecita, anche se diversa da quella oggetto dell’accusa e per la quale fu disposta la custodia cautelare (Sez. 4, n. 44997 del 19/11/2024, Marino, non mass.; Sez. 4, n. 46584 del 12/11/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 3374 del 20/10/2016, dep. 2017, Aga, Rv. 268954 – 01, con conferma della decisione di rigetto in un caso in cui “l’allusività delle conversazioni, l’uso di lermin fuori contesto e lo stesso riferimento a pagamenti privi di causale apparente rimandavano a rapporti opachi se non a traffici illeciti”; Sez. 4, n. 48029 del 18/09/2009, COGNOME, Rv. 245794 – 01).
Nell’applicare questo principio, tuttavia, la Corte della riparazione non ha considerato che, a quanto consta dallo stesso provvedimento impugnato (pp. 3, 5 e 6), il carattere criptico del linguaggio è stato escluso dai giudici di merito, i quali hanno accertato che i dialoghi in questione erano effettivamente relativi ai rapporti
di natura lavorativa, intrattenuti dal ricorrente con soggetti escussi in dibattimento; rapporti ai quali realmente si riferivano i termini adoperati (“cento
metri” “venti giorni” ecc.), quindi usati nel loro senso comune, peraltro non dal ricorrente ma dai suoi interlocutori.
La Corte territoriale, su questo profilo, ha invece sovvertito la valutazione compiuta dai giudico di merito, affermandone la inverosimiglianza e proponendo
la propria interpretazione dei dialoghi intercettati e delle prove acquisite in dibattimento (pp. 5 e 6), finendo così per desumere la condotta ostativa da fatti –
l’occultamento del reale contenuto di un dialogo attraverso un linguaggio criptico
– che sono stati esclusi o ritenuti non sufficientemente provati dal giudice della cognizione, così integrando il vizio denunciato dal ricorrente.
La Corte della riparazione, pur dovendo valutare la condotta del Corto ponendosi in una prospettiva
ex ante, avrebbe invece dovuto muovere dal
comportamento del ricorrente per come emerso dalla ricostruzione della vicenda culminata nel giudizio assolutorio.
Né in senso contrario depongono le dichiarazioni del Corto in sede di interrogatorio, che nulla ricordava di quei dialoghi, e si è limitato a formulare delle ipotesi (pp. 3 e 4 ordinanza ricorsa), fermo restando che quanto dichiarato nell’interrogatorio non potrebbe assumere valenza sinergica rispetto alla emissione della misura cautelare, ma semmai al mantenimento.
Tali considerazioni impongono l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio alla Corte di appello di Catania, cui si demanda anche il governo delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Catania, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, 3 aprile 2025