Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 6311 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 6311 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/05/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG il quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
Lette le conclusioni del Ministero resistente il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Lette le conclusioni del difensore del ricorrente, in persona dell’AVV_NOTAIO, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di Appello di Palermo, con ordinanza assunta in data 25 Maggio 2023, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione avanzata dall’odierno ricorrente COGNOME NOME, per mezzo del proprio procuratore speciale, in relazione alla detenzione in carcere da questo sofferta dal 18 Novembre 2016 al 14 Maggio 2020 in quanto gravemente indiziato della partecipazione ad associazione mafiosa composta da affiliati di origine nigeriana, contestazione dalla quale veniva definitivamente assolto con sentenza della Corte di Assise di Appello di Palermo in data 14 maggio 2020, divenuta irrevocabile.
2. Il giudice della riparazione ha rigettato la istanza riparativa in quanto assume che sia ricorsa la causa impeditiva della colpa grave sinergica all’adozione della misura, consistita in condotte extraprocessuali gravemente colpose, non escluse neppure dal giudice dell’assoluzione, desunte da intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva che il ricorrente aveva mantenuto relazioni con alcuni componenti della struttura associativa, e che in particolare si era reso protagonista di una aggressione ai danni di un esponente di spicco del sodalizio (nominato come NOME o “NOME man”), dal quale era lecito attendersi una reazione punitiva; la pronuncia assolutoria faceva invece leva sulla mancanza della prova di un contributo operativo del NOME all’organizzazione e alla finalità dell’ente.
Il giudice distrettuale ha poi valorizzato profili di colpa endoprocessuale per avere il NOME omesso di fornire un contributo collaborativo con l’autorità giudiziaria al fine di chiarire la propria posizione, tenendo un comportamento inerte e reticente su alcuni aspetti della sua posizione che, se chiariti, sarebbero valsi a dimostrare la sua estraneità ai fatti. Evidenziava pertanto che le frequentazioni emerse dalle intercettazioni, unite allo specifico episodio di violenza allo stesso attribuito, determinavano una situazione di ambiguità e di apparenza di contiguità all’ambiente cui si riferivano le contestazioni, condizione che aveva determinato l’intervento dell’autorità, anche in considerazione della inconsistenza delle giustificazioni fornite dall’imputato.
GLYPH
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia e procuratore speciale, NOME articolando quattro motivi di ricorso.
Con un primo motivo deduce violazione di legge con riferimento all’accertamento della responsabilità per colpa ostativa alla riparazione e per essere stato fondato tale giudizio su elementi esclusi da giudice della cognizione, nonché tgg sull’esercizio legittimo da parte dell’indagato della facoltà di non rispondere in sede di interrogatorio di garanzia, condotta questa erroneamente riconosciuta come reticente, con violazione dell’art.6 par.2 CEDU sulla presunzione di innocenza.
Assume in particolare la genericità e la inconcludenza degli elementi da cui era stato tratto il giudizio di colpa grave, trattandosi di circostanze che erano state escluse o ritenute non provate nel giudizio assolutorio, o comunque prive di qualsiasi valenza ostativa, essendo stata in definitiva riconosciuta rilevanza, ai fini del presente giudizio riparatorio, al contenuto delle contestazioni mosse in sede penale, che peraltro essere state ritenute del tutto infondate. Quanto all’asserita condotta processuale di mancata collaborazione, assume ipotesi di violazione di legge in relazione all’art. 314 cod.proc.pen., novellato a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs.188/2021 che esclude o dalle ipotesi di colpa grave il silenzio serbato dall’imputato nell’esercizio del diritto di difesa, mentre era del tutto privo di giustificazione l’addebito, pure mosso al richiedente, di un contegno reticente e falso, tale da travalicare i limiti del diritto di difesa. Rileva ancora che vi era stata violazione dei principi costituzionali e sovra nazionali del giusto processo in quanto la corte distrettuale, nell’ordinanza impugnata, si era trascinata nella motivazione i pregiudizi di una condotta esaminata con la lente della responsabilità penale, che era invece risultata esclusa, e in assenza di una adeguata istruttoria in violazione dell’art. 6 par.1 CEDU, pervenendo ad un giudizio sommario sulla domanda riparatoria, non esaminata equamente.
3.1 Con una seconda articolazione deduce vizio di motivazione in relazione ai principi di presunzione di innocenza e del diritto ad un equo processo, con particolare riferimento alla individuazione delle condotte costitutive della colpa grave, evidenziando altresì che, anche secondo la sentenza assolutoria, l’unico elemento a sostegno della imputazione era costituito dall’episodio di aggressione a un
esponente, considerato eminente, della asserita organizzazione, fatto estrapolato dalle intercettazioni tra terzi soggetti, elemento fattuale che non solo non era stato ritenuto idoneo a fondare un principio di prova della sua responsabilità nel giudizio penale, ma che anche dal punto di vista contributivo alla detenzione risultava del tutto ininfluente, trattandosi di episodio sganciato dal contesto associativo il quale, semmai avrebbe dovuto condurre a escludere l’adesione del NOME a tali logiche, tenuto altresì conto che tutti gli altri imputati, che avevano optato per il giudizio dibattimentale erano stati assolti, essendo stata esclusa la stessa sussistenza dell’associazione criminosa. Quanto alla colpa per condotte extraprocessuali sarebbe stata omessa dalla Corte di appello la indicazione degli elementi taciuti che avrebbero consentito di allontanare dall’imputato gli indizi di colpevolezza riconosciuti nel corso delle indagini.
3.2 Con una terza articolazione denuncia vizio motivazionale per lesione del principio di presunzione di innocenza e travisamento del fatto in relazione alla circostanza che la sentenza di assoluzione aveva del tutto escluso la partecipazione dell’imputato alla suddetta consorteria e non si era limitato a ritenerlo un affiliato dal profilo non operativo.
3.3 Con una ultima articolazione chiede che il giudice di legittimità disponga l’acquisizione delle sentenze del procedimento penale a carico degli alti presunti associati, divenuta irrevocabile nelle more del giudizio riparatorio, le quali avevano escluso in nuce il presupposto del negativo esito del giudizio riparatorio e cioè la ricorrenza del vincolo associativo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo (v. da ultimo, Sezioni unite, n. 51779 del 28 novembre 2013, Nicosia).
L’art. 314 comma 1 c.p.p. prevede al primo comma che “chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ha diritto a un’equa riparazione per la custodia cautelare subita, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”.
2.1 In tema di equa riparazione per ingiusta detenzione, dunque, rappresenta causa impeditiva all’affermazione del diritto alla riparazione l’avere l’interessato dato causa, per dolo o per colpa grave, all’instaurazione o al mantenimento della custodia cautelare (art. 314, comma 1, ultima parte, cod. proc. pen.); l’assenza di tale causa, costituendo condizione necessaria al sorgere del diritto all’equa riparazione, deve essere accertata d’ufficio dal giudice, indipendentemente dalla deduzione della parte (cfr. sul punto questa sez. 4, n. 34181 del 5.11.2002, Guadagno, rv. 226004).
Orbene nella specie l’inferenza del giudice della riparazione appare argomentata in termini talmente nninimali e contraddittori rispetto agli argomenti posti a presidio dell’esito assolutorio del giudizio di merito, da giustificare l’annullamento e il nuovo esame della pretesa indennitaria.
In linea generale, va ribadito che il giudice della riparazione per l’ingiusta detenzione, al fine di stabilire se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave, deve valutare tutti gli elementi probatori disponibili, onde accertare – con valutazione necessariamente “ex ante” e secondo un iter logicomotivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale .
4.1 Ai medesimi fini, inoltre, il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori utilizzabili nella fase delle indagini, purchè la loro utilizzabilità non sia stata espressamente esclusa in dibattimento (cfr. sez. 4 n. 19180 del 18/02/2016, Buccini, Rv. 266808) alla luce del quadro indiziario su cui si è fondato il titolo cautelare, e sempre che gli elementi indiziari non siano stati dichiarati assolutamente
inutilizzabili ovvero siano stati esclusi o neutralizzati nella loro valenza nel giudizio di assoluzione (sez.4, n. 41396 del 15/09/2016, Piccolo, Rv.268238).
Tanto premesso, deve rilevarsi che il percorso argomentativo seguito dal giudice della riparazione non appare coerente con i principi di diritto testè richiamati. Invero, ai fini del riconoscimento della colpa grave ostativa al diritto alla riparazione il giudice distrettuale valorizza alcuni GLYPH elementi GLYPH indiziari GLYPH (intercettazioni ambientali, asseriti rapporti di frequentazione con soggetti di cui si assume l’intraneità ad un sodalizio criminoso) che, per stesso richiamo alla sentenza assolutoria risultano essere stati neutralizzati o comunque riconosciuti come inidonei a fondare una pronuncia di condanna. In sostanza il giudice della riparazione riconosce rilievo preclusivo alle frequentazioni del ricorrente con soggetti vicini se non affiliati all’associazione di soggetti di nazionalità e in particolare ad un “affronto” compiuto dal NOME ad un esponente di spicco dell’organizzazione (NOME man) e che tale condotta, riconosciuta ambigua, avrebbe ingenerato l’apparenza di una contiguità se non di partecipazione al sodalizio.
Orbene, quanto alla natura del comportamento ostativo, non è sufficiente a giustificare l’esclusione della riparazione la mera enunciazione delle frequentazioni ambigue e malavitose dell’indagato, peraltro nella specie senza neppure indicare quali siano i soggetti con i quali il ricorrente abbia mantenuto tali frequentazioni, ma sarebbe stato compito del giudice motivare sulla rilevanza e sull’ambito delle suddette frequentazioni, sulla consapevolezza del ricorrente degli illeciti traffici in cui era coinvolta la persona nei confronti della quale il NOME avrebbe tenuto la condotta violenta, e sulle ragioni per le quali i rapporti con tali soggetti, non meglio indicati, potessero essere interpretati quale indizio di reità o di correità GLYPH a carico della ricorrente. La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che la frequentazione ambigua di soggetti coinvolti in traffici illeciti si presta oggettivamente ad essere interpretata come indizio di complicità e può, dunque, integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione (Sez. 4, n. 8914 del 18 Dicembre 2014, Dieni, Rv. 26243601; Sez. 4, n. 1235 del 26 Novembre 2013, COGNOME‘, Rv 25861001; Sez. 4, n. 9212 del 13 Novembre 2013, COGNOME, Rv.
25908201; Sez. 4, n. 51722 del 16 Ottobre 2013, COGNOME, Rv. 25787801), purché il giudice fornisca adeguata motivazione della loro oggettiva idoneità ad essere interpretate quali indizi di complicità; nella maggior parte dei casi, si tratta di detenzione cautelare disposta nei confronti di persone indagate quali partecipi di associazioni per delinquere, in un ambito investigativo in cui gli intrecci, gli interessi e le connivenze tra sodali assumono valore altamente indiziario in rapporto ai tratti tipici del delitto associativo. Dall’esame delle pronunce in cui il principio è stato affermato deve trarsi il limite all’applicazione del medesimo principio. Se, infatti, di regola, la frequentazione di persone coinvolte in attività illecite integra una condotta idonea a concretare il comportamento ostativo al diritto alla riparazione, deve però anche chiarirsi che non tutte le frequentazioni malavitose sono tali da integrare la colpa ma solo quelle che siano da porre in relazione, quanto meno, di concausalità con il provvedimento restrittivo adottato (Sez. 4, n. 1921 del 20 Dicembre 2013, COGNOME, Rv. 25848601; sez.4 n.53361 del 21 Novembre 2018 COGNOME, Rv.274498). Al giudice della riparazione spetta, dunque, il compito di rilevare il tipo e la qualità di dette frequentazioni, con lo scopo di evidenziare l’incidenza del comportamento tenuto sulla determinazione della detenzione (Sez. 3, n. 39199 del 01 Luglio 2014, COGNOME, Rv. 26039701; Sez. 4, n. 34656 del 3 Giugno 2010, COGNOME, Rv. 2480740). Da ultimo sez.4, 2 Luglio 2019, Messina, Rv.276859 sul riconoscimento della colpa grave in capo a persona che, convivente con soggetto appartenente ad ambito malavitoso depositario di documenti attestanti illeciti traffici, benchè riconosciuta estranea a dinamiche associative dalla sentenza di merito, era stata ritenuta dal giudice della riparazione in colpa grave in quanto, in ragione delle frequentazioni e dei rapporti intrattenuti con familiari, alla stessa era attribuibile una “generica cognizione” della illiceità degli affari gestiti da questi”.
6.1 Il giudice della riparazione sul punto oltre a non avere affatto argomentato sul collegamento causale tra il comportamento extraprocessuale del ricorrente rispetto all’adozione, ovvero al mantenimento della cautela, ha tratto l’inferenza della sussistenza di una condotta colposa senza alcuno specifico riferimento alla natura di tali frequentazioni, ai soggetti cui il NOME sarebbe stato contiguo e alle ragioni per cui una siffatta frequentazione determinasse l’apparenza di una partecipazione al sodalizio. Ha poi omesso di
verificare se il comportamento oltraggioso e violento serbato dal NOME verso un proprio connazionale (NOME o NOME) si inserisse Ifielle dinamiche delinquenziali di cui all’imputazione ovvero se, al contrario, rappresentasse un atto di resistenza e contrapposizione a tali dinamiche.
7. Va infine considerato che in relazione alla condotta reticente del NOME, che pure gli viene contestata quale ulteriore profilo di colpa grave, nel corso del giudizio riparatorio è intervenuta una modifica normativa di cui al d.lgs. n. 188 del 8/11/2021, in vigore dal 14 dicembre 2021. L’art. 4 di detto decreto, infatti, ha introdotto, tra le altre modifiche al codice di procedura penale, anche quella che riguarda l’art. 314, aggiungendo al comma 1 dell’articolo il seguente periodo: «L’esercizio da parte dell’imputato della facoltà di cui all’articolo 64, comma 3, lettera b), non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo.» (cfr. art. 4, c. 1, lett. b, d. Igs. n. 188 del 2021). Si è in tal modo inteso adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimento penali, con specifico riferimento, per quanto di rilievo nel caso all’esame, alla emanazione di norme comuni sulla protezione dei diritti procedurali di indagati e imputati (cfr. considerato n. 10 e n. 24 della Direttiva). Poiché va riconosciuta l’immediata applicazione della disposizione normativa in questione, trattandosi di modifica del sistema processualistico penale avente, tra l’altro, contenuto interpretativo della giurisprudenza formatasi sul valore ostativo da attribuire al silenzio dell’indagato nel giudizio ex art. 314 cod.proc.pen., deve escludersi che il silenzio del ricorrente su elementi circostanziali del fatto reato possa integrare una ipotesi di colpa idonea ad escludere o limitare il diritto all’indennizzo (sez.4, n.48080 del 14/11/2023, COGNOME, Rv.285425), né risulta fornita indicazione delle ragioni di un comportamento processuale reticente, nonché della sua efficienza causale sull’adozione, ovvero sul mantenimento della cautela.
L’assoluta carenza motivazionale su tali punti impone l’annullamento della ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo per un nuovo esame tanto in relazione alla ricorrenza di un comportamento extraprocessuale del NOME, improntato a grave negligenza nel corso delle indagini ovvero a inescusabile leggerezza nella condotta processuale, nonché ad accertare se una condotta di tale guisa possa ritenersi causalmente efficiente rispetto al mantenimento della cautela.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Appello di Palermo, cui demanda anche la regolamentazione tra le parti delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 30 novembre 2023
Il consigliere estensore
Il Prefidente