Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 26 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 26 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a PALAZZO ADRIANO il 02/08/1978
avverso l’ordinanza del 15/02/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Palermo, quale giudice dela riparazione, con l’ordinanza impugnata ha respinto la domanda con la quale NOME COGNOME ha chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita nell’ambito di un procedimento penale per il reato di omicidio volontario in danno di NOME COGNOME dal quale è stato definitivamente assolto.
La vicenda trae origine da una accesa discussione intervenuta fra COGNOME NOME (nipote del ricorrente) e NOME, nel corso della quale, secondo l’ipotesi accusatoria, COGNOME NOME aveva immobilizzato con una manovra fulminea il NOME NOME, mentre NOME si era avvicinato a quest’ultimo e lo aveva accoltellato con un fendente al fianco sinistro, provocandone poco dopo la morte.
Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso l’interessato, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 314 cod. proc. pen., per insussistenza della condotta colposa asseritamente commessa dall’interessato.
Si deduce che le spontanee dichiarazioni rese dal ricorrente in sede di indagini, ritenute colposamente causative della detenzione, non sono utilizzabili per mancanza di avviso ex art. 199 cod. proc. pen., visto che il ricorrente era prossimo congiunto del Greco NOME. In ogni caso, in tali dichiarazioni la riscontrata discrasia è solo apparente e comunque le stesse non sono state poste a fondamento della misura cautelare, per cui difetta il nesso causale fra le stesse e la misura custodiale. La sentenza di cognizione ha ritenuto del tutto neutro l’apporto delle dichiarazioni del ricorrente/imputato. La misura emessa poggiava sulle asserite contraddizioni esistenti fra le versioni rese dall’interessato e le dichiarazioni rese dai testimoni oculari (NOME NOME, padre della vittima, COGNOME NOME e NOME NOME, cugino della vittima), le quali sono state ritenute contraddittorie e inattendibili dalla sentenza assolutoria, sicché tali dichiarazioni testimoniali non possono essere valutate in maniera diametralmente opposta dalla Corte della riparazione, al fine di fondare la colpa ostativa dell’istante. È stata, inoltre, omessa la valutazione degli elementi di favor presenti agli atti sin dalle indagini, fra cui le intercettazioni che evidenziavano la sussistenza di intenti vendicativi dei testi COGNOME NOME e COGNOME NOME (cl. 2001) nei
confronti del ricorrente, nonché quelle della stessa vittima COGNOME COGNOME (cl. 1988), la quale, nell’immediatezza, riferiva di un litigio esclusivamente con il cugino NOMECOGNOME
Infine, la colpa grave non può essere fondata sulla circostanza che il ricorrente si sia avvalso della facoltà di non rispondere al momento dell’interrogatorio di garanzia, come erroneamente ritenuto dall’ordinanza impugnata.
Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, là dove evidenzia come la condotta ostativa sia stata desunta esclusivamente sulla base della valutazione degli elementi indiziari svolta dal GIP in sede cautelare, senza considerare quanto poi avvenuto nel processo di cognizione, che ha accertato l’inattendibilità delle deposizioni dei testi oculari (su cui il GIP aveva basato la misura, anche perché in contrasto con le dichiarazioni rese dal ricorrente quando costui non era ancora indagato).
L’ordinanza impugnata, in definitiva, si è limitata a valutare il quadro indiziario che aveva giustificato l’emissione della misura custodiale, senza tenere conto di quanto successivamente accertato in sede di merito, con il conseguente ribaltamento riguardante la valutazione di inattendibilità delle testimonianze che avevano sostenuto, in prima battuta, i gravi indizi di colpevolezza posti a fondamento della misura.
Difatti, è indubbio che, nell’escludere il diritto alla riparazione per la ritenuta sussistenza di un comportamento doloso o gravemente colposo che abbia “dato causa” (o concorso a dare causa) alla privazione della libertà personale, il giudice della riparazione deve attenersi a dati di fatto «accertati o non negati» nel giudizio di merito (Sez. U n. 43 del 13/12/1995 – dep. 1996, COGNOME, Rv. 203636). Si è sottolineato, in proposito, che l’autonomia tra i due giudizi non implica che il dolo o la colpa grave possano essere desunti da condotte che la sentenza di assoluzione abbia ritenuto non sussistenti o non sufficientemente provate (Sez. 4, n. 46469 del 14/09/2018, COGNOME, Rv. 274350; Sez. 4, n, 21598 del 1.5/4/2014, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 1573 del 18/12/1993, dep. 1994, COGNOME, Rv. 198491).
Occorre, inoltre, qui ribadire che, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice, per stabilire la sussistenza di un comportamento processuale o extraprocessuale ostativo al riconoscimento del beneficio, è tenuto
a valutare “ex ante”, secondo un iter logico motivazionale del tutto autonomo da quello del processo di merito, tutti gli elementi probatori disponibili, atti dimostrare che la condotta sia stata il presupposto che abbia ingenerato, seppur in presenza di un errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (In motivazione, la Corte ha precisato che non può ricorrere ipotesi di condotta ostativa al riconoscimento del beneficio nel caso in cui si accerti, sulla base di “precisi elementi” già a disposizione del giudice della cautela e per effetto della sola diversa valutazione di essi, che difettavano “ah origine” le condizioni per la sussistenza del reato). (Vedi: Sez. U. n.43 del 13/12/1995, dep. 1996, Rv. 203636-01). (Sez. 4, n. 39726 del 27/09/2023, Rv. 285069 – 01).
L’ordinanza impugnata non ha fatto buon governo dei principi di diritto sopra enunciati.
Non si è confrontata in alcun modo con le motivazioni poste a fondamento della (doppia) sentenza di assoluzione, la quale, diversamente da quanto valutato dal GIP, ha ricostruito la vicenda svalutando totalmente le dichiarazioni rese dai testi NOME NOME (padre della vittima) e NOME NOME (ci. 2001, nipote del primo) – le cui versioni avevano inizialmente avallato il coinvolgimento del richiedente nell’azione omicidiaria del nipote – valorizzando invece le dichiarazioni rese dall’unico teste neutrale (nel senso di soggetto non imparentato con i vari protagonisti della vicenda) presente ai fatti, COGNOME NOME, secondo cui: prima che NOME sferrasse la coltellata all’indirizzo di NOME, i due erano venuti alle mani e avevano più volte tentato di aggredirsi vicendevolmente; in tale contesto, i giudici di merito hanno definitivamente accertato che l’odierno istante “aveva afferrato la vittima, bloccandola, nel tentativo di impedire che quest’ultima si scagliasse contro il primo , dunque non al fine di agevolare l’azione omicidiaria di COGNOME Giuseppe” (v. fg 15-16 sentenza Corte d’Assise d’appello).
I giudici della riparazione, per contro, hanno ingiustificatamente valorizzato solo quanto emerso nel corso delle indagini (v. pag. 6), ritenendo sostanzialmente legittima, in quella fase, la valutazione operata dagli inquirenti, nel senso di ritenere che il ricorrente si fosse accordato con il nipote (autore dell’accoltellamento) per fornire una versione di comodo dell’accaduto.
In tal modo, tuttavia, i giudici della riparazione hanno confuso il piano della valutazione della gravità indiziaria ex art. 273 cod. proc. pen. ai fini della emissione della misura cautelare con quello della verifica ex post di una condotta ostativa,
gravemente colposa, sinergica all’emissione della misura, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen.
Del resto, come già detto, la facoltà del giudice della riparazione di valutare autonomamente i dati indiziari processualmente emersi, al fine di stabilire l’eventuale sussistenza di fattori ostativi al diritto all’indennizzo, non può spingersi fino al punto di attribuire al richiedente comportamenti che risultano esclusi o comunque non provati da parte del giudice della cognizione, in quanto ciò significherebbe stravolgere il principio solidaristico che è alia base dell’istituto, consentendo di negare l’istanza sulla base di elementi disattesi dalla stessa sentenza di assoluzione, costituente presupposto dell’ingiusta detenzione.
In buona sostanza, è evidente che l’eventuale colpa ostativa del ricorrente non può essere desunta da fatti o comportamenti la cui valenza negativa è stata definitivamente esclusa in sede di cognizione.
Inoltre, se gli elementi presenti nelle indagini erano gli stessi del giudizio di merito, come pare sia avvenuto nel caso di specie, la differente valutazione operata non può che comportare l’assenza di incidenza causale del comportamento dell’interessato.
Infatti, per usare le parole di S.U. COGNOME (sent. n. 32383/2010, Rv. 247663), quella stessa condotta non può essere considerata gravemente colposa ai fini del diniego del diritto alla riparazione ove si accerti che tali condizio difettavano ab origine e a tale accertamento il giudice della cognizione pervenga «sulla base degli stessi precisi elementi» che erano a disposizione del giudice della cautela «e in ragione esclusivamente di una loro diversa valutazione». In questi casi – sottolinea la sentenza – «la possibilità del diniego del diritto alla riparazione per effetto della condizione ostativa della condotta sinergica del soggetto rimane effettivamente preclusa in forza dello stesso meccanismo “causale” che governa l’operatività della condizione in parola». La rilevanza della condotta ostativa «si misura, infatti, non sulla influenzabilità della persona del singolo giudice, bensì sulla idoneità a indurre in errore la struttura giudiziaria preposta alla trattazione del caso, complessivamente e oggettivamente intesa» (v. pagg. 31 e 32 della motivazione).
Alle superiori considerazioni consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata ed il rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Palermo.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Palermo.
Così deciso il 30 novembre 2023
Il Consig e estensore
Il Presi ente