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Ingiusta detenzione: le spese legali se lo Stato si oppone

Due cittadini ottengono un risarcimento per ingiusta detenzione, ma la Corte d’Appello compensa le spese legali, ritenendo che lo Stato non si fosse costituito in giudizio. La Cassazione interviene, chiarendo un principio fondamentale: se il Ministero dell’Economia si costituisce e si oppone attivamente alla richiesta di risarcimento, in caso di sconfitta deve rimborsare le spese legali. La sentenza annulla parzialmente la decisione e rinvia il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione sulle spese.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ingiusta detenzione: spese legali a carico dello Stato se si oppone alla richiesta

Ottenere un risarcimento per ingiusta detenzione è un percorso complesso che mira a ristorare, almeno in parte, il danno subito da chi è stato ingiustamente privato della libertà. Ma chi paga le spese legali necessarie per avviare questa procedura? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9327/2024) fa luce su un aspetto cruciale: il rimborso delle spese processuali da parte dello Stato. La Corte ha stabilito che se il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) non si limita a subire il procedimento, ma si costituisce in giudizio e si oppone attivamente alla richiesta del cittadino, allora, in caso di sconfitta, è tenuto a pagare le spese legali.

La vicenda analizzata riguarda due persone che, dopo aver ottenuto la liquidazione di una somma a titolo di riparazione, si sono viste negare il rimborso delle spese legali. La Corte d’Appello aveva infatti compensato integralmente le spese, partendo dal presupposto errato che il MEF non si fosse costituito in giudizio. I ricorrenti hanno impugnato questa decisione, sostenendo che l’Avvocatura dello Stato si era invece regolarmente costituita, trasformando il procedimento in un vero e proprio contenzioso.

Il principio della soccombenza nell’ingiusta detenzione

Il cuore della questione risiede nella natura del procedimento per la riparazione da ingiusta detenzione. La giurisprudenza ha chiarito che si tratta di un procedimento a ‘contraddittorio necessario’, il che significa che la domanda deve essere notificata al MEF. Tuttavia, non è necessariamente ‘contenzioso’.

Cosa significa? Lo Stato, attraverso il Ministero, può scegliere di non costituirsi o di aderire alla richiesta del privato. In questi casi, non essendoci un reale conflitto di interessi, non si può parlare di una parte ‘soccombente’ (perdente) e, di conseguenza, non può essere condannato a pagare le spese.

La situazione cambia radicalmente quando l’Amministrazione decide di costituirsi in giudizio e di opporsi alla richiesta, ad esempio contestando il diritto al risarcimento o la sua entità. In questo scenario, il procedimento assume carattere contenzioso. Se le difese dello Stato vengono respinte dal giudice, l’Amministrazione diventa a tutti gli effetti la parte soccombente e, in base al principio generale del nostro ordinamento, deve farsi carico delle spese legali della controparte.

La decisione della Cassazione sulla compensazione delle spese

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso su questo specifico punto, ha ribadito e rafforzato tale principio. Ha affermato che il secondo motivo di ricorso, relativo alla compensazione delle spese, era fondato. La Corte territoriale aveva errato nel ritenere che il MEF non si fosse costituito, mentre i ricorrenti avevano correttamente allegato la sua rituale costituzione tramite l’Avvocatura dello Stato.

La sentenza chiarisce che il giudice del rinvio (la Corte d’Appello in una nuova composizione) dovrà verificare se il MEF si sia effettivamente costituito e, in caso affermativo, valutare la natura delle sue difese. Se l’Amministrazione ha svolto eccezioni volte a ‘paralizzare o ridurre la pretesa’ dei richiedenti e queste sono state rigettate, allora dovrà essere condannata a rimborsare le spese legali.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che l’attivazione della procedura giudiziale è una necessità per il cittadino che vuole ottenere l’indennizzo, poiché lo Stato non può procedere spontaneamente al pagamento. Se l’Amministrazione non si oppone, non può essere considerata soccombente. Tuttavia, nel momento in cui sceglie di contestare attivamente la richiesta, trasforma la natura del procedimento. Il contraddittorio diventa pienamente contenzioso e si applica la regola della soccombenza. Viene anche precisato che la liquidazione di un indennizzo inferiore a quello richiesto non costituisce un’ipotesi di ‘soccombenza parziale’ del cittadino, poiché l’ammontare del danno non è predeterminabile e il ricorrente sollecita l’esercizio di un potere ufficioso di liquidazione da parte del giudice.

Le conclusioni

Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche per chiunque si trovi ad affrontare un percorso per il risarcimento da ingiusta detenzione. Stabilisce un chiaro spartiacque: la condotta processuale dello Stato è determinante per la sorte delle spese legali. I cittadini e i loro difensori devono quindi prestare massima attenzione alla posizione assunta in giudizio dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Se l’Avvocatura dello Stato si oppone alla domanda, si apre la strada per ottenere, oltre al giusto indennizzo, anche il rimborso integrale delle spese sostenute per far valere i propri diritti.

In un procedimento per ingiusta detenzione, lo Stato deve sempre pagare le spese legali del cittadino?
No. Lo Stato è tenuto a pagare le spese legali solo se si costituisce in giudizio tramite il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e si oppone attivamente alla richiesta del cittadino, svolgendo difese che vengono poi respinte dal giudice. Se lo Stato non si costituisce o aderisce alla richiesta, non è considerato parte soccombente e non deve pagare le spese.

Cosa succede se il giudice liquida una somma inferiore a quella richiesta per l’ingiusta detenzione?
Secondo la sentenza, la liquidazione di un indennizzo in misura inferiore a quella richiesta non integra, di per sé, un’ipotesi di soccombenza parziale del ricorrente. Questo perché l’ammontare del danno non è predeterminabile e il cittadino si limita a sollecitare il potere del giudice di liquidare una somma equa.

Quali danni sono risarcibili in caso di ingiusta detenzione oltre al tempo trascorso in carcere?
La sentenza menziona diversi tipi di danno risarcibile oltre a quello calcolato con criterio aritmetico per la detenzione. Tra questi vi sono i danni patrimoniali (come la perdita di reddito o l’impossibilità di pagare finanziamenti) e non patrimoniali, come le sofferenze fisiche e psichiche e il cosiddetto strepitus fori, ovvero il danno alla reputazione causato dalla notorietà del caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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