Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 47334 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 47334 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PADOVA il 03/02/1973
avverso l’ordinanza del 29/11/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del PG, che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe la Corte di appello di Venezia ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da NOME COGNOME in relazione all’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere disposta dal 18/06/2019 al 13/01/2020 e degli arresti domiciliari, disposti dal 14/01/2020 sino al 26/06/2020, a seguito di arresto in quasi flagranza per il reato tentato omicidio in concorso (del figlio della propria compagna) dal quale l’imputato era stato assolto con sentenza del 16/12/2021, divenuta irrevocabile il 1°/05/2022.
In punto di fatto, la Corte territoriale ha esposto che l’incolpazione aveva ascritto al COGNOME, in concorso con NOME COGNOME, di avere colpito NOME COGNOME, figlio della compagna dello stesso istante; che, in sede di istanza introduttiva, il ricorrente aveva dedotto di essere stato ritenuto concorrente nell’aggressione solo per effetto del ritrovamento di una traccia ematica sulla gamba dello stesso istante, presumibilmente dovuta ad altra causa.
La Corte d’appello, quale giudice adito ai sensi dell’art.315 cod.proc.pen., ha quindi ritenuto che la domanda non potesse essere accolta attesa la sussistenza del presupposto ostativo rappresentato dalla colpa grave del ricorrente.
r In particolare, sulla base della lettura dell’ordinanza cautelare pronunciata all’esito di udienza di convalida – il Collegio ha ritenuto che la misura coercitiva fosse stata applicata in conseguenza del silenzio serbato dal Gechele in tale sede, posto che ricorreva un quadro gravemente indiziario (considerando che il Dardengo presentava segni evidenti di un’aggressione e che sulla persona del ricorrente era stata rinvenuta una macchia di origine ematica) e che solo l’arrestato avrebbe potuto fornire effettivamente una diversa lettura degli atti e tanto sulla base di quanto espressamente valorizzato dal GIP procedente; ha quindi ritenuto che tale silenzio, intervenuto nel quadro di un grave contesto indiziario, fosse idoneo a perfezionare la colpa grave ostativa rispetto al riconoscimento dell’indennizzo e tanto in necessaria correlazione con la situazione verificatasi in concreto; dovendosi ritenere che il silenzio serbato dall’indagato avesse costituito una condotta equivoca e ambigua non equiparabile a quello tenuto nell’esercizio delle attività difensive; condotta ambigua riscontrabile anche successivamente, attesa la mancata prospettazione di elementi persuasivi tali da far apprezzare le ragioni per le quali erano state espresse plurime dichiarazioni accusatorie nei confronti dell’indagato.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME tramite il proprio difensore, articolando due motivi di impugnazione – unitariamente illustrati – con i quali ha dedotto: 1) l’erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.b), cod.proc.pen., in riferimento ai presupposti previsti dall’art.314 cod.proc.pen.; 2) la mancanza e/o la palese illogicità della motivazione, ai sensi dell’art.606, comma 1, lett.e), cod.proc.pen., in riferimento ai medesimi presupposti.
Ha dedotto che – a seguito dell’innovazione normativa introdotta dal d.lgs. n.188/2021 – doveva escludersi che il silenzio serbato in sede di interrogatorio, per effetto dell’esercizio della facoltà di non rispondere, fosse idoneo a concretizzare l’elemento ostativo del dolo o della colpa grave, rimanendo quindi del tutto generico e contraddittorio il riferimento operato dalla Corte territoriale alla situazione determinatasi in concreto.
Specificamente, in punto di fatto, ha esposto che – in sede di primo interrogatorio effettuato di fronte al p.m. – l’indagato si era avvalso della facoltà di non rispondere rendendo dichiarazioni spontanee; avvalendosi poi della relativa facoltà in sede di udienza di convalida, anche per la situazione contingente di stress psicofisico determinato dall’arresto e dalla appena intervenuta designazione del difensore d’ufficio; che, il successivo 19/07/2019, l’istante aveva quindi reso interrogatorio di fronte al p.m., solo ventotto giorni dopo l’arresto, fornendo la sua ampia versione dell’accaduto, pure genericamente ritenuta dalla Corte come “scarsamente verosimile e non riscontrabile”; ha dedotto che, in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, la Corte aveva indicato solamente alcuni elementi non univoci e non tenenti conto di fatti risultanti dagli atti indagine e conoscibili dal GIP procedente, tanto da essere stati evidenziati in sede di sentenza di assoluzione, ma trascurati in sede di ordinanza applicativa; in sintesi, ha quindi argomentato che il comportamento processuale tenuto dal ricorrente non potesse ritenersi connotato dal dolo o dalla colpa grave.
Il Procuratore generale ha presentato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Va premesso che, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, costituisce causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo la sussistenza d un comportamento – da parte dell’istante – che abbia concorso a darvi luogo con dolo o colpa grave.
In particolare, la condizione ostativa al riconoscimento del diritt all’indennizzo, rappresentata dall’avere il richiedente dato causa all’ingiu carcerazione, deve concretarsi in comportamenti, non esclusi dal giudice della cognizione, di tipo extra-processuale (grave leggerezza o macroscopica trascuratezza tali da aver dato causa all’imputazione) o processual (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi), in ordi alla cui attribuzione all’interessato e incidenza sulla determinazione del detenzione il giudice è tenuto a motivare specificamente (Sez.4, n.34656 del 3/6/2010, COGNOME, RV. 248074; Sez.4, n. 4372 del 21/10/2014, dep.2015, COGNOME COGNOME, RV. 263197; Sez.3, n. 28012 del 5/7/2022, COGNOME, RV. 283411); in particolare, il giudice di merito, per stabilire se chi ha pati detenzione vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, al fine di stabi con valutazione ex ante e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, l falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale (Sez.4, n. 335 del 22/9/2016, dep.2017, COGNOME, RV. 268952), con particolare riferimento alla commissione di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti (Sez.4, n.27548 del 5/02/2019, Hosni, RV. 276458). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Deve altresì essere ricordato che, sulla base dell’arresto espresso d Sez. U, n.43 del 13/12/1995, dep.1996, COGNOME, RV. 203638, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della s commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un iter logico-motivazionale del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento “detenzione”; e in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà esaminare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, ben
al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione ( natura civilistica), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventua sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazio derivandone, in diretta conseguenza di tale principio, quello ulteriore in ba al quale il giudice del procedimento di riparazione per ingiusta detenzione può rivalutare fatti emersi nel processo penale, ivi accertati o non esclu ma ciò al solo fine di decidere sulla sussistenza del diritto alla riparaz (Sez.4, n.27397 del 10/06/2010, COGNOME, RV. 247867; Sez.4, n.3895 del 14/12/2017, dep.2018, P., RV. 271739); con il solo limite di non potere ritenere provati fatti che tali non sono stati considerati dal giudice d cognizione ovvero non provate circostanze che quest’ultimo ha valutato dimostrate (Sez. 4, Sentenza n. 12228 del 10/01/2017, Quaresima, Rv. 270039).
In relazione ancora più specifica rispetto alla fattispecie concreta i esame deve rilevarsi come il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione pe ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colp grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodi cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriorment che successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, a momento della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico; il giudice di merito deve, in modo autonomo e in modo completo, apprezzare tutti gli elementi probatori a sua disposizione e rilevare se condotta tenuta dal richiedente abbia ingenerato o contribuito a ingenerare, nell’autorità procedente, la falsa apparenza della configurabilità della ste come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Sez.Un., n.32383 del 27/5/2010, COGNOME, RV. 247664).
Dovendosi altresì ricordare – con principio utilmente richiamabile nel caso di specie – che il diritto all’indennizzo spetta a chi è stato prosciolt sentenza irrevocabile di assoluzione con una delle formule indicate nella prima parte dell’art.314 cod. proc. pen. e a tal riguardo non ha rilievo s tale formula il giudice penale sia pervenuto per la accertata prova positiva non colpevolezza, ovvero per la insufficienza o contraddittorietà della prova (Sez. 4, n. 22924 del 30/03/2004, COGNOME, Rv. 228791).
Ciò posto, va evidenziato come la Corte territoriale – a fondamento della propria decisione di rigetto della domanda di riconoscimento dell’indennizzo – abbia precipuamente valorizzato il comportamento
processuale tenuto dal ricorrente, con specifico riferimento al silenz serbato dall’istante in sede di interrogatorio reso nell’udienza di conval dell’arresto.
Va rilevato, in specifico riferimento a tale argomentazione – e, come, peraltro, evidenziato dalla stessa Corte territoriale – che, a seguito d modifica dell’art. 314 cod. proc. pen. intervenuta ad opera dell’art. 4, comm 4, lett. b), d.lgs. 8 novembre 2021, n. 188, il silenzio serbato dall’impu in sede di interrogatorio, nell’esercizio della facoltà difensiva prevista dall 64, comma 3, lett. b), cod. proc. pen., non costituisce condotta ostativa riconoscimento del diritto alla riparazione (Sez. 4, n. 19621 del 12/04/2022 n. 4040, L., Rv. 283241) e – non essendo l’esercizio medesimo considerabile neanche come espressione di colpa lieve – lo stesso non può neppure incidere sulla concreta liquidazione dell’indennizzo (Sez. 4, n. 48080 de 14/11/2023, COGNOME, Rv. 285425).
D’altra parte, al fine di rendere coerente la propria decisione, il Colleg ha fatto riferimento ad alcuni precedenti di questa Corte, espressivi però d principi non applicabili al caso di specie; ovvero quelli relativi alla persist rilevanza – anche a seguito della predetta modifica normativa – di una condotta, tenuta nel corso dell’interrogatorio, qualificabile come reticente ambigua (Sez. 4, n. 3755 del 20/01/2022, Pacifico, Rv. 282581; Sez. 4, n. 30056 del 30/06/2022, L., Rv. 283453; Sez. 4, n. 24608 del 21/05/2024, L., Rv. 286587); avendo peraltro questa Corte, in tali arresti, esplicitament specificato che tale modalità di condotta non è in alcun modo equiparabile al silenzio serbato nell’esercizio della facoltà difensiva prevista dall’art comma 3, lett. b) cod. proc. pen..
D’altra parte, la motivazione della Corte territoriale non contiene alcuna effettiva esplicitazione di altri elementi ostativi al riconoscime dell’indennizzo ed eventualmente valutabili in relazione alla c.d. prova d resistenza (su cui Sez. 4, n. 37200 del 14/06/2022, G., Rv. 283557).
Difatti, il provvedimento contiene un’elencazione degli elementi indiziari valutati dal giudice procedente in sede di applicazione della misura custodiale, senza alcuna indicazione di un’eventuale condotta sinergica – da parte dell’indagato – eventualmente connotata da dolo o colpa grave.
Mentre, il solo e mero riferimento al carattere “scarsamente verosimile e non riscontrabile” delle dichiarazioni successivamente rese dal NOME non soddisfa il necessario onere motivazionale, imposto dai citati principi, in tem di concausalità ascrivibile a un comportamento processuale eventualmente ambiguo o reticente.
L’ordinanza impugnata, dunque, presenta una motivazione adottata in violazione delle disposizioni contenute nell’art.314 cod.proc.pen. e non i linea con i principi di diritto elaborati dalla Corte di legittimità; provvedimento impugnato deve essere, pertanto, annullato con rinvio alla Corte di Appello di Venezia, che vorrà dare adeguatamente conto dell’incidenza causale delle eventuali e ulteriori condotte ritenu gravemente colpose sull’applicazione e sul mantenimento del provvedimento restrittivo.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Venezia.
Il Consigliere estensore
Così deciso il 21 novembre 2024
Il Prsidènte